La nullità del contratto di locazione non registrato
La nullità del contratto di locazione non registrato La legge n. 311 del 30.12.2004, meglio nota come Finanziaria 2005, ha introdotto importanti modifiche alla disciplina delle locazioni, dirette principalmente a limitare il fenomeno dell’evasione fiscale relativa ai redditi percepiti “in nero” dalla locazione di immobili. In particolare l’articolo 1, comma 346, della Finanziaria 2005 dispone che “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”. Secondo la norma in esame, l’obbligo di registrazione riguarda i contratti diretti alla locazione di unità immobiliari o di loro porzioni, stipulati in qualsiasi forma (per atto pubblico, per scrittura privata, autenticata o meno, o verbali) ed i contratti di comodato di unità immobiliari o di loro porzioni, prescindendo dalla locuzione nominalistica attribuita al contratto dalle parti ed avendo riguardo agli effetti giuridici che dai medesimi scaturiscono. Dovrebbero, invece, essere esclusi dalla disciplina in parola, i contratti costitutivi di diritti reali di godimento (la norma non menziona diritti reali, bensì relativi), i contratti aventi ad oggetto terreni, posto che l’art. 1 comma 346 L. n. 311/2004 parla di “unità immobiliare”, nonché i contratti di affitto, infatti difficilmente si potrebbe conciliare detta nozione con quella di “cosa produttiva”, a norma dell’articolo 1615 c.c.. Occorre poi evidenziare che, analizzando la formulazione del comma in esame, emerge che la sanzione della nullità è prevista qualora il relativo contratto non venga registrato, ricorrendone i presupposti. Appare utile, pertanto, stabilire quando ricorrano tali presupposti.Sul punto, l’art. 2, D.P.R. 26.04.1986 n. 131, rubricato “Atti soggetti a registrazione”, prevede la registrazione per: Dalla disciplina sulla nullità introdotta con la “Finanziaria 2005”, vanno pertanto esclusi anche quei contratti di locazione di durata annua non superiore ai 30 giorni, non essendo soggetti a registrazione ai sensi dell’art. 2 bis, parte 2, della tariffa allegata al D.P.R. 26.04.1986 n. 131. Per comprendere appieno la portata della previsione contenuta nel comma 346 dell’articolo 1, L. 30.12.2004, n. 311, occorre analizzare preliminarmente il quadro normativo e l’orientamento giurisprudenziale ad essa previgente. La legge 09.12.1998, n. 431, oltre a rendere obbligatoria, all’art. 1, la forma scritta per i contratti di locazione, pena la loro nullità, elevava, al fine di limitare il fenomeno dell’evasione fiscale, l’adempimento della registrazione a requisito necessario per la piena validità del relativo contratto. Infatti la citata legge all’art. 13, dispone che “è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”, aggiungendo, all’art. 7, che “condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato è la dimostrazione che il contratto di locazione è stato registrato”. Tali gravi conseguenze, derivanti dalla mancata registrazione del contratto, sono state gradualmente limitate ed annullate dalla giurisprudenza. In particolare, da un lato la Corte Costituzionale, esprimendosi sull’articolo 7 della legge 09.12.1998, n. 431 (cfr. sent. n. 333 del 5. 10.2001), ne dichiarava l’illegittimità costituzionale nella misura in cui un onere di tipo tributario condizionava l’esercizio di un diritto fondamentale, quale quello di difesa ex art. 24 Cost. Parimenti la Cassazione ebbe modo di specificare come il contratto di locazione validamente posto in essere e non registrato fosse un contratto vincolante per le parti, che poteva essere fatto valere in giudizio (cfr. ex plurimis Cassazione Civile Sez. III sent. n. 16089/2003). L’omessa registrazione dei contratti di locazione, pertanto, non comportava sul piano civilistico, ai sensi della previgente disciplina, alcuna inefficacia. Alla luce di tali considerazioni, appare evidente come l’introduzione dell’articolo 1, comma 346, della Finanziaria 2005, abbia immediatamente suscitato un vivace dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, in relazione alla qualifica di nullità del contratto di locazione per omessa registrazione ed ai possibili effetti giuridici da essa scaturenti. Secondo l’interpretazione della norma più rigorosa (SCARPA, Finanziaria 2005, la nullità delle locazioni non registrate, in Immobili & Dir., 2005), la perentorietà del tenore letterario e la specificità del termine utilizzato non lascerebbe spazio alcuno a dubbi, si tratterebbe di nullità in senso stretto, con quello che giuridicamente ne consegue. In particolare il contratto di locazione non registrato, secondo la normativa vigente, non produrrebbe effetti giuridici (quod nullum est, nullum producit effectum): il locatore ed il conduttore non potrebbero pretendere alcuna prestazione inerente al contratto in questione. Per le prestazioni già effettuate, il conduttore potrebbe chiedere la restituzione di quanto indebitamente versato ed il locatore potrebbe tentare di ottenere la corresponsione di una somma a titolo di indennità, in base all’istituto dell’arricchimento senza causa, essendosi comunque attuata un’occupazione, sia pure sine titulo. Infine, nell’ottica di una nullità radicale, sarebbe altresì preclusa la possibilità di una sanatoria attraverso la registrazione tardiva del contratto. Altra parte della dottrina (Trib. di Modena, 12.06.2006, in Giust. Civ. 2007; Trib. di Arezzo, 30.01.2007, in Redazione Giuffrè 2007), considerando il suindicato orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, circa l’art. 13 della legge 09.12.1998, n. 431, ed estendendolo alla norma in esame, ritiene che il contratto di locazione non registrato rimarrebbe valido, ma soggetto ad una sorta di condizione sospensiva che lo renderebbe inefficace fino all’avvenuta registrazione, con valenza retroattiva (art. 1360 c.c.). Ciò consentirebbe di conservare parzialmente le ragioni delle parti, in virtù dell’ordinaria disciplina connessa alla condizione sospensiva, e di attutire la portata della norma che, diversamente interpretata, a molti apparirebbe “abnorme” (cfr. Cassazione Civile Sez. III sent. n. 16089/2003 nonché Corte Costituzionale ord. 19 luglio 2004, n. 242). A sostegno di tale interpretazione l’articolo 10, comma 3 ultima parte, L. 27.07.2000, n. 212 ( meglio nota come Statuto del Contribuente) prevede testualmente che “Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”. Tali dubbi interpretativi hanno indotto per ben due volte i giudici di merito a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma in oggetto di valutazione, in riferimento agli articoli 3, 24 e 41 della Costituzione. La Corte Costituzionale, con ordinanze di rigetto n. 420/2007 e 398/2008, ha, in primo luogo, chiarito come la norma esaminata, sancendo una nullità non prevista dal codice civile, venga elevata dal rango di norma tributaria a quello di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418, comma 1 (“il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga altrimenti”). Viene pertanto ribadito il carattere sostanziale della norma denunciata, che non attenendo alla materia delle garanzie di tutela giurisdizionale, non introduce alcun ostacolo all’esercizio del diritto di difesa. Né viene leso il principio contenuto nell’art. 212 dello Statuto del Contribuente, il quale fa riferimento alle disposizioni di rilievo esclusivamente tributario, mentre la disposizione de qua, come si è visto, è da considerarsi norma sostanziale a carattere imperativo. Va infine segnalata una recente sentenza del Tribunale di Torre Annunziata (n. 1344/2008) la quale ha contribuito a portare chiarezza su alcune questioni non adeguatamente affrontate dal “Giudice delle Leggi”. In primo luogo il Giudice di Merito chiarisce che l’orientamento giurisprudenziale formatosi intorno all’art. 13 legge 09.12.1998, n. 431, non è applicabile alla norma in questione, in quanto cozza chiaramente con il dato letterale della stessa, disattendendo la principale regola ermeneutica posta dal legislatore all’art. 12 delle preleggi al codice civile, ai sensi del quale “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”. Più specificamente, in relazione al caso di specie, non può travisarsi il dato legislativo al fine di ricavare in via interpretativa proprio ciò che il legislatore ha inteso senza alcun dubbio escludere: la mera inefficacia del contratto, sanabile ex tunc. L’esegesi, pertanto, non può porre nel nulla il dato letterale ed è doveroso ritenere che il legislatore sia ricorso con coscienza e volontà alla categoria della nullità, ed abbia voluto ricollegare le relative conseguenze ad una situazione estranea all’accordo contrattuale, quale è la registrazione. In secondo luogo il Tribunale di Torre Annunziata pone l’attenzione sull’ipotesi che si realizza qualora, in sede di stipulazione del contratto, interviene un accordo tra le parti al fine di pattuire un canone di importo superiore a quello risultante dal contratto registrato. In siffatta ipotesi va esclusa l’applicabilità dell’istituto della simulazione, come sostenuto da una parte della giurisprudenza (cfr. Cassazione Civile Sez. III sent. n. 16089/2003). Infatti, a seguito di quanto recentemente affermato dalla Corte Costituzionale, essendo la registrazione stata elevata al rango di norma imperativa, non è possibile ricorrere all’istituto de quo, giacché ex art. 1414 co. 2 c.c., il contratto dissimulato, per avere effetto, deve possedere i requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso, id est della locazione. Avv. Luca Bavoso |