8.- L’ingiuria, nuove configurabilità.
Ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 274/2000 è di competenza del giudice di pace il delitto consumato o tentato previsto dall’art. 594 c.p. ovvero il reato di ingiuria, procedibile a querela di parte con citazione a giudizio del pubblico ministero o su ricorso della persona offesa.
L’interesse giuridicamente tutelato nel delitto di ingiuria è l’onore della persona.L’elaborazione dottrinale ha affermato che l’onore è il complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona : più precisamente è l’insieme delle doti morali (onestà, lealtà, ecc…), intellettuali (intelligenza, istruzione, educazione,ecc…), fisiche (sanità, prestanza, ecc…) e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dell’individuo nell’ambiente in cui si trova.
La Giurisprudenza ha inteso l’onore con riferimento alle qualità morali della persona mentre il decoro come il complesso di quelle altre qualità e condizioni che ne determinano il valore sociale.
La Suprema Corte ha statuito che l’onore deve essere ancorato ad una media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore, stante la naturale relatività del concetto in relazione a variabili quali l’ambiente sociale ed il momento storico, al contesto nel quale l’espressione ingiuriosa è posta in essere, gli antecedenti della vicenda, i rapporti eventualmente intercorrenti tra le parti e la loro personalità.
L’ingiuria è una manifestazione di disprezzo che può verificarsi con la parola , con gli scritti, con disegni, con gesti sconci, suoni oltraggiosi, sputi, con schiaffi o calci indirizzati a cagionare una sofferenza meramente morale, con l’avanzare una proposta sessuale esplicita ed immorale così come una perquisizione personale ad un soggetto trattato ingiustamente alla stregua di un ladro.
La Cassazione ha dichiarato la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di ingiuria per aver lo stesso offeso l’onore ed il decoro di un sindaco apostrofandolo con gli appellativi “Vattene perché qui non sei più nessuno, te ne devi andare a casa, ridimi vicino al cazzo, stronzo” (Cass. 4579/2011), o per aver proferito “siete due pazzi, due depressi, due esauriti, dovete andare via da questa casa” (Cass. 4568/2011).
L’elaborazione giurisprudenziale ha convinto la Corte Territoriale di Trento a configurare il reato di ingiuria in un caso in cui l’imputato all’interno di un cortile condominiale si abbassava il pantalone e gli slip mettendo in evidenza gli organi sessuali, escludendo il più grave reato di atti osceni in luogo pubblico per assenza di turbamento, disagio e reazione emotiva da parte dell’osservatore alla visione degli organi sessuali (Corte di Appello di Trento, sent. n. 19/2011).
Con sentenza n. 35099/2010 la Cassazione ha statuito che commette il reato di ingiuria il datore di lavoro che insulta il dipendente se si offende dopo il rimprovero, giustificando la condanna dall’evidente intento offensivo implicito nella scelta di un vocabolo fortemente dispregiativo (“stronzo”) censurando l’uso di termini che attribuiscono, secondo il comune significato recepito da tutti gli italiani, al destinatario qualifica di persona meritevole di disprezzo e di disistima, non considerando come discriminante l’abitudine ad un linguaggio colorito perché nell’ordinamento italiano il contesto lavorativo è caratterizzato da una pari dignità che non consente una desensibilizzazione alle altrui trasgressioni.
La Corte Suprema ha configurato il reato di ingiuria relativamente alle parole “sei un cesso, ma ti sei vista?” rivolte nei confronti di un avvocato dinanzi al Tribunale, in un punto di incontro di appartenenti all’ordine degli avvocati, poiché la frase proferita è tale da offendere l’aspetto fisico ed esteriore ed idonea a ledere la sfera personale e privata di una donna, la cui immagine è stata offuscata anche nell’ambito professionale (Cass. 3360/2011).
Avv. Luciano Fotios Meletopoulos