Sinistro Stradale –risarcimento danni non patrimoniali –lesioni di lieve entità – art 139 CdA dopo la riforma – 28.02.2012. –

Interessante sentenza emessa dal Giudice di Pace di Mascalucia, avente ad oggetto una domanda di risarcimento danni subiti a seguito di sinistro stradale. Il Giudice adito ha, preliminarmente, affrontato l’attualissimo tema della risarcibilità del danno alla persona, a seguito della Legge 24 marzo 2012, n. 27 in sede di conversione del D.L. 1 del 24 gennaio 2012, con la quale sono state  apportate due aggiunte all’art. 139 Codice delle Assicurazioni ( Danno Biologico per lesioni di lieve entità) , al quale, dopo  il comma tre sono stati aggiunti i  periodi di testo identificati come 3-ter  e 3-quater:

                                                                R E P U B B L I C A   I T A L I A N A

                                                                 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L’avv. Antonio Zarrillo,Giudice di Pace di Mascalucia , ha pronunciato la seguente SENTENZA
nella causa civile iscritta al  n°1069/11 R.G. , promossa da

-G. Maria nata a Raddusa il 27.10.1969 (C.F. …..), residente in Gravina di Catania via …, rappresentata e difesa, giusta procura a margine dell’atto introduttivo di lite dall’avv. P….  ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Catania, via …..                         -ATTRICE-

contro

-F. Andrea Angelo residente in via …. n. 163 int. 16, S. …..                                                                                            -CONVENUTO-CONTUMACE-

-GROUPAMA Assicurazioni S.p.a., in persona del suo Legale Rappresentante pro-tempore, con  sede in Roma Via Massimi, 158, rappresentata e difesa dall’avv. S.  per mandato in atti ed elettivamente domiciliata presso il di lui studio, in Catania via …..
                                                                                        -CONVENUTA-                                                                                    
OGGETTO: Risarcimento danni da circolazione stradale.

                                                                 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con atto di citazione,regolarmente notificato, G. Maria conveniva in giudizio, la Groupama Assicurazioni spa e in corso di giudizio, su autorizzazione  del Giudice, con rinnovazione dell’atto introduttivo di lite F. Andrea Angelo esponendo:
CHE in data 8.7.2010,  verso le ore 21.30, il motociclo Honda SH targato targato D…. stava percorrendo in Mascalucia, il corso S. Vito in direzione Tremestieri Etneo;
CHE l’autoveicolo Mitsubishi targato D… stava percorrendo la via Campo Sportivi e giunto all’incrocio con il c.so S. Vito, non si arrestava al segnale di STOP posto sul proprio senso di marcia andando a urtare il motociclo;
CHE,  a causa dell’urto il motociclo Honda SH finiva per urtare, il fuoristrada targato D…, il quale stava percorrendo il c.so S.Vito in direzione Mascalucia, mentre la conducente G. Maria pativa lesioni fisiche. Ritenuto che il motociclo Honda SH di proprietà di M. Stefano era sfornito di copertura assicurativa, veniva formulata richiesta risarcitoria alla Groupama Ass.ni spa, nella qualità di assicuratore del veicolo responsabile del sinistro,  con racc. a/r n. 1……… del 9.10.2010, la quale   non provvedeva a formulare alcuna offerta. 

                                                                        C O N C L U S I O N I

“accertare e dichiarare che il sinistro ebbe a verificarsi secondo la dinamica enunciata in narrativa e per l’effetto condannare la Groupama Ass.ni spa e F. Andrea Angelo in solido a risarcire alla istante la somma di € 2.604/50  o quella somma maggiore e minore che risulterà a seguito dell’espletanda istruttoria per I.P. 2%,ITA gg.10,ITP gg.10 al 50% e  sofferenza soggettiva, con vittoria di spese e compensi da distrarre ex art. 93 c.p.c. “. Si costituiva la Groupama Assicurazioni, la quale istanziava per la riunione del presente giudizio  con quello promosso da R. Arturo pendente innanzi al Giudice di Pace avv. Burtone e nel merito chiedeva il rigetto della domanda attorea in quanto infondata in fatto e diritto e in subordine, senza recesso da quanto dedotto ed eccepito, contenere il chiesto risarcimento nella misura del giusto, equo e provato. Con provvedimento del 5.3.2012 il Giudice Coordinatore, rigettava l’istanza di riunione dei procedimenti. Ammesse ed esitate prova testimoniale e CTU medico legale, precisate le conclusioni e depositate comparse conclusionali e dalla difesa attorea, nota spese per € 2.191/99, la causa all’udienza del 16.5.2012 è stata introitata a sentenza.    

                                                                    MOTIVI DELLA DECISIONE

Ante omnia va dichiarata la contumacia del convenuto F. Andrea Angelo, regolarmente citato e non comparso. In via preliminare viene evidenziato che è stata regolarmente assolta la condizione di proponibilità dell’azione prevista dal D.Lgs. 209/2005, avendo l’attrice  formulato richiesta risarcitoria  a mezzo racc. a.r. alla convenuta Compagnia di Assicurazione ed atteso lo spatium deliberandi cogitationisque.
Sull’an debeatur si rileva che gli elementi di prova emersi dall’espletata istruttoria, sono costituiti dalla dichiarazione testimoniale
Il teste F. Andrea ha confermato gli articolati di cui all’atto introduttivo di lite, precisando,  trovandosi a circa 20 metri dal luogo del sinistro, di aver visto una vettura di colore grigio che giunta all’incrocio con il corso S. Vito, non si arrestava al segnale di STOP così andando a impattare un motorino che proveniva dalla destra di c.so San Vito in direzione Tremestieri Etneo. A seguito dell’impatto il motorino andava a finire contro un fuoristrada che in quel momento giungeva dalla parte inversa rispetto al motorino. Il predetto ha riferito di ricordare che a bordo del motociclo vi erano due ragazze, le quali lamentavano dolori. Il determinismo dell’evento deve ascriversi alla condotta di guida del conducente dell’autoveicolo Mitsubishi, contraria alle norme generiche e specifiche che regolano la circolazione, causativa del danno posto a fondamento della domanda,  rivelatasi come circostanza esclusiva per la verificazione del sinistro. Il consolidato principio secondo il quale, in tema di scontro tra veicoli о di applicazione dell’art. 2054 c.c., l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta di per sè il superamento della presunzione di colpa concorrente dell’altro (all’uopo occorrendo che quest’ultimo fornisca la prova liberatoria, ovvero la dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quella della comune prudenza, e di essere stato messo in condizioni di non potere fare alcunché per evitare il sinistro) non può essere inteso nel senso che, anche quando questa prova non sia in concreto possibile e sia positivamente accertata la responsabilità di uno dei conducenti, per avere tenuto una condotta in sè del tutto idonea a cagionare l’evento, l’apporto causale colposo dell’altro conducente debba essere, comunque, in qualche misura riconosciuto (Cass. 17.9.2010 n. 19816). La domanda attrice è pertanto meritevole di accoglimento nei limiti sotto specificati.
QUANTUM  DEBEATUR:
Sulla risarcibilità delle lesioni alla persona di lieve entità giusta legge n° 27/2012
Il pensiero di Settimio Catalisano e Angelo Massimi Perrini in vexata quaestio  “Con la Legge 24 marzo 2012, n. 27 in sede di conversione del D.L. 1 del 24 gennaio 2012 sono state apportate due aggiunte alla normativa vigente in tema di danno alla persona, che peraltro nel suo impianto generale non è stata modificata. In particolare nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU n. 71 del 24-3-2012 – Suppl. Ordinario n. 53) si legge che all’art. 32 del decreto legge dopo il comma tre sono stati aggiunti i seguenti periodi di testo identificati come 3-ter  e 3-quater:
 3-ter:  “Al comma 2 dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni private di cui al D.Lgs. n° 209 del  7-9-2005, è aggiunto in fine, il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità’, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”;
 3-quate:  “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del D.Lgs. n° 209 del  7-9-2005, é risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione.”
 Sia dalla analisi del testo che dalla lettura del coordinato delle norme pubblicato in Gazzetta, è evidente che la incidenza della norma del numero 3-ter è tale, da non modificare l’art.139 nella sua portata generale descrittiva e precettiva, essendosi limitato il legislatore a inserire la nuova norma,  senza modificare la definizione di danno biologico che è portata dal numero 2 del 139.
Di seguito, il testo del 139 del Codice delle Assicurazioni come risulta dopo l’aggiunta del 3-ter:
Art. 139. (Danno biologico per lesioni di lieve entità)
1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i
criteri e le misure seguenti:
a) a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto;
b) a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.  In ogni caso, le lesioni di lieve entità’, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente.
3. L’ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1, può essere aumentato dal giudice, in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
4. Omissis …
L’art. 3-quater: una monade priva di inquadramento sistematico
Dalla lettura sia della legge di conversione che del testo coordinato in Gazzetta Ufficiale non è dato comprendere quale sia l’inquadramento sistematico della “norma” portata del 3-quater. Infatti nel testo che risulta in Gazzetta Ufficiale, a differenza di quello circolato su un quotidiano, l’art. 3-quater non risulta avere direttamente modificato il testo dell’art. 139. Poiché tale circostanza è confermata dalla lettura del testo coordinato non appare possibile dare valenza sistematica alla norma risultando pertanto pienamente giustificate sul punto le critiche svolte parte di taluni che hanno vanamente osservato:
“Al riguardo si ritiene opportuno un chiarimento della portata delle disposizioni, considerando che le due norme presentano un campo di applicazione comune, ma sembrano contenere profili contradditori. Infatti, mentre il comma 3-ter esclude il risarcimento del danno biologico “permanente” nel caso in cui le lesioni non siano suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”, il comma 3-quater ammette il risarcimento (senza specificare se a titolo di danno biologico permanente o temporaneo) qualora vi sia un riscontro medico legale da cui risulti “visivamente” o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione.”
La vulgata mediatica (“non si paga più…”) e i principi generali del diritto
Le norme in materia di micropermanenti introdotte in sede di conversione di decreto legge ed estranee all’oggetto dello stesso, in violazione pertanto dell’art. 77 (come chiarito dalla Corte costituzionale con la fondamentale sentenza 22/2012) sono state annunciate come interventi volti a “non pagare più i colpi di frusta”, al dichiarato scopo di consentire alle imprese assicurative “risparmi” ipoteticamente finalizzati alla “riduzione dei premi assicurativi”. A prescindere dal merito, si tratta comunque di considerazioni prive di giuridico fondamento frutto perverso di intrecci tra incultura giuridica, degrado legislativo e plateali pressioni lobbistiche. Ancora più chiaramente e semplicemente: un tale disegno non si può realizzare né si potrà mai imporre nel sistema giuridico italiano, dove chi rompe paga (art. 2043 codice civile), se chi rompe è il proprietario di un veicolo assicurato per la responsabilità civile (art. 1917 codice civile) costui, oltre ad essere obbligato a risarcire i danni, ha anche l’obbligo di assicurare (art. 122 cod. ass.) il proprio veicolo. Specularmente chi viene danneggiato da quel veicolo assicurato, ha il diritto, che nessuno può togliergli anche in forza della normativa comunitaria, di farsi risarcire (e non già indennizzare) direttamente dall’assicuratore, esercitando se del caso l’azione diretta (art. 144 cod. ass.),  nei confronti della compagnia del civile responsabile. Occorre poi ricordare che l’obbligo di stipulare la garanzia RCA, non è certo un “aiuto di Stato” introdotto per garantire quote di mercato alle imprese di assicurazione, ma al contrario, è una garanzia posta a tutela dei danneggiati e delle vittime della strada che, solo con un sistema di RC obbligatoria, hanno la garanzia di ottenere sempre e comunque un risarcimento che diversamente non sarebbe garantito nell’ipotesi che detto risarcimento rimanesse a carico esclusivo del responsabile del sinistro stradale il quale, in ipotesi, potrebbe anche essere soggetto non solvibile. In altre parole, nonostante le difformi intenzioni del legislatore e gli interessati auspici delle imprese, i risarcimenti che l’assicuratore per  la RC auto è tenuto a erogare al danneggiato, non possono essere di natura e di entità differente, rispetto a ogni altro risarcimento per fatto illecito. Non è quindi giustificabile la pretesa dell’assicuratore per la RCA di risarcire il danno alla persona, in misura inferiore rispetto a quanto avviene in forza dei generali criteri della responsabilità civile, dal momento che anche la garanzia RCA prevista dall’art.122 del codice delle assicurazioni, rientra tra le quelle disciplinate all’art. 19171 del codice civile e come tale, non ammette franchigie o limitazioni di sorta. Difatti la polizza RCA, per disposizione codicistica, garantisce l’assicurato responsabile di quanto questi in conseguenza del fatto del quale è responsabile, deve pagare al terzo danneggiato.
Nessun mutamento “per legge” della criteriologia medico legale nella RCA
Occorre chiarire però che il lobbista che ha vergato i testi poi divenuti “Legge dello Stato” ha fatto, comunque, un pessimo lavoro; anche se l’obiettivo che si era dato, non risarcire più i postumi permanenti da distrazione del rachide cervicale, ma solo in RCA, era come si è visto, impossibile da raggiungere, il lavoro fatto resta inutile per molte ragioni. In particolare va ribadito che la definizione di danno biologico del primo comma del 139 del codice delle assicurazioni, non è stata modificata e tale danno resta dunque definito come la “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
Si tratta di una definizione che ha avuto peraltro capacità espansiva ben oltre il settore della RCA come definitivamente consacrato dalla Cassazione a Sezioni Unite nelle note sentenze di S. Martino. Poiché dunque non è mutata la definizione di danno biologico, rimane sempre compito del medico legale accertare la eventuale esistenza di un danno permanente e/o temporaneo quale esito di una lesione alla integrità psicofisica di un soggetto. Quindi un primo dato di fatto:
non è stata introdotta nessuna norma tale da costringere la medicina legale, ad utilizzare criteriologie difformi rispetto a quelle validate dalla comunità scientifica:
resta ovviamente conforme alla norma, procedere con il consueto accertamento valutativo.
La confusione del legislatore: la “lesione lieve” che “non da luogo a risarcimento”. Il ruolo del medico legale: l’apprezzamento del pregiudizio e non il risarcimento.
Come si è visto neanche il lobbista, benché fattosi legislatore, è stato in grado di sostenere che situazioni strumentalmente non accertabili debbano meccanicamente costituire assenza di danno biologico poiché, e non potrebbe essere diversamente, è diretta competenza del medico legale la espressione di un appropriato giudizio tecnico. Se dunque l’innominato “colpo di frusta” non può essere abolito per legge, così come non è possibile mutare per decreto la criteriologia medico legale, il legislatore tenta comunque confusamente di chiarire che “in ogni caso le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. E qui il legislatore redige una norma errata sotto diversi profili: innanzitutto è sbagliata la tecnica di redazione che ha generato una norma pleonastica priva di valore precettivo. Infatti la dicitura “in ogni caso” ha valore ricognitivo del quadro generale normativo preesistente e non permette di far discendere dalle parole che la seguono, alcuna modifica sostanziale di quel quadro. Ma vi è di più: la norma è priva di senso, anche nel suo significato tecnico letterale dal momento che ovviamente, non è “la lesione” che “da luogo a risarcimento per danno biologico permanente” bensì “gli esiti”, la cui valutazione, è sempre demandata alla preparazione del medico legale. E’ dunque parimenti insensato il riferimento che compare nel testo alla “lesione di lieve entità”, intesa come evento che da luogo a danno biologico permanente, a meno che, stravolgendo il testo della norma, con un inammissibile volo interpretativo, si intenda per lesione di lieve entità, il postumo della stessa che, a dire del redattore del testo del 3-ter, se “di lieve entità”, non “da luogo” a risarcimento a meno che “non sia suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo”. Ma anche così la norma non si tiene: per valutare se la lesione, rectius: il postumo consolidato, è “lieve”, occorre provvedere ad accertarne esistenza ed entità e quindi secondo il legislatore, dovrebbe accadere che il medico legale debba accertare l’esistenza di postumi di distrazione del rachide di lieve entità, magari valutati secondo i vigenti barhemes ministeriali del 2003, in < 2%,  perché come previsto dal DPR non strumentalmente accertabili. Sempre il medico legale dovrebbe, in un successivo momento logico della propria attività valutativa, chiarire se quei postumi di lieve entità (in ipotesi 2%), che il legislatore chiama “lesioni di lieve entità”, siano o meno suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”. E così per successive approssimazioni, si arriva ad una ulteriore criticità, vale a dire cosa debba intendersi per “accertamento clinico strumentale obiettivo”, oltre che, problema non da poco, se il fantomatico accertamento debba essere relativo alla lesione o ai postumi. Ci si limita ad osservare che se il legislatore avesse voluto, inammissibilmente, subordinare il “riconoscimento” di postumi risarcibili al riscontro strumentale, non avrebbe scritto le parole “accertamento clinico”. Così chiariti i passaggi, il ruolo del medico legale arriva a conclusione. Se richiesto di un parere in materia di RCA, in ipotesi di esiti di trauma del rachide, non dovrà dunque sostenere l’inesistenza di quei postumi che fino a ieri venivano pacificamente valutati ma, a secondo della interpretazione della norma che avrà ritenuto più convincente, potrà continuare ad operare con i medesimi criteri valutativi ante Legge 27/2012 continuando a utilizzare i barhemes del DPR 2003. E’ infatti evidente, quale che sia il significato che si voglia dare alla disposizione secondo la quale “in ogni caso le lesioni di lieve entità’, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente” che il ruolo del medico legale non è stato toccato dalla norma che si limita a chiarire che le “lesioni lievi ” o forse i “postumi lievi” delle stesse non “danno luogo” a risarcimento. La norma non è dunque indirizzata al medico che continua a valutare il danno secondo le disposizioni della prima parte del 139, e che al più, potrà concludere nell’ipotesi di postumi soggettivi valutabili ex DPR 2003, richiamando la valutazione prevista (<2%) ed eventualmente chiarendo se tale valutazione sia suscettibile di “accertamento clinico strumentale obiettivo”. Così interpretata, peraltro, la norma recita comunque l’ovvio, dal momento che nessun medico legale in mancanza di una qualche obiettività clinica, può valutare la sussistenza di postumi permanenti. E qui incominciano i reali problemi giuridici, poiché dalla lettura del 139 n. 2, non residuano dubbi che  il danno biologico va accertato dal medico legale, come pure  viene introdotto nel sistema, un danno che esiste (la lesione di lieve entità) ed è idoneo a generare postumi ma, a dire del legislatore, se quella lesione (o forse i postumi della stessa?), non è suscettibile di accertamento, che secondo il nuovo mantra della RC auto, deve essere “clinico strumentale obiettivo”, allora il danno non può “dare luogo” a risarcimento”. E qui, il cerchio si chiude: poiché non esistono e non possono esistere nel sistema della responsabilità civile danni non risarcibili, tantomeno nell’ambito del danno alla persona che, come il danno alla salute attiene a diritti tutelati costituzionalmente, è evidente che il giro di giostra del comma 3-ter, è destinato solo a indurre confusione interessata. Anche perché la norma viene poi smentita dal 3-quater, che demanda il risarcimento del “danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209”,  al “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”. E qui la norma non pare potersi davvero interpretare diversamente: il riscontro medico legale è atto proprio dello specialista che visivamente, cioè a seguito di indagine obiettiva ed in osservanza alla criteriologia causale, accerta la eventuale presenza di un danno biologico inteso secondo la immutata definizione del numero 2 del 139, come “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
Considerazioni conclusive.
Le norme introdotte in sede di conversione per quanto di dubbia interpretazione, non possono certo incidere sul regime della prova della sussistenza del danno biologico. E’ noto ed è stato ricordato come le Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972 hanno chiarito che “per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209/2005), richiede l’accertamento medico-legale … ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari, il giudice potrà non disporre l’accertamento medico-legale …  superfluo e porre a fondamento della sua decisione, tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze, ecc.), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni”. Non pare francamente possibile che il legislatore abbia voluto introdurre norme che vincolano il Giudice a disporre accertamenti medico legali, ai quali questi sia obbligato ad attenersi, né che si sia inteso modificare la criteriologia medico legale, essendo peraltro immutati i barhemes del DPR  2003 che prevede i parametri valutativi per le micropermanenti. Non pare neanche che le nuove norme introdotte, possano incidere in maniera sostanziale sul concetto di danno biologico risarcibile modificandone in senso restrittivo l’area, dal momento che una loro applicazione in questo senso determinerebbe un ulteriore macroscopico disallineamento tra il sistema risarcitorio del danno alla persona in generale e le previsioni in materia di RC auto, notoriamente penalizzanti per il danneggiato. Una lettura delle norme portate dal 3-ter e 3-quater che non le riconduca al significato che meglio pare loro competere, e cioè quello di norme “manifesto”, porterebbe a inammissibili esclusioni risarcitorie per una serie di danni per loro natura non strumentalmente accertabili, si pensi non solo ai vituperati “rachidi”, ma anche alla sfera del danno psichico. Un tale modo di procedere renderebbe irreversibile la deriva indennitaria del sistema del risarcimento del danno alla persona in RC auto. Si tratta peraltro di un sistema la cui tenuta, è noto sarà presto nuovamente al vaglio dalla Corte Costituzionale, e sempre in relazione al 139 e ai limiti risarcitori che tale norma impone al potere equitativo del giudice, in quanto di ostacolo per la applicazione dei più favorevoli valori previsti per medesime lesioni ma aventi altra eziologia. Ulteriori limitazioni che dovessero essere imposte ai diritti dei danneggiati, già costretti tra sistemi tabellari penalizzanti, quali quelle in ipotesi attuate mediante questo confuso tentativo di introdurre inammissibili franchigie risarcitorie, rischiano seriamente di far crollare la tenuta costituzionale del sistema che appare sempre più estraneo all’esigenza per cui era sorto, e cioè quella di garantire, sempre e comunque, la piena tutela dei danneggiati.
1. Articolo 1917 C.C.. Nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore e obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto (2952). Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi (2767). L’assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all’assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l’indennità dovuta, ed e obbligato al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede. Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse. L’assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l’assicuratore (1932; Cod. Proc. Civ. 196).”
1.Danno biologico da I.T.A. – I.T.P. – I.P.  
Ritiene questo decidente  la relazione del CTU dr. Angelo Alaimo, motivata congruamente e in maniera del tutto coerente con le risultanze processuali, sicchè le sue conclusioni vanno condivise.  Il predetto, infatti, ha accertato la compatibilità dei danni con la dinamica del sinistro, ha  descritto la natura delle lesioni riportate dalla periziata, ha riferito sulla evoluzione clinica della malattia che ha comportato un periodo di  inabilità parziale al 100% di gg.10, una Inabilità parziale al 50% di gg.10 e residuati postumi invalidanti nella misura dell’ 1%.  Per la relativa liquidazione occorre fare riferimento alla tabella ex art. 139 del D.Lgs. 209/2005, come rivalutata e aggiornata dal Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 17 Giugno 2011, e pertanto  il danno da  I.T.A. di gg. 10 al 100% può fissarsi in € 442/80 (€ 44/28 pro-die), quello da I.T.P. gg. 10 al 50% in € 221/40 (€ 22/14 pro-die) e quello da I.P. 1% in € 633/80 (anni 42), per un totale di € 1.298/00, con gli interessi legali quanto all’invalidità temporanea dalla data del fatto lesivo, quanto all’invalidità permanente dalla cessazione dell’invalidità temporanea, non dovendosi operare alcuna rivalutazione essendo le somme calendate determinate con riferimento a valori monetari attuali. 
2. Danno non patrimoniale da sofferenza
Prima di procedere alla concreta determinazione, è necessario svolgere alcune considerazioni sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale che verranno adottati, attese le non condivisibili ormai superate  peregrine interpretazioni secondo le quali sussisterebbe duplicazione di risarcimento in caso di  attribuzione congiunta del danno biologico e del danno morale.  E’ chiara la pronuncia della Cassazione Civile a Sezioni Unite (11-11-2008 n. 26972) che impone una rivisitazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale che non riguardano il danno biologico – inteso come sintesi descrittiva della lesione del diritto alla salute – relativamente al quale le Sezioni Unite hanno confermato l’inquadramento, ormai consolidato, nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., nonché la generalizzata tutela risarcitoria in virtù dell’esplicito riconoscimento normativo (a livello costituzionale e ordinario) del diritto alla salute. Le novità riguardano, invece, come rilevato in recente sentenza del Tribunale di Torino, con argomentazioni pienamente condivisibili,  quegli altri pregiudizi non patrimoniali indicati -con analoghe sintesi descrittive- come danno morale, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale; pregiudizi il cui catalogo –come precisa la Corte– non costituisce numero chiuso. Sulle considerazioni svolte nella citata sentenza della Suprema Corte, il precitato Tribunale ha  esplicitato le seguenti osservazioni:
a) Il danno non patrimoniale, da intendersi nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, è sempre risarcibile qualora l’illecito si configuri come reato (anche solo astrattamente). Al di fuori di questa ipotesi, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale può derivare o da specifica previsione normativa, attraverso la quale possono essere ammessi al risarcimento anche interessi non aventi rango costituzionale di diritti inviolabili; ovvero dall’accertamento della lesione di un diritto inviolabile della persona, ossia di una ingiustizia “costituzionalmente qualificata”.
b) E’ stata da tempo superata l’affermazione secondo cui l’unico danno non patrimoniale risarcibile sarebbe quello “morale in senso stretto”, descritto tralaticiamente come lo stato di “patimento interiore” transeunte cagionato dall’illecito. Per un verso infatti, una tale sofferenza non è necessariamente transitoria, ma può protrarsi anche per lungo tempo, e merita ristoro nella sua interezza. Per altro verso, accanto ad essa può esistere una diversa sofferenza, derivante dalla necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli precedenti o dal “non poter più fare” quello che si faceva prima. Ha quindi poco senso distinguere un danno morale tradizionalmente inteso da un danno esistenziale consistente in questa seconda tipologia di pregiudizi. La esasperata “etichettatura” delle varie figure di danno, se può avere una sua utilità dal mero punto di vista descrittivo, non appare funzionale (ed anzi talvolta è controproducente), rispetto all’obiettivo di risarcire il danno alla persona nella sua interezza, evitando indebite duplicazioni.
c) La sentenza Cass. Civ. S.U. n. 26972/2008, non giustifica in alcun modo letture “abolizioniste” del danno morale, pure prospettate da alcuni primi commentatori. Il passaggio da cui traggono spunto queste letture, è quello (contenuto nel paragrafo relativo al danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni), ove la Corte afferma: “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. Ma questo passaggio va letto in stretta correlazione con quello precedente, ove si chiarisce cosa debba intendersi per danno morale: “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti … senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano state dedotte siffatte conseguenze [cioè quando la sofferenza “diventa malattia”, n.d.a.], si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. La Corte non fa che ribadire nel senso che  il risarcimento deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Dunque, il risarcimento del danno morale, può costituire una duplicazione del già riconosciuto danno biologico, ma solo quando sia diretto a ristorare il medesimo tipo di pregiudizio (lesione del diritto alla salute). Al di fuori di questa ipotesi si rinvengono invece, nella predetta sentenza, chiari indici della risarcibilità del c.d. danno morale (o più esattamente, del ristoro, nell’ambito della generale categoria del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizi sino ad oggi risarciti come danno morale): al paragrafo 2.10 si chiarisce che “la formula <<danno morale>>, non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.  Al paragrafo 3 la Corte, nel negare cittadinanza a una autonoma categoria di danno c.d. esistenziale, riconosce espressamente che le ragioni storiche sottese alla elaborazione dottrinale di una siffatta categoria, non hanno più ragion d’essere oggi, perché i pregiudizi ad essa tradizionalmente ricondotti (non poter fare, dover fare diversamente, etc.), sono risarcibili nell’ambito del danno non patrimoniale (sempre che sussistano i presupposti del reato, ovvero del pregiudizio a diritti inviolabili della persona), senza necessità di dover creare ulteriori categorie.
e) La Corte ha ribadito infine, l’orientamento già espresso in numerose precedenti sentenze in tema di prova del danno: il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato. Mentre per quanto riguarda il danno biologico il mezzo di prova cui si fa normalmente ricorso è l’accertamento medico legale (previsto dalla vigente normativa, ex art. 138 e 139 C.d.A.), pur se non come strumento esclusivo e necessario; per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi, ricorso alla prova documentale, testimoniale e presuntiva. Proprio quest’ultima –chiarisce la Corte– “è destinata ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri”; il danneggiato però avrà l’onere di “allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.  Con  sentenza del 13-5-2009, il Tribunale di Catanzaro  ha osservato che prima dell’intervento nomofilattico di Cass. Civ. S.U. sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, in caso di danno alla salute, alla liquidazione del danno biologico, si aggiungeva, quasi indefettibilmente, la liquidazione del danno morale. «Nell’elaborazione delle c.d. tabelle del danno biologico, avvenuta prima del citato intervento della Cassazione, si era evidentemente tenuto conto di tale circostanza di fatto, cosicché il ristoro completo del danno alla salute, apprezzato sotto l’aspetto dinamico relazionale, avveniva soltanto mediante la liquidazione della posta risarcitoria definito come “danno biologico” e della posta risarcitoria definita come “danno morale”».  Orbene, secondo il giudice estensore, se “mutato il quadro giurisprudenziale, ci si limitasse a risarcire il pregiudizio all’integrità psicofisica limitandosi ad applicare le tabelle del danno biologico, fintanto che queste non saranno aggiornate tenendo conto della sopravvenuta elaborazione giurisprudenziale, si finirebbe per sottodimensionare il ristoro del danno subito.  Anche il Tribunale pratese, dopo un lungo excursus sulle sentenze gemelle e sulla presunta portata innovativa di dette sentenze, riconosce come “l’essere rimasto vittima di un evento traumatico, anche di una certa entità (n.d.r. nel caso in specie il 2% di I.P.), imprevisto ed imprevedibile, quale un incidente stradale determini nel soggetto un naturale patimento interiore, una sofferenza anche se temporanea e destinata a risolversi con una certa rapidità (si pensi anche solo allo spavento cagionato dall’evento ed alla paura necessariamente correlata alle sue conseguenze) . E’ evidente che l’entità della lesione fisica subita e le modalità di accadimento del sinistro, siano determinanti non tanto al fine di stabilire se vi sia o meno anche una sofferenza interiore quanto al fine di graduare l’entità della liquidazione: tanto più grave è l’offesa tanto maggiori saranno le conseguenze fisiche e quelle “morali” (in termini di sofferenza dell’animo, di preoccupazione), pertanto non può prescindersi da una valutazione del caso concreto”.  Continua ancora il Tribunale pratese asserendo che “le tabelle sulle micropermanenti, che parlano di solo danno biologico, come previste dal codice delle assicurazioni non possono essere satisfattive dell’effettivo pregiudizio subito dalla vittima, sia facendo riferimento a quanto sin ora esposto ma anche in relazione agli orientamenti della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, e non da ultimo dalla convenzione di Lisbona, ratificata dall’Italia, che affermano che il risarcimento del pregiudizio alla persona deve essere integrale e ristorare tutti i pregiudizi negativi subiti dal valore uomo, non essendo ammissibile un sistema liquidativo limitativo di tali danni e dovendo il giudice applicare al riguardo, la normativa comunitaria disapplicando quella nazionale contrastante, tenendo sempre presente il principio dell’integrale risarcimento del danno non patrimoniale, riconosciuto espressamente dalle stesse pronunce delle sezioni unite. Per concludere sul punto, la Costituzione Europea, colloca il danno morale sotto il valore universale della dignità umana (art. II-61) dotata di inviolabilità e garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena (art6. II-107)”. Monetizzando il proprio ragionamento, il Tribunale nell’ottica di un “ristoro per equivalente di tale lesione soggettiva indubbiamente esistente anche in caso di lesioni di lieve entità (ribadiamo del 2%, n.d.r.)”, ritiene “che la somma attribuita ai sensi delle succitate tabelle di riferimento debba essere aumentata della misura di € 1.000/00 tenuto conto della tenuità dei postumi permanenti e della breve durata della malattia metatraumatica”. Non appare quindi temerario sostenere che le note sentenze non abbiano declinato i danni, ma li abbiano semplicemente visti sotto una  luce diversa. Le prime pronunce, al di là di qualche sbavatura terminologica tra danno morale o personalizzazione del danno, si sono ormai incanalate verso un completo ristoro dei pregiudizi subiti dal leso, senza alcuna stima penalizzante del danno. Va menzionato il Tribunale di Modena, (vd. risoluzione del Tribunale di Modena del 21.01.2009) che ha ritenuto che la decisione delle S.U. non esclude,  nè limita, la risarcibilità del danno morale, essendo invece richiesto un maggiore sforzo motivazionale e di personalizzazione del risarcimento”. Altri Tribunali, invece, stanno riflettendo sull’opportunità di rimodulare le tabelle risarcitorie.
Un particolare richiamo merita la sentenza n° 1315/2009 del 5.10.2009 della  Corte di Appello di Torino, Sezione 3° Civile, Consigliere Relatore il dott. Umberto SCOTTI. 
Sui  principi in tema di onere della prova, osserva la Corte “ occorre considerare che in tema di onere della prova le quattro sentenze gemelle 26972/26975 del 2008 sono indubbiamente rimaste nel solco del consolidato indirizzo interpretativo costantemente seguito dalla Corte di Cassazione; la Suprema Corte ha ribadito infatti il suo costante insegnamento secondo il quale è il soggetto richiedente il risarcimento del danno non patrimoniale ad essere gravato dall’onere della prova di aver subito il pregiudizio dedotto (ai sensi della regola generale in tema di fatti costitutivi contenuta nell’art.2697 c.c.). Il Supremo Collegio, peraltro, ha temperato il rigore del principio, rammentando che a tal fine il danneggiato può giovarsi di ogni mezzo di prova, non ultima la prova presuntiva, ex art.2729 c.c., che, come la più recente giurisprudenza, non si stanca di ripetere come un vero e proprio leit-motiv, non può esser vista come uno strumento ancillare e subalterno nella gerarchia delle fonti di prova, ma costituisce un mezzo di pari dignità degli altri, il cui campo di esplicazione in tema di prova del danno (e in particolare in tema di reazioni soggettive e psicologiche della persona offesa), risulta invece assai ampio. Si legge infatti nella sentenza delle Sezioni Unite:
“Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l’accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l’accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.” Nello stesso senso, e solo per citare alcune importanti e chiare pronunce, espressive dell’orientamento ricordato: Cassazione civile, sez. III, 3 aprile 2008, n. 8546; sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1203; sez. lav., 26 marzo 2008, n. 7871, nonché da ultimo la recentissima Cass. civ. sez. III°, 13.5.2009 n.11059 (caso “Seveso”), che ha puntualizzato che “….. la sentenza è del tutto conforme a diritto, dove afferma che il danno non patrimoniale consistente nel patema d’animo e nella sofferenza interna, ben può essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell’uno in dipendenza del verificarsi dell’altro secondo criteri di regolarità causale.” A tale risultato, caratterizzato dalla attribuzione dell’onere probatorio al danneggiato, la Suprema Corte perviene, in modo pressoché necessitato, per l’intento di evitare il riconoscimento di danni punitivi, reputati categoria giuridica incompatibile con il nostro ordinamento, risultato pratico in cui finirebbe con il risolversi il riconoscimento del  fatto stesso della lesione del diritto. Il retro-pensiero dogmatico emerge con chiarezza, anche letterale, in alcune pronunce della Suprema Corte; ad esempio: “Nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro; ne consegue che, pure nelle ipotesi di danno in re ipsa, in cui la presunzione si riferisce solo all’an debeatur (che presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque accidit) e non alla effettiva sussistenza del danno e alla sua entità materiale, permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno per equivalente pecuniario.”(Cassazione civile, sez. II, 12 giugno 2008, n. 15814; conformi sez. II, 27 ottobre 2008, n. 25849; sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20987; sez. III, 4 luglio 2007, n. 15131; sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183; sez. III, 8 novembre 2006, n. 23865).
Sui principi in tema di allegazione e domanda del risarcimento del danno non patrimoniale dopo le sentenze delle Sezioni Unite 26972-26975/2008. Sostiene la Corte “ E’ assai difficile, indicare un’altra sentenza che abbia alimentato nella comunità degli “operatori del diritto” la stessa forte attesa della sua emanazione e abbia successivamente generato un così intenso dibattito e pure così vivaci polemiche come le pronunce gemelle n.26972-26975 del 14.11.2008 delle Sezioni Unite della Suprema Corte
di Cassazione. Molti l’hanno apprezzata per lo sforzo ricostruttivo nella configurazione all’intero istituto del danno non patrimoniale, ricondotto a sistematica unità; molti altri l’hanno interpretata come l’emblema di una svolta restauratrice e conservatrice, repressiva di quella più pregnante tutela dei diritti della personalità insuscettibili di riconduzione ad una logica “reddituale”, prepotentemente richiesta dalla società civile, invitando ad una accanita “resistenza” morale contro il suo messaggio; non è mancato tuttavia, pur nell’ambito di tale schieramento, anche chi ha colto nelle pieghe della pronuncia segni di importanti riconoscimenti di principio. In una prospettiva più tecnica, molti considerano la sentenza come una sorta di summa in cui si debbano trovare tutte le risposte, come se essa avesse fatto tabula rasa di tutte le esperienze precedenti; altri (e tali voci di perplessità non mancano anche all’interno del Supremo Collegio: cfr, ad esempio, Cassazione, Sez. III, 29191 del 12.12.2008) cercano di sottolinearne la natura di provvedimento pur sempre giurisdizionale, ancorché autorevolissimo, sforzandosi di circoscriverne efficacia e portata, anche al fine di evitare la prospettazione di questioni di legittimità costituzionale originate dall’enunciazione di un “diritto vivente” pedissequamente plasmato sulla base di una interpretazione letterale e restrittiva di passi della sentenza. Nell’opera di corretta interpretazione dell’insegnamento delle Sezioni, è necessario tener  perdere mai di vista, che la 26972/2008 è pur sempre una sentenza e non una fonte normativa, sicché non si registra alcun fenomeno di jus superveniens. Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l’art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l’illecito civile extracontrattuale definito dall’art. 2043 c.c. Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. In tali ipotesi non emergono, nell’ambito della categoria generale “danno non patrimoniale”, distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. E’ solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito”, e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario nè è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n. 15022/2005 n. 11761/2006, n. 23918/2006, che queste Sezioni unite fanno propri).” Che cosa significa, dal punto di vista strettamente processuale, la derubricazione di una voce di danno a sintesi descrittiva di un pregiudizio, classificabile nell’ambito del più ampio genus del danno patrimoniale? Al proposito meritano un cenno alcuni interessanti spunti giurisprudenziali. Una pronuncia del 24.11.2008 della Corte di Appello di Perugia, di poco successiva all’intervento delle Sezioni Unite, osserva persuasivamente:
“Stando alla nuova impostazione unitaria del danno non patrimoniale dettata dalle Sezioni Unite (Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972), nessuno spazio sembra essere riservato, sul piano liquidatorio alle voci di pregiudizio “degradate”. Peraltro, tale “degradazione”, se ben si è inteso il senso dell’ “arresto”, rileva unicamente sul piano nominale. E’ da ritenere, invero, dato certo ed inoppugnabile che ai fini liquidatori tutti i pregiudizi devono venire in rilievo, al fine di garantire il risarcimento integrale, essendo stato ribadito che il giudice deve”procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando anche le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Se pure “la parte del leone” è riservata al danno biologico, al danno biologico stesso è attribuita la “capacità di ricomprendere (con il corredo di una contabilizzazione riferita alle pieghe ripercussionali concretamente determinatesi), il pregiudizio morale e quello esistenziale”.
Le Sezioni Unite (Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972), dunque, non hanno determinato una deminutio di tutela, bensì una visione prospettica di questa diversa.” Osserva ancora  la Corte che  l’intervento del Legislatore con il Codice delle assicurazioni private (decreto legislativo 7.9.2005, n. 209) che con gli artt. 138 e 139 ha descritto un danno biologico, comprensivo degli aspetti c.d. “dinamici” o “relazionali”,in termini di “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.” Importante novità della disciplina del Codice delle assicurazioni è rappresentata dall’introduzione della tabella unica nazionale per la liquidazione del danno biologico,sia sotto il profilo della previsione dell’incidenza percentuale delle varie menomazioni,sia sotto il profilo del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto alla luce dei coefficienti di variazione in dipendenza dell’età del soggetto leso; tale disciplina è stata dettata sia per le lesioni di non lieve entità superiori ai nove punti percentuali (sia pure con disposizione programmatica ancora priva della indispensabile tabella applicativa),sia per le lesioni di lieve entità (pari o inferiori al 9%), così sostituendo le previsioni e i valori di cui alla legge n.57 del 2001 e successive modifiche, relativamente alle cosiddette “micro permanenti”. La normativa del Codice fissa con l’art.138 per le macropermanenti e con l’art.139 per le micropermanenti i valori utilizzabili per la liquidazione, contemplando la possibilità di un aumento massimo rispettivamente del 30% per le macropermanenti e del 20% per le micropermanenti (art.138, comma 3, e art.139, comma 3) in presenza di una rilevante incidenza della menomazione su specifici aspetti dinamico-relazionali personali. I limiti legali al risarcimento del danno alla salute previsti dal Codice delle assicurazioni,ut supra quantitativamente differenziati a seconda della natura della lesione (micropermanente  o macropermanente), non suscitavano peraltro un particolare interesse, prima delle pronunce delle Sezioni Unite del 2008, sia perché erano collegati al sistema di calcolo del danno affidato a tabelle nazionali (al momento sussistente per le sole c.d. “micropermanenti”), sia e soprattutto perché nessuno aveva sostenuto – e forse nemmeno pensato – che le limitazioni risarcitorie sopra indicate si applicassero anche al danno morale. Da più parti ci si è interrogati, tenuto conto della valenza costituzionale del risarcimento del danno alla persona, alla luce del secondo comma dell’art. 3 della Costituzione e del principio della necessaria integralità del risarcimento, circa il rischio di illegittimità costituzionale dell’introduzione di limitazioni massime al risarcimento del danno alla persona, che non appaiano ragionevolmente giustificate da un interesse pubblico di rilievo costituzionale. Almeno in linea di principio non sembra da escludersi la sussistenza di un apprezzabile interesse pubblico all’introduzione di un limite legale massimo del risarcimento, al fine di stabilizzare il mercato assicurativo e soprattutto di garantire una certa “uniformità” dei risarcimenti sul territorio nazionale ed una loro minima prevedibilità. Il riconoscimento astratto dell’ammissibilità dell’introduzione di soglie-limite, di per sé non contrastante con la Costituzione, non significa però che il Legislatore non debba rispettare congrui parametri di ragionevolezza per introdurre le soglie. E’ in tale scenario che matura il sospetto di incostituzionalità delle norme di cui agli 138 e 139 Codice delle assicurazioni ove le stesse fossero reinterpretate alla luce del “nuovo” art. 2059 c.c., così come ri-concepito dalle Sezioni Unite. Il più logico percorso ermeneutico, che sembra incontrare il favore delle prime risposte da parte della giurisprudenza di merito (cfr in termini vari, ad esempio: Trib. Catanzaro,sez. I civile, sentenza 15 marzo 2009; Tribunale Milano, sez. V civile, del 19 febbraio 2009 n. 233428; Tribunale di Bologna, sez. III, sentenza 29 gennaio 2009; Tribunale Nola, sez. II, 22 gennaio 2009, Tribunale Rovereto, 2 marzo 2009; Tribunale Palermo, sez. III civile, sentenza 3 giugno 2009), consiste nell’interpretare, in modo costituzionalmente orientato, gli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni nel senso che le soglie limite ivi contemplate (la prima delle quali al momento ancora non operativa) non si riferiscono alle voci (sottovoci o sintesi descrittive) di danno diverse dal biologico, così selezionando quella che fra le varie interpretazioni possibili della normativa non si pone in rotta di collisione con la Costituzione. Deve ritenersi, pertanto, che l’esclusione della possibilità di liquidare autonomamente la  voce del “danno morale” quale categoria descrittiva, non comporti, tuttavia, l’irrilevanza di tale sottovoce ai fini della quantificazione del “danno non patrimoniale” subito dalla vittima dell’illecito, al fine di garantire un ristoro “integrale” del pregiudizio sofferto. Tale linea ermeneutica è stata, del resto, fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità successiva alle sentenze gemelle (Cass. 12 dicembre 2008, n. 29191; Cass. 13 gennaio 2009, n. 379; Cass., SS.UU., 14 gennaio 2009, n. 557), che ha affermato che l’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, è bene tutelato dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, sicché il giudice deve valutare tale voce di danno a fini risarcitori, sia che esso si produca contestualmente al danno alla  salute sia che si realizzi indipendentemente da esso, stante la diversità, l’autonomia e la rilevanza costituzionale del bene protetto. In tempi recentissimi si è registrato un altro pronunciamento della Corte di Cassazione (Sezione III°- sentenza 20 maggio 2009, n. 11701) sul tema, con cui è stato ribadito il diritto del danneggiato al risarcimento del pregiudizio da sofferenza morale, non assorbito dalla presenza di un pregiudizio biologico medicalmente accertato, da apprezzare equitativamente e senza automaticità proporzionali nel contesto di una valutazione integrata e complessiva del danno non patrimoniale. La Suprema Corte ha così censurato la sentenza di merito per non aver provveduto ad  un completo ristoro del danno non patrimoniale, componente morale:
Nella sentenza n. 13530 dell’11-6-2009, , la III° Sezione Civile della Cassazione, dopo aver ricordato che la decisione delle Sezioni Unite, pone “un duplice scudo di tutela per i diritti umani fondamentali, sia da illecito aquiliano che da illecito contrattuale, e pertanto tale filonomachia [rectius: nomofilachia] si conforma alla grande tradizione europea del riconoscimento e concreta tutela civile e giurisdizionale dei diritti fondamentali (che la Carta di Nizza ed il Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 152, impongono agli Stati della Unione)”.  La posta del danno morale deve essere dunque comparata a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della Costituzione. Al contrario il  danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave, in relazione all’attentato alla dignità morale del minore ed alla compromissione del suo sviluppo interrelazionale e sentimentale. La regula iuris della unitarietà del danno non patrimoniale, affida al giudice un obbligo giuridico di completa ed analitica motivazione giuridica per la ponderazione delle voci di danno giuridicamente rilevanti, tanto più quando vengono in esame varie e contestuali lesioni di diritti umani. Non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale, proprio perchè questo ultimo non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana, di cui tanto si discute per l’autodeterminazione delle scelte di vita e di fine vita. La prudenza e la coscienza sociale del giudice terrà conto dunque della gravità e della serietà delle lesioni, che hanno decisamente superato la soglia della tolleranza, per colpire beni essenziali della persona di un minore innocente, con una valutazione unitaria coerente e personalizzante. Questa è la lezione delle Sezioni Unite che tutti i giudici debbono applicare”. Con sentenza 8 Febbraio-10 Marzo 2010 n. 5770 il Supremo Collegio ha ribadito che “Nella liquidazione del danno non patrimoniale, derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve, in ogni caso, tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento. Al fine della liquidazione del danno non patrimoniale, è appena il caso di ricordare che nella quantificazione del danno morale la valutazione di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, si deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi l’adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico”. Il problema, attuale e scottante, è se operino al riguardo le soglie massime di cui agli artt.138 e 139 del Codice delle assicurazioni (ovviamente per i fatti illeciti soggetti a tale disciplina). In dottrina si è sostenuto che nel caso di danno alla salute provocato da sinistri stradali, e che abbia avuto esiti permanenti non superiori al 9 per cento, la fissazione della misura del risarcimento ad opera direttamente della legge, con la ricordata circoscritta possibilità di aumentare il relativo importo non oltre il 20%, impone di considerare la sofferenza causata dalle lesioni nella liquidazione del danno biologico, evitando la duplicazione risarcitoria di affiancare alla liquidazione del danno biologico quella del pregiudizio un tempo definito danno morale, suscettibile quindi di valutazione solo come fattore di personalizzazione della liquidazione del danno biologico nell’ambito dell’aumento del 20%. La stessa dottrina (salvo poi dubitare della ragionevolezza costituzionale dell’entità della soglia) ritiene che analoga limitazione varrà anche per i danni con postumi superiori al 9%, non appena sarà emanato il decreto di approvazione della tabella delle invalidità e assicurazioni relativamente alle c.d. macropermanenti, con l’unica differenza della soglia limite fissata ex lege nel 30%. La Corte non ritiene corretta tale lettura di norme di diritto positivo elaborate in un contesto storico e sistematico che si riferiva al solo danno alla validità biologica medicalmente accertato, e non già al pregiudizio all’integrità morale della persona. Ogni residuo dubbio é peraltro dissipato dalla necessità di adottare una lettura costituzionalmente orientata della normativa del Codice delle assicurazioni che ne assicuri, oltre che l’aderenza alla sua origine storica e funzione sistematica, la compatibilità con i valori costituzionali. Tale compatibilità sarebbe sicuramente pregiudicata dall’introduzione di un tetto percentuale vincolante al risarcimento dell’integrità morale della persona, fra l’altro irrazionalmente collegato all’entità del danno biologico; vi possono essere lesioni assai lievi che cagionano un forte trauma alla persona che le subisce (si pensi alla ferita non grave, ma impressionante, esemplificata in dottrina), vi possono essere fatti illeciti che provocano un trauma morale molto più consistente di quello fisiologico (si pensi al caso degli abusi sessuali su cui è intervenuta la sentenza 13530/2009 della Cassazione)”.
A giudizio di questo decidente, è innegabile e va affermata la sicura risarcibilità del danno non patrimoniale (sub specie di danno morale), e sono da ritenere non condivisibili  quelle prassi liquidatorie  che non riconoscono  la risarcibilità del morale. Da qualsiasi angolo di visuale, la pietra miliare del danno non patrimoniale, non può che identificarsi nell’imprescindibile stima e liquidazione di ogni pregiudizio patito dal danneggiato alla propria integrità psico-fisica, agli aspetti dinamico relazionali personali oltre al pretium doloris.
Il danno non patrimoniale “da sofferenza” consiste nel patimento interiore (temporaneo o no) causato dall’illecito: sia per il turbamento e per i disagi che esso ha in concreto comportato, sia per le privazioni cui ha costretto la vittima. Come osserva il Tribunale di Torino, ai soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione. Rientrano in questo gruppo i casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p. es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi o con postumi minimi. In questi casi la “sofferenza morale” è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea. Considerata però la temporaneità del “pregiudizio morale”, si ritiene che la liquidazione debba essere contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico. Rientrano in questo gruppo i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità; ed è normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente, …)  e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti. Anche in questo caso, al pari di quello che precede, il “patimento morale” è il portato di una lesione fisica, pur essendo ontologicamente diverso da essa (e ciò giustifica il riconoscimento di questa voce di danno in aggiunta a quello biologico); anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico. Va però considerato che, nella normalità dei casi, il primo dei pregiudizi sopra descritti (sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica) può ritenersi provato in via presuntiva, poiché è normale che dalla lesione alla integrità fisica derivi questo tipo di sofferenza; non così il secondo (sofferenza derivante dal non poter fare), che deve essere positivamente dimostrato dando la prova delle attività cui prima si era dediti e che sono oggi precluse. Il danno in oggetto, ove sia limitato alla sofferenza morale derivante dalla lesione, possa essere liquidato in misura variabile da un quarto alla metà del danno biologico; qualora invece siano provati  pregiudizi ulteriori (non poter svolgere specifiche attività cui il danneggiato era effettivamente e con una certa continuità dedito), indicativi di una più  intensa “sofferenza da privazione”, il danno vada liquidato in misura superiore, da un minimo di un terzo a un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico. Rientrano in questo gruppo i casi in cui il “patimento” da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico, il quale può essere minimo o anche del tutto assente; si pensi al danno derivante da una diffamazione; ovvero quello derivante dall’essersi sottoposto a un lungo e penoso ciclo di cure mediche inutili (pur se non dannose). In dette ipotesi la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità del singolo caso. Nella fattispecie de qua, sussiste la base probatoria essenziale per ipotizzare anche la risarcibilità del danno non patrimoniale da sofferenza morale in applicazione del disposto di cui all’art. 2059 c.c., essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato. A poca distanza di tempo dalle decisione n. 26972/2008 delle SS.UU. della Cassazione si registra un importante intervento del Legislatore che, seppur in una materia del tutto peculiare, interviene in un settore speciale. Si tratta del D.P.R. 3 Marzo 2009 n.37- regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell’articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244). L’art. 5 del suaccennato decreto, introduce criteri legali per la determinazione dell’invalidità permanente. La percentuale d’invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, è attribuita scegliendo il valore più favorevole tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidità e relative modalità d’uso approvate, in conformità all’articolo 3, comma 3, della legge 29-12-1990, n. 407, con il DM 5 febbrai 1992 e successive modificazioni, e il valore determinato in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915.  La percentuale del danno biologico (DB) e’ determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri applicativi di cui agli articoli 138, comma 1, e 139, comma 4, del D.Lgs.  209, del 7 settembre 2005, e successive modificazioni. La determinazione della percentuale del danno morale (DM) viene effettuata, caso per caso, tenendo conto della entità della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all’evento dannoso, in una misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico. La percentuale di invalidità complessiva (IC), che in ogni caso non puo’ superare la misura del cento per cento, è data dalla somma delle percentuali del danno biologico, del danno morale e del valore, se positivo, risultante dalla differenza tra la percentuale di invalidità riferita alla capacità lavorativa e la percentuale del danno biologico: IC= DB+DM+ (IP-DB).  Due rilievi sono importanti a giudizio del giudice Giuseppe Buffone: 
1°) Il Legislatore “collega” il danno biologico menzionato nel decreto in commento (37/2009) a quello di cui al Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 209/2005).
2°) nella determinazione del danno morale si deve tenere conto della “lesione alla dignità della persona”.
E’ chiaro, quanto al primo punto, che il Legislatore va introducendo un sistema risarcitorio del danno biologico compatto ed omologato, come disegnato nel D.Lgs. 209/2005 (artt. 138, 139), il che rende i teoremi del decreto 37/2009 non certo periferici ma emersione, a valle, di una mens legis unitaria a monte. E’ evidente, quanto al secondo punto, che il Legislatore richiama la giurisprudenza che ha dichiarato l’autonomia ontologica del danno morale facendone presidio della dignità umana. Il Legislatore, almeno stavolta, è assolutamente chiaro poiché ricorre alle formule matematiche. L’invalidità complessiva è uguale a: “DB + DM” (…). Danno biologico che si cumula al danno morale. Sconfessata, expressis verbis, la tesi della somatizzazione del pretium doloris.  Il ricorso alle “formule matematiche” (DB + DM) ed alle “sigle” (DB, DM) sembra, a giudizio del precitato autore, quasi voler scongiurare il rischio di una Torre di Babele interpretativa ove ogni augure assegna al concetto il significato giuridico che più gli aggrada.
Meritano un richiamo le nuove tabelle milanesi  “2009” per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita del rapporto parentale
“Le Tabelle milanesi utilizzate prima delle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione dell’11.11.2008, individuavano valori “standard” di liquidazione del c.d. danno biologico, parametrati alla gravità della lesione alla integrità psico-fisica e alla età del danneggiato, prevedendo poi la liquidazione del c.d. “danno morale” in misura variabile tra 1/4 e 1/2 dell’importo liquidato a titolo di danno biologico, nonchè la c.d. personalizzazione del danno biologico, con aumento fino al 30% dei valori “standard”, in riferimento a particolari condizioni soggettive del danneggiato. A seguito del nuovo indirizzo giurisprudenziale di cui alle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione dell’11.11.2008, l’Osservatorio per la giustizia, civile di Milano ha rilevato l’esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute e ha constatato l’inadeguatezza dei valori monetari finora utilizzati nella liquidazione del c.d. danno biologico a risarcire gli altri profili di danno non patrimoniale. Ha proposto  quindi la liquidazione congiunta:
del danno non patrimoniale conseguente a “lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale”, sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari, e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “dolore”, “sofferenza soggettiva”, in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione, vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di:
-c.d. danno biologico “standard”,
-c.d. personalizzazione  -per particolari condizioni soggettive- del danno biologico,
-c.d. danno morale.
Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, il predetto osservatorio ha quindi pensato:
-a una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di
sofferenza soggettiva);
-a una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi  -onde consentire una adeguata “personalizzazione” complessiva della liquidazione-  laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare:
-sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al “dito del pianista dilettante”),
-sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo), ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori massimi in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti.
La versione finale delle nuove Tabelle -varata nella riunione dell’Osservatorio del 28-4-2009 segue ed innova l’impianto delle precedenti tabelle quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all’integrità psico-fisica, in particolare:
individuando il nuovo valore del c.d. “punto” partendo dal valore del “punto” delle Tabelle precedenti   (relativo alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato -in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione “medio” anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla “sofferenza soggettiva” di una percentuale ponderata (dall’1 al 9% di invalidità l’aumento è del 25% fisso, dal 10 al 34 % di invalidità l’aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l’aumento torna ad essere fisso al 50%), così tenendo conto del fatto che, a partire dal 10% di invalidità, in concreto le liquidazioni giurisprudenziali ante 11.11.2009 si sono costantemente attestate intorno ai valori più alti della fascia relativa al c.d. danno morale, secondo le tabelle all’epoca in uso parametrato tra un quarto e la metà del valore di liquidazione del c.d. danno biologico e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione. A seguito del nuovo orientamento giurisprudenziale, l’Osservatorio ha  prospettato poi anche una rivisitazione dei valori in passato liquidati a titolo di c.d. danno biologico e morale temporaneo, anche in questo caso proponendo una liquidazione congiunta dell’intero danno non patrimoniale “temporaneo” derivante da lesione alla persona. In particolare, sempre tenuto conto dei precedenti degli uffici giudiziari di Milano, ha divisato:
-per il risarcimento del danno non patrimoniale “temporaneo” complessivo corrispondente a un giorno di invalidità temporanea al 100%, una forbice di valori monetari, da un minimo di euro 88/00 ad un massimo di euro 132/00 (il valore minimo della forbice è stato ottenuto aumentando del 25% il valore base di liquidazione -rivalutato al 2009 e pari a euro 70/56  finora in uso per la liquidazione del c.d. danno biologico temporaneo-  mentre il valore massimo è stato ottenuto aumentando il valore minimo del 50 %), onde così consentire l’adeguamento del risarcimento alle caratteristiche del caso concreto. 
Sull’applicazione delle tabelle elaborate del Tribunale di Milano ai fini del risarcimento del pregiudizio non patrimoniale extrabiologico, recentemente si è espressa la Corte d’Appello di Catania  con sentenza n. 885 del 20 luglio 2010 :
“.. può condividersi l’opera ermeneutica della S.C., attraverso la quale, superato ormai, il feticcio preclusivo di cui all’art. 2059 c.c., tuttavia, per un verso, è stato escluso lo snaturamento dell’illecito non patrimoniale, il quale deve conservare natura tipica, e, per altro verso, impedito che, sotto le più varie etichette nominalistiche si possa ottenere ristoro, in assenza di lesione di specifiche posizioni garantite dalla legge, o dai principi costituzionali. Cosicché in aderenza al detto autorevole orientamento giurisprudenziale, se è pur vero che il danno non patrimoniale derivante dalla sofferenza psichica (o per meglio dire morale) causata, quale conseguenza diretta, dalle lesioni fisiche patite costituisce intima componente di queste ultime, non può negarsi, per un verso, che prima del riferito autorevole radicale mutamento d’indirizzo, le tabelle curiali solitamente in uso, tenendo distinti i due profili di danno, per forza  di cose, contenevano il ristoro del “biologico” al c.d. “biologico in senso stretto”, per altro verso, che l’intervento interpretativo della S.C. impone, secondo il suo stesso dettato, che il Giudice qualora si avvalga delle note tabelle dovrà procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Difatti, se vanno scongiurate duplicazioni, del pari, non possono ammettersi menomazioni del principio dell’integrità del risarcimento. Senza necessità di giungere a non tanto larvate sconfessioni dell’arresto delle SS.UU. ad opera, peraltro, anche di statuizione della stessa S.C. a sezione semplice ( Cass. 12 dicembre 2008 n. 29191), deve si condividere l’esigenza di far luogo ad adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, il quale tenga conto del pregiudizio patito dal soggetto, oltre che sul piano anatomo-funzionale, su quello della soggettiva sofferenza extrabiologica, dimostrabile anche per via di presunzioni. La detta quantificazione è rimessa all’integrazione equitativa del giudice, il quale, nell’orientarsi può fare riferimento a prassi curiali di questo o quell’ufficio, più o meno diffuse (le c.d. tabelle), fermo restando che il detto richiamo, perciò solo, non fa diventare normativa la prassi, dalla quale il giudicante può ben discostarsi . Questa Corte,  premesso non esservi obbligo per il giudice di aderire a questa o a quella prassi, tabellare o meno, attualmente in uso, rilevando solo che la quantificazione sia idonea a risarcire il pregiudizio non patrimoniale extrabiologico, che dall’evento si reputi essere derivato, anche in via presuntiva e non oltre quello, reputa congruo fare applicazione delle tabelle recentemente elaborate, dopo l’arresto delle SS.UU.,  dall’Osservatorio per la giustizia civile di Milano”.
In tema di danni alle vittime del terrorismo con il DPR n° 181, del 30.10.2009, G.U. 16.12.2009.
Il Legislatore riafferma, con forza, la valenza ontologica del danno morale quale autonoma categoria di danno in seno al pregiudizio non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. Il richiamato DPR, introduce un Regolamento recante i criteri medico-legali per l’accertamento e la determinazione dell’individualità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell’articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n° 206. In questo nuovo intervento normativo, il Legislatore non solo continua a tenere distinte le due voci di danno ma addirittura offre una nozione legale di danno morale. Ai sensi dell’art. 1,  infatti:
a) per danno biologico, si intende la lesione di carattere permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito
b) per danno morale, si intende il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato.
Il DPR 181/2009 è l’ennesima ragionevole riconferma di un principio generale in una materia specifica che il danno morale è danno autonomo, che gode di indipendenza e dignità proprie, per cui non pare adeguata, come afferma il giudice Buffone, una valutazione automatica per indici percentuali che non tenga conto, caso per caso, del tipo di lesione, della natura del danno e delle circostanze dell’illecito.
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 3397 del 28/5/2010, ha statuito che  il danno non patrimoniale deve ritenersi risarcibile non solo nei casi contemplati da apposita previsione di legge ma anche in caso di lesione dei valori fondamentali della persona tutelati dalle disposizioni immediatamente precettive della Carta Costituzionale.
Con ordinanza del 17.9.2010 costituente il primo intervento del Supremo Collegio in ordine alla risarcibilità del danno morale in materia di micro invalidità, così si è espressa la III sezione civile della Corte di cassazione (Giudice di legittimità su sentenza resa dal Tribunale di Foggia quale Giudice d’appello del Giudice di Pace di Foggia): “Il motivo é manifestamente fondato. Il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali deriva da una precisa norma del codice civile (articolo 2059 cod. civ.), che la Legge n. 57 del 2001, non ha certo abrogato. L’articolo 5 della suddetta legge si è  limitato a dettare i criteri di liquidazione del danno biologico – cioé di quell’aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all’integrità fisica -senza per questo escludere che, nella complessiva valutazione equitativa circa l’entità della somma spettante in risarcimento, il giudice debba tenere conto anche delle sofferenze morali subite dal danneggiato. Le sentenze della Corte di cassazione a S.U. n. 26972 e 26973/2008 -citate dalla resistente- confermano tale principio, disponendo che non é’ ammessa la creazione di diverse tipologie autonome e a sè stanti di danno non patrimoniale (ed in particolare di quella del danno c.d. esistenziale), per attribuire una specifica somma in risarcimento di ognuna; ma che il giudice deve comunque tenere conto – nel liquidare l’unica somma spettante in riparazione – di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto (danno alla vita, alla salute, ai rapporti affettivi e familiari, sofferenze psichiche, danno alla salute, alla vita di relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.).
La sentenza impugnata ha commisurato la liquidazione esclusivamente al c.d. danno biologico, escludendo espressamente la risarcibilità delle sofferenze morali conseguenti alle lesioni fisiche, sulla base dell’errata interpretazione delle norme richiamate dal ricorrente e deve essere per questa parte cassata.  Va evidenziato infine che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.  e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento dell’autore del danno dovendosi essa ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge ( art. 2054 comma I^ c.c.) e se, ricorrendo la colpa sarebbe qualificabile come reato ( Cass. 12.5.2003 n. 7281). Ritiene questo giudicante che vada riconosciuto siffatto danno non patrimoniale e sia comunque necessario procedere a un’adeguata personalizzazione della liquidazione del medesimo che tenga conto della sofferenza morale, da considerarsi provata in base a semplice interferenza presuntiva, in relazione al sentimento normalmente percepito da un soggetto che subisce lesioni personali. In considerazione del periodo di ITA e ITP e dei postumi residuati consistenti in “dolore alla palpazione e alla digitopressione dei processi spinosi cervicali, modesta limitazione ai gradi estremi dei movimenti del rachide cervicale, detto danno può determinarsi in €. 250,00 oltre agli interessi dalla data del sinistro al soddisfo.
Spese di CTU medica
Le spese della CTU medica vengono liquidate in € 400/00 omnicomprensivi.
Spese processuali
Le spese processuali, ai sensi dell’art. 91 cpc, seguono la soccombenza e tenendo conto della nota spese, della natura, del valore della controversia, della somma liquidata, dell’attività difensiva svolta e della fascia di valore,  vanno liquidate,  in complessivi € 620/00,  di cui € 120/00 per spese, € 200/00 per diritti ed  € 300/00 per onorario,  oltre 12/50 % spese generali ex art. 14 D.M. 127/2004, IVA e  CPA. nelle misure di legge e sugli imponibili  e distratte in favore del procuratore antistatario.  L’obbligazione risarcitoria da porre a carico dei convenuti in solido  viene ad ammontare ad € 1.548/00, somma sulla quale  vanno corrisposti gli interessi legali come da parte motiva, oltre spese di CTU e  processuali come sopra fissate e quest’ultime distratte.
 
                                                                                   P.Q.M.

Il Giudice di Pace, definitivamente pronunziando nella causa civile n°.1069/2011 R.G., promossa da G. Maria  contro Groupama Assicurazioni spa e F. Andrea Angelo, accoglie la domanda nei limiti  precisati e, per l’effetto, condanna in solido i convenuti a corrispondere a parte attrice la somma di € 1.548/00 con  gli interessi legali come in motivazione, oltre spese di CTU e  processuali come sopra fissate  e quest’ultime distratte. La sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti ai sensi dell’art. 282 c.p.c. come da ultimo modificato dalla Legge n. 534/1995.  Così deciso in Mascalucia  lì 28.5.2012.  
                                                                      
                                                                          Il Giudice di Pace  Avv. Antonio Zarrillo   

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