Corte di Cassazione n° 16455/09 – risarcimento danni subiti dai familiari di una vittima di un sinistro stradale – 15.07.09. –

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, avente ad oggetto una domanda di risarcimento danni formulata dai familiari di una vittima di un sinistro stradale, ha ribadito che :”secondo il nuovo orientamento espresso da questa sezione (Cass., 9.2.2005, n. 2653), confermato dalle sezioni unite con la recentissima sentenza 1.7.2009, n. 15376, per “persona danneggiata” deve intendersi non già la sola vittima diretta dell’incidente, ma ogni soggetto che, come ciascuno degli stretti congiunti, abbia direttamente subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, in conseguenza della morte o dell’invalidità che abbia colpito il soggetto immediatamente pregiudicato”  

                                                           CORTE DI CASSAZIONE 

                                                                – Sezione Terza – 

                                                 Sentenza del 15 luglio 2009, n. 16455 

Ritenuto in fattoche nel 1984 L. A. e F. V. agirono giudizialmente nei confronti di D. C. e dell’assicuratore per la r.c.a. Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a. per il risarcimento dei danni conseguiti alla morte di A. V., investito nel ( … ) dall’autovettura del primo, di cui era stata accertato in sede penale l’apporto eziologico colposo per l’80%;
che identica domanda fu proposta da O. M. con atto di citazione notificato il 13.3.1993 e che nelle more dei giudizi riuniti l’assicuratore fu posto in liquidazione coatta amministrativa (con d.m. del 31.5.1993), sicché il giudizio proseguì nei confronti del commissario liquidatore e di M. B., erede del C.; 
che con sentenza n. 4763/96 l’adito tribunale di Roma condannò la B. al risarcimento nei confronti degli attori ed accertò il credito dei medesimi nei confronti della Tirrena in liquidazione;
che la sentenza fu appellata in via principale dagli attori (che lamentarono errori di calcolo nella liquidazione) e in via incidentale dalla Tirrena in liquidazione e dall’impresa designata Assitalia s.p.a., la quale tra l’altro domandò che la sentenza fosse “dichiarata opponibile all’impresa designata fino alla somma di lire 75.000.000″ (così, testualmente, in sede di precisazione delle conclusioni); 
che con sentenza n. 1839/04 la corte d’appello di Roma, corretto l’errore in accoglimento dell’appello principale, ha – per quanto in questa sede interessa – respinto l’appello incidentale dell’Assitalia nell’assunto che la stessa, “per effetto della successione ope legis quale impresa designata” (penultima pagina della sentenza impugnata) dovesse rispondere anche del colpevole ritardo della Compagnia Tirrena di Assicurazioni s.p.a. nel versamento del massimale convenzionale di lire 200.000.000 (dunque rivalutato in lire 439.120.000, oltre interessi e spese);
che avverso detta sentenza ricorre per cassazione Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia, affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria, cui resistono con controricorso L., A. e F. V..   Considerato in dirittoche con i due motivi di ricorso la sentenza è censurata per violazione degli artt. 20, 21 e 25 della legge n. 990 del 1969, di altre norme di diritto sostanziale, degli artt. 112 e 113 c.p.c. e per vizio di motivazione per avere la corte d’appello, condannando la ricorrente impresa designata non entro il limite del massimale di legge rivalutato (lire 75.000.000 x 2.20) ma in relazione a quello convenzionale di polizza rivalutato (lire 200.000.000 x 2.20):
a) ritenuto che il limite massimo di responsabilità del Fondo di garanzia, e dunque dell’impresa designata, non fosse quello minimo obbligatoriamente stabilito per legge, ma quello contrattualmente determinato in misura superiore dalle parti;
b) erroneamente affermato che l’appello della Tirrena in liquidazione e quello della designata Assitalia fossero entrambi volti a contenere il risarcimento entro i limiti del massimale di polizza (mentre l’Assitalia mirava a contenerlo in quelli di legge);
c) errato anche nell’affermare (v. ultima parte dell’illustrazione del primo motivo) che dagli atti non risultava il pagamento del residuo massimale di lire 63.106.796;che la terza censura (sub c) è inammissibile perché prospettata come violazione di legge (nella sentenza impugnata comunque non si rinviene la relativa affermazione);
che le prime due sono invece fondate: la seconda poiché risulta inequivocamente che l’appello incidentale dell’Assitalia era volto al contenimento della propria responsabilità nei limiti del massimale di legge indicato in lire 75.000.000;
la prima poiché “il principio secondo il quale l’impresa designata risponde dell’obbligazione da ritardo dell’impresa posta in liquidazione anche oltre il limite del massimale (ex plurimis: Cass., nn. 23870/06, 21744/06, 6283/03, 6366/90, 135/89) va inteso nel senso che il massimale cui occorre fare riferimento quanto al diritto dei danneggiati nei confronti del fondo di Garanzia, e dunque dell’impresa designata, è pur sempre quello di legge;
è infatti perfettamente in linea coi principi dettati dalla legge n. 990 del 1969 che la società assicuratrice posta in liquidazione rimanga obbligata nei limiti dell’importo del massimale convenzionale maggiorato per rivalutazione e interessi, e che l’impresa designata alla liquidazione dei danni per conto del Fondo di garanzia per le vittime della strada sia invece condannata nei minori limiti del massimale di legge, salva anche qui la maggiorazione di cui s’è detto, ma da commisurarsi appunto al massimale di legge e non a quello convenzionale (cfr., sul punto, Cass., n. 23870 del 2006, nella parte finale della motivazione)”;
che le osservazioni dei controricorrenti circa la mancanza di prova dei limiti dei massimali di legge all’epoca vigenti (in base al decreto ministeriale che viene periodicamente emesso e che sarebbe privo di valenza normativa, con conseguente onere probatorio a carico di chi lo invochi) sono superate dal rilievo che quel limite era stato indicato in appello incidentale dall’Assitalia (solo in quella sede intervenuta, come era consentito dalla disciplina speciale dettata dalla l. n. 990 del 1969) e che non si afferma essere stato contestato dalla controparte;
dunque, la prova che quello e non altro era il limite applicabile era del tutto superflua in relazione al principio, ormai consolidato dopo Cass., sez. un., n. 761 del 2002, secondo il quale non v’è bisogno di offrire la prova dei fatti non specificamente contestati (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 10031/04, 5191/08, 13079/08, 5356/09);
che, tuttavia, la fondatezza dei primi due motivi non può condurre all’accoglimento del ricorso, in quanto non si afferma che l’impresa designata sia stata condannata a pagare o comunque abbia versato una somma superiore al massimale di legge, rivalutato e maggiorato dei possibili interessi compensativi, per ogni persona danneggiata (lire 75.000.000, da rivalutarsi mediante moltiplicazione per 2,20, secondo quanto riconosciuto dalla stessa ricorrente in ricorso, a pagina 7, terzultima riga);
che, secondo il nuovo orientamento espresso da questa sezione (Cass., 9.2.2005, n. 2653), confermato dalle sezioni unite con la recentissima sentenza 1.7.2009, n. 15376, per “persona danneggiata” deve intendersi non già la sola vittima diretta dell’incidente, ma ogni soggetto che, come ciascuno degli stretti congiunti, abbia direttamente subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, in conseguenza della morte o dell’invalidità che abbia colpito il soggetto immediatamente pregiudicato;
che neppure è dedotto il superamento del cosiddetto limite catastrofale di legge, collegato al sinistro inteso come evento;
che il ricorso va dunque respinto con la condanna della ricorrente alle spese;   

                                                                       P.Q.M.
 

la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.200, di cui euro 5.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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