Corte di Cassazione n° 6888/2011 – sinistro stradale -segnale di stop – responsabilità del conducente del veicolo avente la precedenza -24.03.2011.-

La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha ribadito un importante principio, in tema di responsabilità derivante dalla circolazione stradale: “L’obbligo di arrestarsi allo “stop” non è eliso dalla violazione di norme di comportamento anche da parte del conducente di altro veicolo avente diritto alla precedenza; nè può essere considerata decisiva la richiamata contestazione, al conducente dell’altro veicolo, della violazione dell’art. 141 C.d.S., comma 2, atteso il contenuto della disposizione violata, che contempla semplicemente il “dovere del conducente di conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile”.

 

 

 

                                                                SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


                                                                            SEZIONE II CIVILE


                                                              ORDINANZA 24 MARZO 2011, N. 6888

 

(Presidente settimj – Relatore De Chiara)

 

                                                                        PREMESSO IN FATTO

 

 

1. – Con la sentenza impugnata il Tribunale di Bergamo, in accoglimento dell’appello del Comune di Seriate, ha respinto l’opposizione proposta dalla Dott.ssa M.P.Z. a verbale di accertamento della violazione dell’art. 145 C.d.S., commi 5 e 10 (omissione di arresto allo “stop”).

Il Tribunale ha osservato: a) che non sussisteva contraddizione tra il verbale di accertamento e il rapporto redatti dalla Polizia Locale: semplicemente, nel secondo si’ dava atto di una ulteriore circostanza irrilevante, e cioè che la Z. si era sulle prime arrestata allo “stop”, ma per un tempo insufficiente ad evitare l’impatto, una volta ripresa la marcia, con altro veicolo avente diritto di precedenza; b) che la prova dell’illecito era basata su quanto dichiarato dall’incolpata ai verbalizzanti; c) che non vi era prova del dedotto stato di necessità.

2. – La Dott.ssa Z. ha proposto ricorso per cassazione per tre motivi, cui l’amministrazione comunale intimata ha resistito con controricorso.

Con relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il Consigliere relatore ha ritenuto che tutti i motivi di ricorso siano da disattendere.

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

 

                                                                     CONSIDERATO IN DIRITTO

 

3. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge. Si chiede a questa Corte di affermare che contrasta con il dovere di motivazione degli atti amministrativi, sancito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, integrare ex post la motivazione di un atto mediante le contrastanti indicazioni contenute in un secondo atto.

3.1. – Il motivo – che è riferito alle asseritamente contrastanti risultanze del verbale e del rapporto della Polizia Locale – è inammissibile in quanto presuppone un fatto – il contrasto, cioè, fra i due atti – che viene invece espressamente escluso dalla sentenza impugnata; sicchè sarebbe stato necessario articolare, semmai, una acconcia censura di vizio di motivazione.

3. – Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la sentenza impugnata: a) pur affermando di basarsi sulle dichiarazioni rese dall’incolpata ai verbalizzanti, non rechi la sintesi di tali dichiarazioni; b) non si dia carico della circostanza, risultante dagli atti, che il veicolo con il quale si era scontrato quello della Z. sbucava a forte velocità da una curva, tanto che colei che lo guidava era stata a sua volta contravvenzionata per violazione dell’art. 141 C.d.S., commi 2 e 11: il che confermerebbe come, al momento del primo arresto da parte della Z., quel veicolo non ci fosse e fosse comparso, invece, solo allorchè la medesima aveva ripreso la marcia.

3.1. – Il motivo non può essere accolto per le seguenti ragioni.

3.1.1. – Quanto alla censura sub a), va osservato che il contenuto, evidentemente autoaccusatorio, delle dichiarazioni dell’incolpata è chiaramente evincibile, per quanto necessario e sufficiente ai fini della comprensione del ragionamento del giudice, dal contesto in cui si fa ad esso riferimento.

3.1.2. – La censura sub b), poi, attiene a circostanze non decisive. Infatti, l’obbligo di arrestarsi allo “stop” non è eliso dalla violazione di norme di comportamento anche da parte del conducente di altro veicolo avente diritto alla precedenza (cfr., da ult., Cass. 8552/2009); nè può essere considerata decisiva la richiamata contestazione, al conducente dell’altro veicolo, della violazione dell’art. 141 C.d.S., comma 2, atteso il contenuto della disposizione violata, che contempla semplicemente il “dovere del conducente di conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile”.

4. – Con il terzo motivo, denunciando violazione di legge, si chiede a questa Corte, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., comma 1, di affermare che sussiste lo stato di necessità “nel caso in cui il guidatore di un’auto, fermatasi alla barra di arresto di uno Stop e ripresa la marcia per attraversarlo, debba nuovamente arrestarsi, a causa del sopraggiungere alla propria sinistra di un’auto a forte velocità sbucata da una curva della strada di immissione”.

4.1. – Il motivo è inammissibile, dato che l’addebito mosso all’incolpata non era di essersi arrestata nuovamente al sopraggiungere dell’altro veicolo, ma piuttosto di non essersi arrestata prima.

5. – Pertanto il ricorso va respinto, con condanna della ricorrente – secondo la regola della soccombenza – alle spese processuali, liquidate in dispositivo.

 

                                                                                   P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 600,00, di cui Euro 400,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

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