La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha accolto il ricorso di una casalinga che aveva impugnato una sentenza che le aveva riconosciuto solo il danno biologico e morale. Infatti, la Corte di Appello di Roma non aveva riconosciuto le richieste della donna, la quale, travolta da un’auto, aveva sostenuto che i postumi permanenti causati dal sinistro “avrebbero inciso sulla capacità lavorativa specifica e non generica”. Secondo la corte di Cassazione, invece, la casalinga, pur non percependo un reddito monetizzato, svolge un’attività suscettibile di valutazione economica che non si esaurisce nello svolgimento delle faccende domestiche, ma si estende anche al coordinamento della vita familiare. Per cui costituisce danno patrimoniale quello che la donna che lavora in casa subisce in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa.
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III,
Sentenza 19 marzo 2009, n. 6658
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
F.V. e V.G. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d’appello di Roma del 21 marzo 2003-27 gennaio 2004 che confermava integralmente la sentenza del Tribunale di Latina n. 686 del 2000, la quale – ritenuta la esclusiva responsabilità di B.P., conducente della vettura di proprietà di omissis s.r.l., assicurata presso SASA assicurazioni – condannava i convenuti in solido al pagamento della somma complessiva di lire 22.054.300 e 100.850.200 in favore di V.G. e F.V., a titolo di danno biologico e morale, disattese per entrambi le domande di risarcimento del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica.
Avverso tale decisione sia il G. che la V. hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Il difensore dei due ricorrenti ha partecipato alla discussione alla adunanza in data odierna.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la V. denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio; in particolare violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli articoli 4 e 37 della Costituzione che tutelano tutte le forme di lavoro prevedendo espressamente il ruolo della lavoratrice-casalinga.
I giudici di appello avevano pronunciato in aperta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto o pronunciato, ritenendo che i postumi permanenti residuati alla V., casalinga, incidessero nella capacità lavorativa generica – e non invece in quella specifica – e che rientrassero quindi nell’ambito del danno biologico già liquidato.
Correttamente, invece, il primo giudice aveva inquadrato la compromissione della capacità lavorativa della V. nella riduzione di capacità lavorativa specifica.
Sul punto non era stata proposta alcuna censura in sede di appello dalla compagnia di assicurazione né dalle altre convenute, sicché la decisione doveva ritenersi passata in giudicato.
In ogni caso, i giudici di appello avevano dimostrato di non conoscere la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il danno patito da una casalinga a seguito di infortunio rientra, a pieno titolo, nell’ambito di un danno alla capacità lavorativa specifica.
Il motivo è manifestamente fondato.
È appena il caso di porre in luce che la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, volge un’attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare, per cui costituisce danno patrimoniale (come tale, autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa (Cass. 9 febbraio 2005 n. 2639. Nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 11 dicembre 2000, n. 15580).
La sentenza impugnata, che non si è uniformata a tale principio, deve pertanto essere riformata.
Con il secondo motivo il solo G. denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, nonché violazione e falsa ed errata applicazione di norme di diritto.
La decisione della Corte romana era gravemente insufficiente e contraddittoria nel punto in cui aveva escluso qualsiasi danno alla capacità lavorativa specifica del G.. Infatti, questi, Comandante Alitalia, aveva dovuto cessare l’attività di volo ed accettare il pensionamento anticipato a causa di un intervento chirurgico effettuato nell’anno precedente l’incidente.
Dopo il sinistro del omissis aveva continuato a svolgere, presso la stessa Compagnia, attività di insegnante a terra con simulatori di volo, in qualità di collaboratore esterno, con una attività più ridotta, e con un minor guadagno rispetto a quello ottenuto nell’anno precedente.
I giudici di appello avevano negato, sulla base dell’accertamento di questa attività libero professionale (svolta nell’anno 1996 e 1997) che i postumi permanenti residuati al Comandante G. fossero tali da influire in qualche modo sulla capacità lavorativa dello stesso, sul rilievo che la documentazione fiscale prodotta dimostrava che guadagni del G., anche dopo il sinistro, erano stati all’incirca pari a quelli derivanti dalla attività libero professionale iniziata dopo il pensionamento.
Anche questo motivo è manifestamente fondato.
I giudici di appello, procedendo ad un esame accurato della documentazione fiscale acquisita agli atti (solo formalmente richiamata a pag. 8 della sentenza impugnata senza alcun riferimento ai dati ricavabili dagli stessi) avrebbero dovuto accertare se il G. avesse dato la prova sia dell’an che del quantum debeatur per la perdita definitiva del reddito in relazione alla attività libero professionale iniziata subito dopo il pensionamento, per i redditi percepiti negli anni che avevano preceduto l’incidente e per quelli relativi agli anni seguenti, dopo la interruzione dovuta alle conseguenze dirette dell’incidente stradale.
Tale danno, permanente e futuro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve essere integralmente risarcito, nella sua complessità, presentando per l’attualità la nota di danno emergente (poiché se manca il reddito emerge la necessità di ricorrere al risparmio accumulato o all’indebitamento o alla solidarietà) e di lucro cessante (come perdita, mancato guadagno che si protrae per l’intera esistenza).
Non può quindi condividersi l’assunto della Corte romana, che ha corretto il principio del risarcimento integrale, riducendolo e ponendo a carico del danneggiato un ulteriore e non richiesto onere della prova: quello di dimostrare che il lucro fosse effettivamente cessato, parzialmente o nella sua totalità. Tra l’altro, dal mancato decremento, o addirittura dall’incremento, di reddito successivamente all’invalidità permanente derivata da un incidente ad un soggetto, non può affatto desumersi automaticamente (come invece hanno ritenuto i giudici di appello) la mancanza di incidenza di tale invalidità sulla capacità lavorativa specifica di questi – e quindi la mancanza di danno per lucro cessante – in quanto, da un lato, le conseguenze del maggior impiego di energie, necessario per mantenere inalterato il reddito raggiunto precedentemente, possono manifestarsi anche a distanza di tempo, come nel caso di anticipata cessazione dell’attività medesima, oppure – come appunto dedotto dal ricorrente nel caso di specie – le stesse possono comportare la rinuncia ad altre attività più redditizie, ma più impegnative (cfr. Cass. 29 settembre 1997 n. 9542).
Costituisce, infine, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale la riduzione del reddito può essere dimostrata anche attraverso un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 1120 del 2006, 14026 del 2004).
Nel caso di specie, pertanto, i giudici di appello avrebbero potuto far ricorso ad una liquidazione in via equitativa, una volta accertato, sulla base della consulenza tecnica di ufficio, che le menomazioni conseguenti all’incidente avevano realmente cagionato all’infortunato una “obbiettiva riduzione della funzionalità vestibolare” con il risultato di impedire al G. la possibilità di completare l’iter addestrativo degli allievi, potendo egli ora addestrare il personale solo sui simulatori a postazione esterne e fissi.
Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, essendo manifestamente fondati entrambi i motivi di ricorso.
La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame, tenendo conto dei principi enunciati.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma anche per le spese del presente giudizio.