Corte di Cassazione n° 29334/08 – utilizzazione degli strumenti di misurazione destinati all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità -15.12.08. –

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Images: cassazione sito.jpgImportante sentenza della Corte di Cassazione, avente ad oggetto un ricorso avverso un verbale per violazione dei limiti di velocità, accertato a mezzo di apparecchiatura automatica. La Suprema Corte, in primo luogo ha precisato che l’accertamento delle violazioni suddette mediante autovelox non comporta alcuna violazione di principi costituzionali, poi ha richiamato la normativa con la quale il legislatore ha disciplinato l’utilizzazione degli strumenti di misurazione destinati all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità, nonché la normativa introdotta nel 2002 (DLgs. n. 9, DL n. 121, L. n. 168) con la quale il legislatore ha inteso regolare ex novo, onde colmare le lacune ordinamentali che avevano determinato difformi modalità attuative e dubbi di costituzionalità, la materia del rilevamento delle violazioni mediante apparecchiature elettroniche in determinate situazioni.  

                                                       CORTE DI CASSAZIONE

                                          Sezione II Civile
Sentenza n. 29334/2008

deposito del 15 dicembre 2008
  Fatto e diritto Il Comune di Corigliano Calabro impugna per cassazione la sentenza 1.6.05 n. 344 con la quale il G.d.P. in loco, su ricorso in opposizione proposto da E. S., ha annullato il verbale di contestazione n. 1678/V redatto il 24.2.04 dalla polizia municipale a carico dell’opponente per violazione dell’art. 142/IX CdS. La decisione impugnata fa parte d’una serie di sentenze con le quali il G.d.P. ha annullato numerosi verbali d’accertamento per violazione del limite di velocità, redatti dalla polizia municipale di Corigliano Calabro nei confronti d’una pluralità di trasgressori, per ritenuta illegittimità dell’omessa contestazione immediata dell’infrazione, accertata a mezzo d’apparecchiatura automatica, e per illegittima utilizzazione dell’apparecchiatura stessa, sulla base delle seguenti principali considerazioni: 
1 – che dell’utilizzazione d’apparecchiature elettroniche di rilevamento delle infrazioni non fosse stata data idonea informazione all’utenza;
2 – che il decreto prefettizio di classificazione del tratto di strada in discussione tra quelli nei quali l’utilizzazione d’apparecchiature elettroniche di rilevamento esonera dalla contestazione immediata fosse da ritenere carente d’elementi motivazionali e privo d’una congrua istruttoria eppertanto da disapplicare;
3 – che l’apparecchiatura utilizzata per la rilevazione fosse obsoleta, incompatibile con la normativa introdotta successivamente alla sua omologazione ed inidonea per mancata taratura periodica.
Il ricorrente, con i due principali motivi di ricorso – oltre un terzo sulle spese – denunzia:
 
A – Sotto distinti ed autonomi profili: Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: Violazione degli artt. 200 e 201 (in particolare comma 1 bis, lett. e) del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) e dell’artt. 384 e 385 del regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada (d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495). In subordine: Violazione degli artt. 200 e 201 (in particolare comma 1 bis, lett. f) del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285). Violazione dell’art. 4, d.l. 20 giugno 2002, n. 121, convertito con modificazioni con la l. 1 agosto 2002, n. 168. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge 20 marzo 186, n. 2248, all. E e dei principi di diritto in tema di disapplicazione. Violazione del Decreto del Prefetto di Cosenza 8.9.2003, n. 46. Violazione del diritto di difesa e delle norme processuali a tutela del predetto diritto costituzionale. (art. 360 n. 3 c.p.c.) Omessa, insufficienta  e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. 
B – Sotto distinti ed autonomi profili: Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: Violazione degli artt. 142 e 201 del Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) e dell’art. 345 del regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada (d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495). Violazione dell’art. 4, d.l. 20 giugno 2002, n. 121, convertito con modificazioni con la l. 1 agosto 2002, n. 168. Violazione dei decreti del Ministero dei Lavori Pubblici nn. 2961 del 27 novembre 1989 e 3480 del 19 settembre 1996. Violazione del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 29 ottobre 1997. (art. 360 n. 3 c.p.c.) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Il ricorrente ha anche suffragato con memorie le proprie tesi.
 Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale, pur concordando con le ragioni per le quali in sede d’esame preliminare era stata ravvisata la ricorrenza delle condizioni per la trattazione del ricorso con il procedimento ex art. 375 c.p.c., ha, tuttavia, chiesto ed ottenuto la trattazione in pubblica udienza, quivi ribadendo la richiesta di sospensione e di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale “per verificare … la compatibilità con gli artt. 3, 24, 97 e 111, 2° Cost.: della disciplina applicabile alla fattispecie (artt. 45, 6° C.d.S. – cui fa rinvio anche l’art. 4, 3° co., del D.L. n. 121 del 2002, quale risultante dalle modifiche ed aggiunte introdotte dalla L. n. 168 del 2002 – 142, 6° C.d.S., 192 reg. C.d.S. e 345 reg. C.d.S.); B. della disciplina generale sulle misurazioni (R.D. n. 7088 del 1890 e relativo regolamento approvato con R.D. n. 242 del 1909, e successive integrazione e modificazione, compresa soprattutto la L. n. 273 del 1991), in quanto non applicabile ai misuratori della velocità previsti dalla specifica disciplina testé ricordata”.
La questione richiede trattazione preliminare.
 
Pretermesse le considerazioni di carattere metagiuridico, è sollevata nei termini che seguono. In relazione all’art. 3 della Costituzione, sostiene il P.G. l’irragionevolezza della contestata normativa sulla considerazione che “il metro e la bilancia usati nel mercatino (nel supermercato o all’aeroporto) siano sottoposti a rigorosi indipendenti controlli (preventivi e periodici), da cui restano esenti invece gli strumenti misuratori destinati a rilevare la velocità degli autoveicoli, e quindi usati come prova delle corrispondenti violazioni amministrative: se nel primo caso viene in considerazione la sicurezza e l’affidabilità dei traffici giuridici, e perciò del mercato, in rapporto alle sanzioni (che, comportando comunque trasferimenti di ricchezza, si giustificano soltanto se correttamente applicate) viene in rilievo l’affidamento dei cittadini nella “giustizia”, tecnicamente verificata e verificabile, dell’attività e dell’autorità amministrativa (nel suo delicato aspetto sanzionatorio), che è un valore immanente nella Costituzione e nell’ordinamento giudico”. In relazione agli artt. 24 e 111, 2°, Cost., il P.G. prospetta una lesione del diritto di difesa del cittadino sulla considerazione che questi “sanzionato in forza dei risultati degli strumenti in questione non è in grado poi di confutarli efficacemente allorché gli sia contestata la violazione e gli sia applicata la sanzione, senza neppure potere fare affidamento sui controlli preventivi previsti dall’ordinamento per altre situazioni che pure coinvolgono attività di misurazione (quantitativa); come dire che allo stato la sicurezza degli scambi economici sembra tecnicamente più garantita (in sede preprocessuale e processuale) della credibilità del potere sanzionatorio della Pubblica Amministrazione”. 
In relazione all’art. 97 Cost., il P.G. ravvisa una situazione lesiva del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. in quanto “alla maggiore capacità tecnologica ed incisività dell’accertamento delle infrazioni deve in principio corrispondere anche la sicurezza del riscontro probatorio, perché l’operazione economico-giuridica insita nell’applicazione della sanzione sarebbe alla resa dei conti decisamente in perdita se, per sanzionare (come pure è incontestatamente necessario) l’eccesso di velocità e salvaguardare la vita umana, l’ordinamento fosse costretto ad abiurare alle più elementari garanzie di civiltà probatoria e giuridica, disponendosi a tollerare a priori la possibilità di iniquità o anche di mera superficialità sanzionatorie”.
Le riportate argomentazioni, che possono essere congiuntamente trattate in un coordinato sviluppo della loro disamina, e con le quali sembra volersi riproporre, allegando un tertium comparationis ritenuto pertinente, la medesima questione già disattesa, in relazione al D.M. 28.3.2002 n. 182, dalla Corte Costituzionale con la sentenza 13.7.07 n. 277, risultano manifestamente infondate.
 È, infatti, anzi tutto da escludere che nella complessa normativa con la quale il legislatore ha disciplinato l’utilizzazione degli strumenti di misurazione destinati all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità nella circolazione stradale possa ravvisarsi una violazione del principio d’eguaglianza, posto dall’art. 3 della Costituzione, in relazione alla normativa con la quale ha diversamente disciplinato l’utilizzazione degli strumenti destinati a misurazioni relative ad altre attività; così come in quest’ultima disciplina non può essere fondatamente ravvisato il medesimo vizio per non esservi contemplata e regolamentata anche l’utilizzazione dei detti strumenti misuratori della velocità.
Le fattispecie costituenti i termini di comparazione da porsi a base d’una valutazione intesa ad accertare un’eventuale disparità di trattamento normativo dell’una rispetto all’altra che si rappresenti lesiva del principio costituzionale d’uguaglianza – per non trovare la discrezionalità del legislatore nell’adozione di discipline difformi o comunque non univoche giustificazione se non nella sufficiente loro differenziazione – debbono, in vero, risultare o identiche o, quanto meno, analoghe nelle finalità delle norme e/o delle discipline a confronto nelle quali sono ricomprese, nei rapporti regolati, negli oggetti delle singole prescrizioni.
 Nessuna delle quali caratteristiche si riscontra, per converso, ove si proceda alla comparazione che ne occupa, id est con riferimento alla L. 11.8.1991 n. 273. La disciplina legale delle misurazioni – a partire dal T.U. delle leggi sui pesi e le misure approvato con R.D. 23.8.1890 n. 7088, cui fece seguito il regolamento sul servizio metrico approvato con R.D. 31.1.1909 n. 242, entrambi successivamente più volte aggiornati ed integrati, in particolare dalla L 13.12.1928 n. 2886 sulla definizione delle unità legali di peso e di misura – ha sempre avuto quale specifica finalità quella di regolare rapporti di carattere essenzialmente privatistico inerenti l’industria, l’agricoltura, il commercio ed, indirettamente, il pubblico interesse alla certezza nelle transazioni commerciali in genere e già allora, laddove si rese necessaria la regolamentazione di materie particolari implicanti interessi od esigenze difformi o non suscettibili d’essere ricondotti alla disciplina generale, il legislatore intervenne con normative ad hoc in deroga, od in aggiunta, a quella generale (cfr. ad ex. L. 7.7.1910 n. 480 sul carato metrico, la L. 5.2.34 n. 305 sul titolo dei metalli preziosi, il D.Lgs. 21.3.48 n. 370 sulle unità fotometriche ed elettriche). 
Le medesime finalità risultano perseguite dalla normativa comunitaria di base (cfr. il preambolo alla Direttiva 80/181/CEE del Consiglio in data 20.12.1979 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative alle unità di misura laddove, tra l’altro, si considera “… che le legislazioni degli Stati Membri che prescrivono l’impiego di unità di misura differiscono da uno Stato Membro all’altro e pertanto ostacolano le transazioni commerciali; che, di conseguenza, per eliminare detti ostacoli è necessario armonizzare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative; … che in data 18 ottobre 1971 il Consiglio ha adottato la Direttiva 71/354/CEE intesa ad armonizzare le legislazioni degli Stati Membri al fine di eliminare gli ostacoli negli scambi mediante approvazione a livello comunitario del sistema internazionale delle unità; … che, durante il periodo transitorio, è indispensabile mantenere una situazione chiara in materia di impiego di unità di misura negli scambi tra gli Stati Membri, in particolare allo scopo di proteggere il consumatore; …”; ed ancora il preambolo della Direttiva 1999/103/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 24.1.2000, laddove, tra l’altro, si considera “… che taluni paesi terzi non accettano nei propri mercati i prodotti le cui indicazioni sono apposte unicamente nelle unità legali stabilite dalla Direttiva 80/181/CEE; le imprese che esportano i loro prodotti in tali paesi si troverebbero in una situazione di svantaggio qualora si vietasse l’apposizione di indicazioni supplementari …”); alla quale sono seguiti adattamenti, anche in funzione di singole materie e dell’entrata in vigore, pur sempre rimanendo nel medesimo ambito d’interessi, ma sono state anche aggiunte disposizioni intese a disciplinare settori in origine non presi in considerazione ed implicanti interessi diversi e specifici (quale quello sanitario di cui alla Direttiva 85/1/CEE del Consiglio in data 18.12.1984). 
È da notare che la più recente delle Direttive in materia, la 2004/22/CE del 31 marzo 2004, elenca specificamente, all’art. 1, gli strumenti nella stessa specificamente considerati, tra i quali non sono ricompresi i misuratori di velocità, onde, ad oggi, non essendo state emanate Direttive comunitarie in materia, il controllo CEE non può ancora essere attuato su tali dispositivi che, in tutti i Paesi Membri, vengono allo stato approvati e disciplinati secondo le rispettive normative nazionali (unica eccezione è data dalla disciplina dei cronotachigrafi, soggetti allo specifico regolamento CEE n. 3821/85 del 20.12.1985, come modificato dal Regolamento CE n. 2135/98 del 24.11.1998 e dal Regolamento CE n. 561/06 del 15.3.06, ai quali l’ordinamento italiano è stato adeguato con D.M. 10.8.2007 del Ministero dello Sviluppo Economico, normative che riflettono anch’esse, significativamente, esigenze riferite più all’aspetto socio-commerciale delle finalità perseguite nel settore dei trasporti su strada che non a quello attinente alla viabilità ed ai connessi problemi di sicurezza). 
In buona sostanza, non esistono, allo stato, norme comunitarie vincolanti in materia di misurazione della velocità dei veicoli e di pertinenti apparecchiature.
Al qual riguardo devesi considerare che, contrariamente a quanto a volte sostenuto dalle parti interessate e da alcuni giudici del merito, non è vincolante la normativa UNI EN 30012 (Sistema di Conferma Metrologica di Apparecchi per Misurazioni) che, in assenza di leggi o regolamenti di recepimento, rappresenta unicamente un insieme di regole di buona tecnica, impropriamente definite “norme”, alle quali, in assenza di obblighi giuridici, i costruttori decidono autonomamente di conformarsi; così come non è direttamente applicabile la raccomandazione OIML R91 del 1990 (“Apparecchiature Radar per la Misura della Velocità dei Veicoli”), peraltro non attinente al caso di specie in quanto relativa alle apparecchiature radar. Il legislatore italiano, nell’adeguarsi alla surrichiamata normativa europea sul riavvicinamento delle singole legislazioni in materia di unità di misura, con la legge delega 9.2.82 n. 42, il DPR 12.8.82 n. 802, la L. 11.8.91 n. 273, il Decreto del Ministero delle Attività Produttive 10.12.2001 (nella cui intestazione è significativamente indicato “materia: commercio”), ha adeguato l’ordinamento interno a quello comunitario perseguendo le medesime finalità. Le quali, all’evidenza, sono del tutto diverse da quelle perseguite con il porre la disciplina dell’utilizzazione delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto, le cui norme sono intese alla tutela dei diversi interessi, pubblico e privato, alla sicurezza della circolazione, in funzione dell’ordine pubblico, della preservazione dell’integrità fisica degli individui, della conservazione dei beni.
 Le rilevate difformità nei fini e negli oggetti delle discipline prese in considerazione impediscono d’istituire un corretto raffronto tra le due discipline stesse onde desumerne una disparità di trattamento rilevante ai fini della conformità all’art. 3 della Costituzione. Così come la specialità della materia giustifica l’esercizio da parte del legislatore del potere discrezionale di contemperamento d’opposti interessi nel dettare la peculiare disciplina del rilevamento della velocità dei veicoli, anche in vista dell’accertamento delle violazioni alle disposizioni con le quali sono stati posti determinati limiti alla velocità stessa in ragione di luoghi, tempi, condizioni del traffico, caratteristiche dei veicoli e qualità dei conducenti. La vigente formulazione del C.d.S., al sesto comma dell’art. 45, prevede che “Nel regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli altri mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico, nonché quelli atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione e diffusione, sono soggetti all’approvazione od omologazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, di idoneità e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altresì le modalità di omologazione e di approvazione”, ed ai commi 6 e 6 bis (questo aggiunto dall’art. 3 del D.L. 3.8.07 n. 117) dell’art. 142 prevede, rispettivamente, che “Per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento” e che “Le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all’impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del presente codice. Le modalità di impiego sono stabilite con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’interno”, disposizione attuata con D.M. 15.8.07. 
La vigente formulazione delle disposizioni regolamentari alle quali le norme surriportate fanno rinvio prevedono tra l’altro, all’art. 192, che onde ottenere l’omologazione o l’approvazione di mezzi tecnici per l’accertamento e il rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, di competenza del Ministero dei lavori pubblici, l’interessato deve presentare domanda corredata da una relazione tecnica sull’oggetto della richiesta, da certificazioni di enti riconosciuti o laboratori autorizzati su prove alle quali l’elemento è stato già sottoposto, nonché da ogni altro elemento di prova idoneo a dimostrare l’utilità e l’efficienza dell’oggetto di cui si chiede l’omologazione o l’approvazione e presentare almeno due prototipi dello stesso: che l’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e la efficacia dell’oggetto di cui si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole; che l’interessato è tenuto a fornire le ulteriori notizie e certificazioni che possono essere richieste nel corso dell’istruttoria amministrativa di omologazione ed a consentire a che uno dei prototipi resti depositato; che su ogni elemento conforme al prototipo omologato o approvato deve essere riportato il numero e la data del decreto ministeriale di omologazione o di approvazione ed il nome del fabbricante; che il fabbricante assume la responsabilità del prodotto commercializzato sulla conformità al prototipo depositato e si impegna a far effettuare i controlli di conformità che sono disposti dall’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale. 
A sua volta, l’art. 345 prevede, in particolare, che le apparecchiature destinate a controllare l’osservanza dei limiti di velocità devono essere costruite in modo da raggiungere detto scopo fissando la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accertabile; che le singole apparecchiature devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici; che, qualunque sia l’apparecchiatura utilizzata, al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h, compresa anche la tolleranza strumentale; che non possono essere impiegate, per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità, apparecchiature con tolleranza strumentale superiore al 5%; che dette apparecchiature devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale cui all’articolo 12 del codice, e devono essere nella disponibilità degli stessi. La materia dell’impiego e della manutenzione dei misuratoci di velocità ha, poi, una propria disciplina, specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura, contenuta nel D.M. 29.10.97, relativo all’approvazione dei prototipi delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità e alle loro modalità di impiego, il cui art. 4 stabilisce che “gli organi di polizia stradale interessati all’uso delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità sono tenuti a … rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d’uso”, escludendo, perciò, la necessità di un controllo periodico finalizzato alla taratura dello strumento di misura se non è espressamente richiesto dal costruttore nel manuale d’uso depositato presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al momento della richiesta di approvazione, ovvero nel decreto stesso di approvazione. Si noti che – rimanendo, peraltro, al di fuori del caso in esame, relativo ad apparecchiatura direttamente gestita dagli agenti – alcuni tipi d’apparecchi di più recente approvazione in quanto da utilizzarsi in modalità automatica, cioè senza la presenza ed il diretto controllo dell’operatore di polizia stradale nelle ipotesi espressamente previste e consentite, devono essere sottoposti ad una verifica periodica tendente a valutare la corretta funzionalità dei meccanismi di rilevazione che, secondo le disposizioni del richiamato art. 4 del D.M. 29.10.97, deve essere effettuata a cura del costruttore dell’apparecchio o di un’officina da questo abilitata con cadenza al massimo annuale.
Ne risulta, dunque, un complesso sistema di controlli – preventivi, in corso d’utilizzazione e successivi – tale da garantire il cittadino assoggettato all’accertamento da quelle disfunzioni delle apparecchiature che, ove insuscettibili di verifica, potrebbero determinare quelle lesioni al diritto di difesa del cittadino stesso ed alla legittimità dell’azione amministrativa che il P.G. paventa nella sua requisitoria.
 I controlli preventivi si svolgono, come da riportata disciplina, in fase d’omologazione od approvazione del prototipo e, considerata la partecipazione al procedimento d’organi tecnici e d’istituti specializzati, non sembra possano sollevarsi dubbi al riguardo.
Si svolgono altresì, in fase d’utilizzazione del singolo apparecchio, da parte degli agenti operatori all’atto della sua predisposizione per le operazioni di rilevamento, in ossequio alle disposizioni impartite con D.M. 29.10.77, relativo all’approvazione di prototipi di apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità e alle loro modalità di impiego, il cui art. 4 stabilisce che “gli organi di polizia stradale interessati all’uso delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità sono tenuti a … rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d’uso”. Si noti che dalla questione in esame, attinente alla taratura in corso d’uso e/o alla revisione periodica delle singole apparecchiature prodotte in conformità al prototipo, esulano i dubbi, alle volte sollevati, in ordine alla detta conformità, poiché l’eventuale difetto di essa attiene al momento della produzione quale vizio genetico e non a quello dell’utilizzazione quale vizio funzionale. In proposito, va considerato che, in ogni caso, la produzione in difformità dal prototipo omologato non solo è sanzionata dal sesto comma dell’art. 192 del Regolamento, ma è suscettibile di verifica sia in sede amministrativa, mediante l’ispezione prevista dal successivo ottavo comma della medesima norma, sia in sede d’eventuale controversia giudiziaria, mediante consulenza tecnica sulla conformità dell’apparecchio, con il quale è stato effettuato il rilevamento, al prototipo rimasto depositato presso il Ministero.
 Il medesimo tipo d’accertamento è esperibile anche ove si deduca, in sede d’opposizione, non il vizio d’origine ma il vizio funzionale dell’apparecchio utilizzato per il rilevamento della violazione, questo identificabile sulla base delle indicazioni relative ad esso ed alla sua installazione contenute nel verbale d’accertamento, come prescritto dalle istruzioni ministeriali, ed occorrendo mediante l’accesso agli atti e l’actio ad exhibendum garantiti al cittadino dalle norme di cui al capo V della L. 7.8.90 n. 241 e succ. mod., in tal guisa potendosi effettuare un controllo successivo idoneo a garantire il diritto di difesa, che non rimane, pertanto, leso dall’applicazione del complesso normativo in esame, così come non ne restano inficiati i principi dell’affidabilità e della trasparenza dell’attività amministrativa. Principi che trovano rispettosa applicazione anche in corso d’utilizzazione delle apparecchiature de quibus, dacché la funzionalità loro è costantemente sotto il controllo degli agenti operatori, in quanto munite di programmi d’autodiagnosi capaci di segnalare in tempo reale tanto i malfunzionamenti dello strumento, quanto gli errori umani nella sua manovra, quanto ancora le eventuali interferenze da cause estranee capaci di falsare il rilevamento, di guisa che gli agenti stessi sono in grado di sospenderne l’utilizzazione. D’altro canto, la costante giurisprudenza di questa Corte, laddove ha escluso che la mancanza di taratura e/o di controllo periodici delle apparecchiature de quibus, in quanto non previsti dalla sopra esaminata normativa che ne disciplina l’immissione sul mercato e l’utilizzazione, non costituisce causa d’illegittimità degli accertamenti effettuati per loro mezzo, ha sempre contestualmente affermato l’onere, eppertanto il diritto, dell’opponente d’allegare e dimostrare il malfunzionamento, per ciascuna delle cause pure sopra indicate, dell’apparecchiatura utilizzata nel singolo caso, ed, infatti, non sono mancate pronunzie nelle quali tale dimostrazione è stata ritenuta adeguatamente fornita, con consequenziale cassazione della sentenza impugnata e pronunzia ex art. 384 c.p.c. d’annullamento del verbale di contestazione, ed altre nelle quali la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio per non essere stati ammessi in sede di merito i mezzi istruttori richiesti al fine di fornirla. Mentre non è stato considerato utile esercizio del diritto di difesa l’apodittica contestazione della legittimità dell’accertamento fondata su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all’idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell’attrezzatura a pregiudicarne l’efficacia. 
In definitiva, non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli periodici della funzionalità delle apparecchiature in questione nella disciplina dell’accertamento delle violazioni ai limiti di velocità comporti vizi di legittimità costituzionale della pertinente normativa in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Carta fondamentale. 
Può, dunque, procedersi all’esame del ricorso, rilevando come tutte le questioni poste nei numerosi giudizi analoghi siano già state risolte da questa Corte con motivazioni che il Collegio ritiene di condividere, di seguito testualmente riportando una delle più complete, quella di Cass. 19.11.07 n. 23999.
“1 – Il GdP afferma l’illegittimità dell’accertamento della violazione all’imposto limite di velocità in quanto ritiene che dell’installazione dell’apparecchiaci tura di rilevamento automatico non fosse stata data idonea informazione agli utenti, essendo “fatto notorio” che “nelle sedi stradali ove è stata accertata la violazione a mezzo d’apparecchiatura automatica sono presenti due soli segnali informativi connotati da una totale assenza di riferimento al Decreto Prefettizio e pertanto fuori da ogni prototipo di pannello a messaggio variabile” ed inoltre “gli stessi, ancorché collocati in sedi poco visibili, si rendono di difficile percezione ed ingenerano confusione con la segnaletica stradale ivi presente”.
 Tale affermazione è inficiata da più errori.
Come da consolidato insegnamento di questa Corte, l’utilizzazione del fatto notorio, comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio e dando luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, id est come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; di guisa che non possono essere annoverate tra le nozioni di comune conoscenza, intesa quale esperienza dell’individuo medio in un dato tempo ed in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implichino cognizioni particolari od anche solo la pratica di determinate situazioni, come, nel caso, le caratteristiche ed il posizionamento dei cartelli; tanto meno può, poi, soccorrere la scienza individuale del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non è annoverabile nella categoria del notorio, neppur quando la cognizione gli derivi dall’avvenuta disamina d’analoghe controversie (Cass. 8.8.02 n. 11946, 12.9.03 n. 13426, 7.3.05 n. 4862).
Quanto alla collocazione ed alla visibilità del cartello, sull’esistenza del quale non v’era contestazione, incombeva alla parte opponente, a fronte della presunzione di legittimità dell’attività amministrativa, dimostrare l’eventuale difetto di conformità dello stesso alle prescrizioni degli artt. 79 ed 80 del Reg.to CdS, dimostrazione che dall’impugnata sentenza non risulta fosse stata fornita ed alla quale, per quanto sopra evidenziato, non poteva sostituirsi la generica personale opinione del giudice.
Quanto alla mancanza di riferimenti al decreto prefettizio sul cartello, nessuna norma impone tale indicazione, mentre l’art. 77 dello stesso Reg.to CdS impone che sia indicato sul retro del segnale l’ente o l’amministrazione proprietaria della strada, il marchio della ditta che ha fabbricato il segnale, l’anno di fabbricazione e il numero dell’autorizzazione concessa dal Ministero alla ditta stessa, nonché – ma per i soli segnali di prescrizione, e non è il caso in esame – gli estremi dell’ordinanza di apposizione – che, nel caso, sarebbe stata quella d’apposizione adottata dal sindaco e non il presupposto decreto di classificazione adottato dal prefetto. Persino per i segnali di prescrizione, peraltro, si è evidenziato che la mancata indicazione, sul retro del segnale verticale, degli estremi dell’ordinanza di apposizione – indicazione imposta dall’art. 77, comma 7, del regolamento di esecuzione del codice della strada – non determina l’illegittimità del segnale, e non esime l’utente della strada dall’obbligo di rispettarne la prescrizione, non trattandosi di una difformità rispetto alla previsione normativa tale da rendere il cartello inidoneo a svolgere la funzione propria del segnale stradale, che è quella di rendere nota all’utente della strada la norma di condotta da osservare (Cass. 22.2.06 n. 3962, 20.3.06 n. 7125, 13.4.06 n. 8660).
 
2 – Con la normativa introdotta nel 2002 (DLgs. n. 9, DL n. 121, L. n. 168) il legislatore ha inteso regolare ex novo, onde colmare le lacune ordinamentali che avevano determinato difformi modalità attuative e dubbi di costituzionalità, la materia del rilevamento delle violazioni mediante apparecchiature elettroniche in determinate situazioni. A tal fine, giusta quanto è desumibile dall’inequivoco tenore letterale dell’art. 4 del DL 20.6.02 n. 121, come modificato dalla L. di conversione 1.8.02 n. 168, si è stabilito che: a – i dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli artt. 142 e 148 CdS (limiti di velocità e sorpasso) possono essere utilizzati od installati sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di cui all’art. 2, comma 2, lettere A e B, del CdS; b – gli stessi dispositivi possono essere utilizzati od installati sulle strade extraurbane secondarie e sulle strade urbane di scorrimento di cui alla medesima norma, lettere C e D, ovvero su singoli tratti di esse, ove specificamente individuati, con apposito decreto prefettizio, in ragione del tasso d’incidentalità, delle condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico per le quali non è possibile il fermo di un veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico o all’incolumità degli agenti operanti e dei soggetti controllati; c – dell’utilizzazione od installazione dei detti dispositivi deve essere data informazione agli automobilisti; d – la violazione deve essere documentata con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi idonei ad accertare il fatto costituente illecito ed i dati d’immatricolazione del veicolo ovvero il responsabile della circolazione; e – l’utilizzazione di dispositivi che consentano il rilevamento automatico della violazione senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti è subordinata all’approvazione od omologazione dei dispositivi stessi ai sensi dell’art. 45/VI CdS; f – in caso d’utilizzazione dei dispositivi in questione secondo quanto stabilito nei precedenti punti, non sussiste l’obbligo di contestazione immediata di cui all’art. 200 CdS.
Ne deriva che il disposto del primo comma, integrato con quello del secondo comma della norma in esame – che indica, per le strade extraurbane secondarie e per le strade urbane di scorrimento, i criteri d’individuazione delle situazioni nelle quali il fermo del veicolo, al fine della contestazione immediata, può costituire motivo d’intralcio per la circolazione o di pericolo per le persone, situazioni ritenute sussistenti a priori per le autostrade e per le strade extraurbane principali -, evidenzia come il legislatore abbia inteso regolare l’utilizzazione dei dispositivi de quibus, tra l’altro, anche in funzione del quarto comma, con il quale si esclude tout court l’obbligo della contestazione immediata. È, inoltre, da rilevare come l’indicazione, nel verbale di contestazione notificato, d’una delle ragioni che rendono ammissibile, ex lege, la contestazione differita dell’infrazione, come il riferimento al decreto prefettizio adottato nel caso sub b), non è una mera motivazione di stile, ma il richiamo d’una specifica disposizione normativa che rende ipso facto legittimo il verbale e la conseguente irrogazione della sanzione, senza che, in proposito, sussista alcun margine d’apprezzamento da parte del giudice (Cass. 17.3.05 n. 5861, 8.8.03 n. 11971, 15.11.01 n. 14313). Al riguardo, l’intimata eccepisce, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 della Carta fondamentale, l’incostituzionalità della norma in esame per violazione del diritto di difesa, in quanto esperibile in caso di contestazione immediata ma non in caso di contestazione differita, non essendo stabilita dal legislatore ma rimessa ad un organo amministrativo l’individuazione delle situazioni nelle quali lo stesso possa o meno essere esercitato e risultando un trattamento difforme degli utenti in relazione alle caratteristiche del tratto di strada percorso. L’eccezione è manifestamente infondata. Il legislatore ha predeterminato tutti i criteri ai quali gli organi chiamati a concorrere nel procedimento complesso d’individuazione delle strade o tratti di esse di cui alla norma in esame, rimettendo ai detti organi – unici in grado d’effettuare le necessarie valutazioni in sede locale, tecniche, sulla base della diretta cognizione delle condizioni delle strade e del traffico nel territorio, e di merito, sulla base della valutazione ponderata delle varie esigenze della popolazione ed in particolare degli utenti – la sola concreta applicazione, alle singole situazioni, mediante decreti attuativi delle compiute direttive impartite con la norma stessa; di tal che non può obiettivamente ritenersi esercitato dai detti organi amministrativi un potere normativo, se pur secondario, in materia riservata al legislatore. Il quale, nello stabilire i detti criteri, ha operato una scelta discrezionale e non irragionevole, essendo ogni determinazione adottata in tema di limiti alla velocità dei mezzi in circolazione sulle pubbliche strade nonché di strumenti idonei a prevenire e reprimere le inerenti violazioni normativamente finalizzata alla difesa del bene primario della vita delle persone che utilizzano le strade stesse o che alla tutela di tale primario interesse sono funzionalmente preposte, secondo scelte insindacabili espresse all’esito di complesse valutazioni tecniche, politiche, nonché di opportunità generale. Né tale scelta legislativa presta il fianco a dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 della Carta fondamentale, avuto riguardo all’obiettiva diversità delle condizioni di fatto nelle quali è commessa l’infrazione – quelle, appunto, in ragione delle quali il legislatore ha ritenuto doversi evitare le situazioni di pericolo e/o d’intralcio determinate dal fermo dei veicoli al fine della contestazione rispetto a quelle nelle quali situazioni siffatte non sono riscontrabili – e tenuto conto che il diritto di difesa del preteso trasgressore è, in ogni caso, pienamente tutelato dall’obbligatorietà della contestazione dell’infrazione, ancorché non necessariamente immediata, e dalla possibilità per lo stesso d’esperire contro il provvedimento sanzionatorio i rimedi previsti dalla legge in sede amministrativa e giurisdizionale.
Ciò posto, devesi rilevare che il GdP, nel caso in esame, accoglie l’opposizione ritenendo di poter disapplicare il provvedimento prefettizio d’inclusione del tratto di strada in questione tra quelli nei quali è consentito il rilevamento delle infrazioni ai limiti di velocità a mezzo d’apparecchiature automatiche senza la contestazione immediata con una motivazione che giova riportare testualmente: “Nella fattispecie peculiare, dalla visione delle fotografie è possibile rilevare una incongruente classificazione del tratto di strada quale sede preposta per l’accertamento a distanza delle violazioni, rispetto a quella definita nel Decreto Prefettizio in esame. … Va preliminarmente chiarito che la classificazione dei tratti di strada individuati e statuiti nel Decreto Prefettizio n. 46/2003, alla luce di una più approfondita indagine di questo Giudicante, è risultata oltremodo carente di elementi motivazionali e priva di una congrua istruttoria. È ampiamente notorio che lo spazio stradale della SS 106, quanto meno dal Km. 359+00 al Km 362+00, nonché il tratto dal Km 353+00 al Km 356+200, si presenta ad unica carreggiata con una sola corsia per senso di marcia, senza banchina e con la presenza di marciapiedi pavimentati.
Questo Giudicante, alla luce di quanto sopra esposto, ritiene di pervenire a diversa conclusione rispetto alla tipologia stradale assegnata ai tratti oggetto del Decreto Prefettizio e, trovando applicazione nel caso di specie l’istituto della disapplicazione dell’atto ex art. 5 della legge 2248 del 1865, all. E, in quanto lo stesso esplicando la sua operatività in forma dell’incidenter tantum è stato rilasciato senza completa istruttoria ed utilizzando formule assolutamente generiche ed apodittiche, determina l’esclusione dei tratti stradali dal Km 359+00 al Km 362+00, nonché il tratto dal Km 353+00 al Km 356+200, dalle tipologie C e D dell’art. 2 del Codice della Strada e conseguentemente priva di ogni effetto, con statuizione limitata al presente giudizio, il provvedimento amministrativo n. 46/2003 emesso dal Prefetto di Cosenza in data 08.09.2003”.
Nel decidere in tal senso, il GdP – pur volendosi prescindere dal rilievo, già in precedenza effettuato, dell’irrilevanza delle sue personali cognizioni ed opinioni, poste a base anche del capo di decisione in esame – ha, comunque, evidentemente travalicato i limiti del potere di disapplicazione attribuito al giudice ordinario dall’art. 5 della L. 20.3.1865 n. 2248, All. E. In materia di sanzioni amministrative, la competenza giurisdizionale a pronunciare sull’opposizione ex art. 22 della legge n. 689 del 1981 spetta, in via generale, al giudice ordinario, perché l’opponente, contestando la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione d’una sanzione amministrativa punitiva, fa valere il proprio diritto a non essere sottoposto ad una prestazione patrimoniale non conforme alla legge e chiede l’accertamento della conformità della sanzione ai casi, alle forme ed all’entità dalla legge stessa previsti, invocando, quindi, il rispetto del principio di legalità di cui all’art. 1 della legge n. 689 del 1981, cioè una situazione giuridica avente consistenza di diritto soggettivo (e pluribus, Cass. SS.UU. 2.12.05 n. 26224, 4.2.05 n. 2205, 28.1.03 n. 1240, 27.5.99 n. 314, cfr. anche Corte Costo 4.3.70 n. 32).
Nell’ambito del giudizio d’opposizione promosso avverso ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria per illeciti amministrativi – e, nel caso d’infrazioni in materia di circolazione stradale, anche avverso il verbale d’accertamento e contestazione ex art. 204-bis CdS – deve riconoscersi al giudice ordinario il potere di sindacare incidentalmente il provvedimento amministrativo che costituisce il presupposto di quello sanzionatorio, quello cioè integrativo della norma la cui violazione è stata posta a fondamento della sanzione, ove la valutazione della legittimità del primo debba aver luogo solo in via incidentale, id est quando non assuma rilievo quale causa della lesione del diritto del privato, ma quale mero antecedente, onde la questione della sua legittimità venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass. 25.1.06 n. 1373 SS.UU., 27.3.03 n. 4538, 22.2.02 n. 2588). Ciò anche in presenza di una norma di legge che abiliti una pubblica Amministrazione a porre in essere un atto generale, a seguito ed alla stregua del quale vengano poi emessi i singoli atti applicativi, la posizione del privato assumendo la consistenza del diritto soggettivo, tutelabile davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, ove si faccia valere la lesione di detta posizione per effetto dell’adozione del singolo atto applicativo del provvedimento generale, il quale, eventualmente, potrà essere disapplicato incidenter tantum dal giudice ordinario, sul presupposto della sua non conformità alla norma regolante la specifica materia (Cass. 24.4.02 n. 6035 SS.UU., 16.6.00 n. 455 SS.UU.).
Tuttavia, al fine della disapplicazione, in via incidentale, dell’atto o del provvedimento amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità – incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere – estendendo il proprio controllo alla rispondenza delle finalità perseguite dall’Amministrazione con quelle indicate dalla legge, ma non ha il potere di sostituire l’Amministrazione stessa negli accertamenti e valutazioni di merito, quali sono quelli inerenti alla scelta in concreto degli strumenti adeguati per assicurare gli interessi generali contemplati dalla legge o nella valutazione delle situazioni di fatto in funzione dell’applicabilità o meno delle misure previste dalla legge, che sono d’esclusiva competenza degli organi ai quali è attribuito il potere di perseguire in concreto le finalità di pubblico interesse normativamente determinate, operando un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dall’Amministrazione (Cass. 25.1.06 n. 1373 SS.UU, 2.8.05 n. 16143, 14.1.02 n. 332). Nella fattispecie regolata dall’art. 4 del DL 20.6.02 n. 121 come convertito con modificazioni dalla L. 1.8.02 n. 168, è rimessa al prefetto, previa consultazione degli organi di polizia stradale competenti per territorio e su conforme parere dell’ente proprietario, l’individuazione delle strade (o di singoli tratti di esse), diverse dalla autostrade o dalle strade extraurbane principali, nelle quali non è possibile il fermo di un veicolo, ai fini della contestazione immediata delle infrazioni, senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico od all’incolumità degli agenti operanti o dei soggetti controllati, e ciò sulla base della valutazione del tasso d’incidentalità nonché delle condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico. È del tutto evidente come nella formazione del provvedimento in questione converga una pluralità di valutazioni, effettuate da parte degli organi ed uffici indicati (anche con efficacia vincolante: parere conforme dell’ente proprietario), di natura non solo strettamente tecnica, ma anche ampiamente discrezionale, in quanto formulate sulla base d’apprezzamenti ponderati sia delle situazioni di fatto, sia delle molteplici esigenze da prendersi in considerazione al fine di regolare il traffico sulla strada considerata, o tratto di essa, nell’ambito della gestione complessiva della circolazione stradale sul territorio.
 
Tali valutazioni, che costituiscono le condizioni dell’esercizio del potere prefettizio di classificazione della strada ai fini dell’applicazione della norma in esame, in quanto attinenti al merito dell’attività amministrativa, non sono suscettibili di sindacato da parte dell’autorità giudiziaria, ordinaria od amministrativa che sia, il cui potere di valutazione, ai fini della disapplicazione per l’una e dell’annullamento per l’altra, è limitato all’accertamento dei soli vizi di legittimità dell’atto. Nell’ambito dei vizi di tal natura, il GdP sembra aver riscontrato quello d’eccesso di potere sotto il profilo sintomatico del difetto di motivazione, ma anche tale ragione della pronunzia è illegittima ed errata. In tema di provvedimenti amministrativi, la motivazione per relationem è, infatti, da ritenere ammissibile sulla base della più generale previsione di cui all’art 3, comma terzo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, la quale stabilisce che, se le “ragioni” dei provvedimenti amministrativi risultano da altro atto dell’amministrazione, richiamato nel procedimento, quest’ultima, insieme alla comunicazione del provvedimento, deve indicare e rendere disponibile anche l’atto richiamato (Cass. 27.6.02 n. 9363), e costituendo, comunque, tale tipo di motivazione una modalità d’esposizione delle ragioni del provvedimento amministrativo, in linea di principio, senz’altro corretta e legittima, oltre che conforme al principio di speditezza dell’azione amministrativa, laddove l’autore del provvedimento ritenga di far proprio, ribadendolo, il giudizio o l’accertamento posto in essere nel corso del procedimento amministrativo (Cass. 16.1.07 n. 871). 
3 – Il GdP ha errato anche nell’annullare il provvedimento sanzionatorio sulla ritenuta inattendibilità dell’accertamento della violazione in quanto effettuato con apparecchiatura considerata obsoleta, incompatibile con la normativa introdotta successivamente alla sua omologazione ed inidonea per mancata taratura periodica. Anche a non considerare la genericità della motivazione, le ragioni svolte nell’impugnata sentenza non trovano supporto nella normativa vigente, nessuna disposizione avendo adottato il legislatore che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate alle apparecchiature in utilizzo, e risultando difformi dalla giurisprudenza formatasi sulla materia in sede di legittimità. In particolare, si è ritenuto che: – la necessità di omologazione dell’apparecchiatura di rilevazione automatica, ai fini della validità del relativo accertamento, va riferita al singolo modello e non al singolo esemplare, come si desume, sul piano logico e letterale, dall’art. 345, secondo comma, del DPR 16 dicembre 1992, n. 495, così come modificato dall’art. 197 del DPR 16 settembre 1996, n. 610, secondo cui non ciascun esemplare ma “le singole apparecchiature” devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici (Cass. 5.7.06 n. 15324, 24.3.04 n. 5889); – per le stesse ragioni già svolte sub 2 -, l’errore tecnico, imputato al Ministero dei Lavori Pubblici nell’esercizio del potere di classificazione degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità può essere fatto valere dall’interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), ma non domandando al giudice, eventualmente anche a mezzo di consulente tecnico, un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dalla P.A. (Cass. 2.8.05 n. 16143); – il termine di validità dell’omologazione da parte dei competenti organi ministeriali attiene non ad un arco di tempo durante il quale l’apparecchiatura può essere validamente utilizzata ed oltre il quale tale utilizzazione non è più legittima – dacché tale operatività, una volta omologato il modello, dipende soltanto dalla permanente funzionalità della singola apparecchiatura – ma ad un arco di tempo durante il quale le apparecchiature di quel modello possono continuare ad essere commercializzate dal costruttore; ciò che si evince chiaramente sia dall’art. 3 del D.M. 30.11.98 n. 6025, sia dall’art. 2 del D.M. 20.3.00 n. 1824, sia dalle premesse dei detti decreti, nelle quali risulta come la determinazione ministeriale sia adottata sulla richiesta del produttore onde autorizzare la commercializzazione del prodotto in quanto riscontrato conforme agli standard normativamente richiesti; pertanto, la scadenza del termine d’omologazione del modello d’apparecchiatura incide soltanto sulla possibilità per il costruttore di continuare a vendere le apparecchiature di quel modello e non sull’ulteriore utilizzabilità, oltre la scadenza di quel termine, delle apparecchiature già esistenti da parte degli organi operativi che ne siano dotati; diversamente opinando, si perverrebbe all’assurda conseguenza per cui un’apparecchiatura acquistata in prossimità della scadenza dell’omologazione diverrebbe inutilizzabile a far data da tale scadenza pur se perfettamente funzionante ed idonea allo scopo in ragione degli accertamenti in base ai quali era stata concessa l’omologazione del modello (Cass. 26.4.07 n. 9950); – nel caso di violazione dei limiti di velocità rilevata attraverso apparecchiature “autovelox”, la mancata contestazione immediata della violazione, qualora l’organo accertatore abbia dato atto a verbale dei motivi che hanno reso impossibile procedere alla stessa e tali motivi configurino una delle ipotesi previste dall’art. 384, lett. e), del regolamento di esecuzione del codice della strada, non è consentito al giudice un apprezzamento al riguardo, con l’indicazione di apparecchi più adeguati (o con la prospettazione di una diversa organizzazione del servizio), risolvendosi una tale valutazione in una inammissibile ingerenza nel modus operandi della pubblica amministrazione, in linea di principio non sindacabile dal giudice ordinario (Cass. 7.11.03 n. 16713, 2.8.05 n. 16143); – in tema di rilevazione dell’inosservanza dei limiti di velocità dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, né il codice della strada (art. 142, comma sesto) né il relativo regolamento di esecuzione (art. 345 d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495) prevedono che il verbale di accertamento dell’infrazione debba contenere, a pena di nullità, l’attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l’uso, giacché, al contrario, l’efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all’idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell’attrezzatura a pregiudicarne l’efficacia ex art. 142 CdS (Cass. 5.7.06 n. 15324, 16.5.05 n. 10212, 20.4.05 n. 8233, 10.1.05 n. 287, 22.6.01 n. 8515, 5.6.99 n. 5542); – in ordine all’applicabilità o meno della L. 273/91, istitutiva del sistema nazionale di taratura, alle apparecchiature elettroniche di controllo della velocità, devesi rilevare come la stessa attenga a materia diversa, quella metrologica, rispetto a quella della misurazione elettronica della velocità, in ogni caso adeguatamente verificata in sede d’omologazione, ed attribuisca funzioni ad autorità amministrative diverse, rispetto a quelle pertinenti al caso di specie, onde non ricorrono i presupposti a che anche le dette apparecchiature vengano assoggettate ai controlli nella legge stessa previsti”. 
Poiché, dunque, nel decidere delle questioni sottoposte al suo esame, il giudice a quo è incorso nelle violazioni e negli errori rilevati, la sentenza in esame va annullata, peraltro senza rinvio, potendo questa Corte, ex art. 384 CPC, decidere del merito allo stato degli atti e respingere l’originaria opposizione. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre per il giudizio di merito non v’ha luogo a provvedere non avendo il Comune, rappresentato in quella sede da personale amministrativo, chiesto e documentato la refusione delle spese vive. 

                                                                     P.Q.M.
 

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l’originaria opposizione; condanna parte intimata alla refusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 700,00 per onorari, oltre accessori di legge in favore del Comune di Corigliano Calabro.
 

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