Corte di Cassazione 1089/2014 – Opposizione a ordinanza ingiunzione anzichè all’esecuzione – mutamento del rito – 20.01.2014. –
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha riaffermato il principio secondo il quale, ove sia stato intimato da un Comune ad un privato il pagamento di una somma ed il privato abbia promosso il giudizio di opposizione con le modalità del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione anzichè con il rito dell’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 cod. proc. civ., ciò non costituisce di per sè motivo di inammissibilità della domanda, nè di invalidità assoluta del giudizio, essendo il giudice tenuto, anche d’ufficio, a disporre la conversione del rito e a fissare un termine per l’eventuale integrazione dell’atto introduttivo (Cassazione civile , sez. VI, sentenza del 20/01/2014 n. 1089).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
………., rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati ……, elettivamente domiciliata in Roma, via Tagliamento n. 55, presso lo studio dell’Avvocato ……..; – ricorrente –
contro
COMUNE DI BOLOGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati <…> , elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via <…>: – controricorrente –
avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Bologna NRG. 3579/10 depositata il 2 febbraio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati ……..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.C., premesso che il 26 marzo 2010 e l’8 aprile dello stesso anno le erano state notificate da Equitalia Polis s.p.a., Agente di riscossione per la Provincia di Bologna, due cartelle di pagamento i cui importi erano richiesti a titolo di mantenimento di inabili; che aveva una figlia portatrice di handicap grave e che la stessa, pur frequentando un centro diurno gestito dal Comune di Bologna, non doveva corrispondere alcunchè, essendo priva di reddito; che in ogni caso essa attrice era estranea al rapporto debitorio; tanto premesso, con ricorso depositato in data 16 aprile 2010, chiedeva al Giudice di pace di Bologna che venissero sospese le cartelle di pagamento e che fosse dichiarata la sua carenza di legittimazione.
L’istanza di sospensione veniva reiterata al Giudice di pace, il quale in data 4 febbraio 2011 emetteva, inaudita altera parte, ordinanza di inammissibilità, ritenendo che l’opposizione proposta fosse da presentarsi nei termini e nelle forme dell’opposizione alla esecuzione ex art. 615 e ss. cod. proc. civ. e non, come avvenuto, nel termine e nelle forme della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23.
Avverso tale ordinanza la C. ha proposto ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., sulla base di tre motivi.
Il Comune di Bologna ha resistito con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o venga comunque rigettato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70 c.p.c., comma 2, quale risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 75, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero “deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge”.
A sua volta il R.D. 10 gennaio 1941, n. 12, art. 76, come sostituito dal citato D.L. n. 69, art. 81, al comma 1 dispone che “Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’art. 376 c.p.c., comma 1, primo periodo”. L’art. 376 c.p.c., comma 1, stabilisce che “Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio”.
Infine, l’art. 75 del già citato D.L. n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge di conversione L. n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, comma 2, codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis codice di rito, comma 2 e art. 390, comma 1, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, comma 1, al comma 2 ha stabilito che “Le disposizioni di cui al presente art. si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nel R.D. n. 12 del 1941, art. 76, comma 1, lett. b), (come modificato dal D.L. n. 69 del 2013, art. 81), sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376 c.p.c., comma 1), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero.
Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70 c.p.c., comma 3, e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato emesso in data 25 settembre 2013, sicchè deve concludersi che l’udienza pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art. 70 c.p.c., comma 3.
2. Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge per falsa ed erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 1.
Con il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e con il terzo motivo violazione di legge per falsa ed erronea applicazione dell’art. 615 c.p.c., comma 1, in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 1, nonchè violazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost..
3. Deve preliminarmente osservarsi che è ammissibile il rimedio dell’immediato ricorso per cassazione – e non dell’appello avverso l’ordinanza resa L. n. 689 del 1981, ex art. 23, comma 1, – anche se si versa in ipotesi diversa da quella della tardività dell’opposizione.
Invero per effetto delle modifiche recate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26 che ha soppresso la L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c., a far data dal 2 marzo 2006 il rimedio dell’appello è divenuto generale strumento di impugnazione delle sentenze pronunciate in primo grado in materia di opposizione a sanzione amministrativa, nonchè avverso le ordinanze di cui al citato art. 23, comma 5 con le quali, in caso di assenza in udienza dell’opponente, il giudice può convalidare il provvedimento impugnato, ove non ne risulti dagli atti la manifesta illegittimità, rimanendo impugnabili con ricorso diretto per cassazione soltanto le ordinanze che dichiarano inammissibile l’opposizione per tardiva proposizione, ai sensi del medesimo art. 23, comma 1 (Cass. n. 182 del 2011).
Tuttavia, dopo la citata sentenza n. 182 del 2011, si è ritenuto (Cass. n. 17393 del 2011; Cass. n. 16471 del 2011 e Cass., SS.UU., n. 7190 del 2011) che avverso un’ordinanza che appare emessa inaudita altera parte seguendo il paradigma procedimentale previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 1, si possa rimediare con lo strumento previsto dal medesimo art. 23, comma 1, citato, derivando il regime impugnatorio del provvedimento dall’applicabilità del principio dell’apparenza (v. Cass., SS.UU., n. 390 del 2011), indipendentemente dal motivo posto dal giudice a base della declaratoria di inammissibilità.
In virtù della scelta operata dallo stesso giudice di pace di svolgere e definire il procedimento con il provvedimento impugnato, la parte opponente non doveva quindi proporre appello, ma immediato ricorso per cassazione, dovendosi aver riguardo al rimedio esperibile avverso il provvedimento apparentemente emesso.
4. Nel merito il ricorso è fondato atteso che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, ove sia stato intimato da un Comune ad un privato il pagamento di una somma ed il privato abbia promosso il giudizio di opposizione con le modalità del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione anzichè con il rito dell’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 cod. proc. civ., ciò non costituisce di per sè motivo di inammissibilità della domanda, nè di invalidità assoluta del giudizio, essendo il giudice tenuto, anche d’ufficio, a disporre la conversione del rito e a fissare un termine per l’eventuale integrazione dell’atto introduttivo (Cass. n. 10746 del 2012; Cass. n. 16481 del 2011).
Il giudice di pace, pertanto, avrebbe dovuto in ogni caso fissare l’udienza per la trattazione del ricorso e, ove avesse ritenuto che fosse stata introdotta un’opposizione all’esecuzione, avrebbe dovuto disporre il cambiamento di rito.
5. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio ad altro Giudice di pace di Bologna, che procederà a nuovo esame alla luce dell’indicato principio di diritto.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a altro Giudice di pace di Bologna.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2014