Corte Costituzionale Ordinanza n° 109 – Straniero – espulsione amministrativa -19.03.2010 .
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Straniero – Espulsione amministrativa – Udienza di convalida del provvedimento – Previsione che il procedimento abbia luogo con il supporto delle questure ed in locali idonei da queste messi a disposizione del giudice di pace – Asserita violazione di numerosi parametri costituzionali – Questione formulata in maniera ipotetica ed astratta nonche’ censure fondate su meri inconvenienti di fatto, estranei in quanto tali al controllo di costituzionalita’ – Manifesta inammissibilita’. – D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 5-ter, come sostituito dal d.l. 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271. – Costituzione, artt. 13, 24, 97 e 111. (GU n. 12 del 24-3-2010 ) LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO , Alfonso QUARANTA , Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; ha pronunciato la seguenteOrdinanza nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, promosso dal Giudice di pace di Roma nel procedimento penale a carico di S. M. con ordinanza del 6 maggio 2009, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1ª serie speciale, dell’anno 2009; Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle; Ritenuto che, con ordinanza del 6 maggio 2009, il Giudice di pace di Roma, nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento del Questore di Roma di trattenimento di un cittadino egiziano presso un Centro di identificazione ed espulsione, ha sollevato, in riferimento agli articoli 13, 24, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede che, «al fine di assicurare la tempestivita’ del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 13 e all’art. 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilita’ di un locale idoneo»; che, in relazione alla rilevanza della questione, il giudice a quo si limita ad esprimersi nel modo seguente: «le situazioni concrete relative alle convalide dei provvedimenti incidenti sulla liberta’ personale emanati dal Questore», potendo essere effettuate negli stessi locali dei Centri di identificazione ed espulsione, «dove il giudice di pace deve recarsi ed essere assistito da appartenenti alla Polizia di Stato, con vigilanza esterna ed interna anche dell’esercito italiano, destano serie perplessita’ […], in quanto va preservata l’indipendenza del giudice, evitando anche il solo pericolo di possibili condizionamenti psicologici di tipo ambientale»; che, alle predette affermazioni, il rimettente aggiunge, da un lato, il richiamo di passati «episodi di disappunti orali espressi da rappresentanti della questura nei confronti dei giudici di pace, che non hanno convalidato i trattenimenti degli stranieri presso i centri di identificazione ed espulsione»; dall’altro, la constatazione delle difficolta’ logistiche e ambientali cui il giudice di pace sarebbe soggetto nell’esercizio delle proprie funzioni presso i suddetti Centri, nonche’ la considerazione della piena giurisdizionalita’ dei compiti affidati allo stesso giudice di pace nell’ambito dello svolgimento dell’udienza all’interno dei locali dei centri medesimi; che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente afferma che la disposizione oggetto di censura «dovrebbe essere emendata riportando all’interno degli uffici del giudice di pace, o di locali ad esso riferibili, lo svolgimento delle udienze relative alle convalide dei giudici di pace dei trattenimenti, degli stranieri espulsi, presso i Centri di identificazione ed espulsione, configurandosi in caso contrario una evidente lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. […] e del dovere di imparzialita’ e di parita’ davanti ad un giudice terzo (art. 111 Cost.)»; che la disposizione censurata, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., in base al quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialita’ dell’amministrazione, dal momento che essa non garantirebbe la concreta operativita’ di entrambi detti aspetti ordinamentali anche per l’attivita’ da svolgersi nei locali dei Centri di identificazione ed espulsione; che, quanto all’asserito contrasto con l’art. 13 Cost., il rimettente si limita a rilevare che l’interpretazione di questa disposizione della Costituzione, secondo la quale la liberta’ personale e’ inviolabile, non essendone ammessa alcuna forma di detenzione ne’ di restrizione, se non per atto motivato dell’autorita’ giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, non potrebbe «sottovalutare la condizione psicologica dello stesso giudice di pace»; che e’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilita’ o, comunque, per la manifesta infondatezza della questione; che, in particolare, l’Avvocatura dello Stato rileva l’assoluta carenza di motivazione dell’ordinanza di rimessione circa la rilevanza della questione sollevata, e cio’ sia per la «mera eventualita’ degli inconvenienti prospettati dal giudice rimettente», sia per l’assenza di una qualunque spiegazione relativamente all’incidenza di tali inconvenienti sulla questione di legittimita’ costituzionale, sia, infine, per il fatto che il giudice a quo avrebbe omesso del tutto di argomentare, in relazione alle norme parametro indicate, «circa comprovati condizionamenti esterni capaci di inficiare la sua imparzialita’ ed indipendenza nell’adozione di un provvedimento decisorio riguardante il caso sottoposto alla sua cognizione»; Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita della legittimita’ costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede che, «al fine di assicurare la tempestivita’ del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 13 e all’art. 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilita’ di un locale idoneo», in riferimento agli articoli 13, 24, 97 e 111 della Costituzione; che, in sostanza, il rimettente lamenta che il corretto esercizio delle funzioni spettanti al giudice sarebbe compromesso dallo svolgimento del procedimento di convalida dei citati provvedimenti presso la struttura del Centro di identificazione ed espulsione; che la questione risulta proposta in maniera del tutto ipotetica e astratta, essendosi il rimettente limitato a dedurre una serie di generiche perplessita’ prive di alcun riferimento concreto ad effettivi condizionamenti esterni, idonei ad inficiare la propria imparzialita’ ed indipendenza nell’adozione del provvedimento giurisdizionale oggetto del giudizio principale; che, inoltre, le motivazioni addotte a sostegno delle asserite lesioni ai parametri costituzionali invocati risultano fondate esclusivamente su meri inconvenienti di fatto, scaturenti dall’applicazione della norma censurata, estranei in quanto tali al controllo di costituzionalita’ (ex plurimis sentenza n. 329 del 2009); che, pertanto, cio’ determina la manifesta inammissibilita’ della questione sollevata; Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, sollevata dal Giudice di pace di Roma, in riferimento agli artt. 13, 24, 97 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe. |