29.11.2010. – Dagli avvocati cartellino rosso ad Alfano –

Il Guardasigilli: «La vostra è polemica continua – Anche la mediazione ha bisogno dei legali» GENOVA. Dal nostro inviato Giovanni Negri Sab. 27 – «Se voi avvocati chiedete più risorse per la giustizia siete come l’Anm». «La riforma dell’avvocatura è stata ostacolata dai poteri forti». Il tutto davanti a una platea che ha continuamente interrotto, fischiato, sollevato cartellini rossi e nastri neri in una contestazione che non ha forse precedenti.
Ne ha avute per tutti il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel suo intervento davanti al congresso forense. Un intervento duro, che non ha concesso nulla a una platea già pesantemente indisposta nei confronti del governo. «Ministro, le presento l’avvocatura», aveva esordito il presidente Oua, Maurizio de Tilla, introducendo Alfano. Replica: «La conosco già».
Conclusione di de Tilla davanti all’ultima, assordante bordata di fischi che ha coperto le ultime parole del ministro: «Ha dimostrato di non conoscerla affatto». Temi caldi, la riforma dell’ avvocatura e la conciliazione obbligatoria. Sul fronte della riforma dell’avvocatura il ministro ne ha ribadito la necessità, chiamando però l’avvocatura a non arroccarsi «perché altrimenti il cartellino rosso lo sventoleranno gli studi internazionali e sarà troppo tardi». E ha ricordato come il riordino sia stato ostacolato, per esempio, anche da Confindustria. Alfano ha sottolineato di avere tenuto fede all’impegno preso davanti al precedente congresso di Bologna di fare propria la proposta dell’avvocatura «ma ci avete messo 8 o 10 mesi per concepirla, il Senato un anno e mezzo per approvarla. Se non capite l’importanza del voto del Senato io non ve lo spiego». Per cancellare il decreto Bersani – ha ricordato Alfano – serve l’appoggio di tutta l’avvocatura anche alla Camera: «Ma passaggi cruciali della finta liberalizzazione di Bersani sono già stati cancellati. Basti pensare a tariffe e patto di quota lite. Misure che alla prova dei fatti hanno tutelato solo i grandi gruppi industriali senza benefici per i cittadini». Il ministro, però, è stato durissimo sulle rappresentanze dell’avvocatura. Senza fare nomi ha criticato aspramente il clima di polemica continua che ormai sembra caratterizzare le prese di posizione ufficiali dei legali. Dopo avere ricordato i benefici del processo telematico che comincia a produrre risultati apprezzabili (sempre più decreti ingiuntivi online e notifiche telematiche con valore legale, e 14 tribunali in cui sarà a breve realtà il processo esecutivo telematico» e i ripetuti interventi per colmare i vuoti in organico negli uffici giudiziari), Alfano è stato durissimo su eventuali richieste di nuovi fondi per la macchina giudiziaria: «Non sono più disposto a sprechi, non è certo il momento di buttare risorse in un sistema che non funziona». E per provare a farlo funzionare Alfano ha ricordato di avere messo mano alla riforma della procedura civile e di avere ormai in dirittura d’arrivo un pacchetto di misure per tagliare i riti processuali e smaltire l’arretrato civile, che cresce comunque di 200mila cause all’anno. Alfano non ha però offerto nulla di quelle aperture sulla conciliazione che pure la platea si attendeva.
Di fronte a un Guido Alpa che chiedeva modifiche e a un Maurizio de Tilla che ne perorava la soppressione, Alfano ha precisato che la conciliazione non cancella il grado giurisdizionale. «Le parti potranno sempre andare dal giudice. E sulla necessità della presenza di un avvocato anche nel procedimento di mediazione credo che questo sia nella natura dei fatti. Io stesso nel procedimento per diffamazione che ho intentato al gruppo Espresso ho avviato una mediazione con intervento di un legale. I cittadini andranno comunque da chi dà loro fiducia, quindi dagli avvocati». L’unico spiraglio è arrivato alla fine con la convocazione di un tavolo di confronto con tre interlocutori: ministero, avvocatura e opposizioni. I temi? Il decreto Bersani, la riforma dell’avvocatura e la conciliazione obbligatoria. «Perché ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Non sono più ammissibili demagogie».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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