26.11.2010 – Avvocati contro la conciliazione –
Alpa : troppi leggi dribblano il ruolo dei legali – De Tilla: colpa dei poteri forti La testa e la pancia. Guido Alpa e Maurizio de Tilla. Faccia a faccia davanti alla platea del trentesimo congresso dell’avvocatura che si è aperto ieri a Genova. Location suggestiva, l’ammiraglia della flotta Costa, e metafore abusate su una avvocatura che prende il largo o rimane in secca. Di certo l’esordio non è stato rituale. Alpa, presidente Cnf, ha aperto le assise con un’ampia relazione che ha affrontato le questioni aperte delle politiche della giustizia, richiamando i legali alla necessità dell’unità, mentre de Tilla, leader Oua, con un intervento a braccio ha strappato applausi attaccando in sequenza poteri forti, ministero, parlamento. Comune l’appello all’orgoglio, per una categoria che si sente sotto attacco e in caduta esponenziale di prestigio. «Sono molteplici – ha ricordato Alpa – gli interventi legislativi che esonerano coloro che vogliono accedere alla giustizia dall’obbligo di munirsi di difensore, che limitano le modalità di difesa dei diritti e degli interessi: si pensi al decreto ingiuntivo europeo, all’arbitrato bancario, al decreto legislativo sulla mediazione e conciliazione, alle misure sulla legge Pinto e alla composizione delle crisi da sovraindebitamento. Tutte misure in vigore o in itinere che limitano l’assistenza forense». Sulla riforma della professione, Alpa ha alzato le difese e rilanciato la speranza di aggregare alla Camera un consenso anche più ampio di quello registrato martedì al voto finale del Senato. Nessuna chiusura corporativa, ha contrattaccato Alpa: «I privilegi si condividono in pochi, certo non tra gli appartenenti a una massa che si riproduce in maniera esponenziale». La sottolineatura è sui dati: 236mila iscritti all’Albo, raddoppiati in 10 anni, reddito medio annuo sotto i 50mila euro, tasso di disoccupazione dei giovani tra il 20 e il 30%. Per Alpa l’altro nodo da sciogliere è costituito dalle norme sulla conciliazione che sono in odore di incostituzionalità e vanno modificate «tanto più – ha spiegato – che sono in contrasto anche con il diritto comunitario, almeno alla luce di una recente sentenza della Corte di giustizia europea. Inoltre si è facili profeti nel prevedere che, visto il milione di cause interessate dal tentativo obbligatorio, i quattro mesi per la conclusione non saranno rispettati e che i costi per il cittadino sono destinati a crescere». Ancora più netto de Tilla che della conciliazione chiede la soppressione e ha chiamato la categoria a una sorta di disobbedienza civile. De Tilla ha sparato contro «i poteri forti», a partire da Confindustria, che hanno cercato di boicottare la riforma della legge professionale, contro una Corte costituzionale e un Consiglio di stato politicizzati, contro la «prostituzione» della professione testimoniata da forme di pubblicità selvagge. Accorato de Tilla ha anche chiesto l’introduzione di un meccanismo di maggiore rigore all’accesso: troppi 230mila avvocati, l’intera categoria rischia di andare a fondo. Dai toni meno passionali, ma più riflessivi, la relazione di Mario Ubertini, presidente della Cassa forense. Con l’aridità, forse, dei dati, ma anche con la loro stringata efficacia ha presentato il panorama di un’avvocatura che esce sfregiata dalla crisi: «la situazione – ha detto Ubertini – è particolarmente critica per gli avvocati più giovani. Senza contare gli oltre 50mila colleghi iscritti all’Albo, ma non alla cassa, in gran parte sotto la soglia minima di redito Irpef (10mila euro annui) e di ricavi Iva (15mila euro), tra i 25 e i 35 anni il reddito annuo oscilla intorno ai 20mila euro». Fonte: Il Sole 24 Ore |