21.04.09. -Albi & mercato – La riforma proposta dalla categoria concede cinque anni per iscriversi – Nel progetto il limite di 50 anni per concorrere all’abilitazione.

Chi supera l’esame di avvocato ha cinque anni di tempo per iscriversi all’Albo, altrimenti è come se non avesse mai ottenuto l’abilitazione. Chi compie 50 anni ed è iscritto all’Albo dei praticanti, verrà automaticamente cancellato. Le due novità sono previste dagli articoli 15 e 44 del progetto di riforma della professione approvato 27 febbraio da tutte le componenti dell’avvocatura (Consiglio nazionale forense, Organizzazione unitaria dell’avvocatura; Associazione giovani avvocati, Camere penali, sigle di matrimonialisti, amministrativisti e giuslavoristi).
A prima vista sembra un modo per arginare il numero di avvocati in Italia: nel 2008 erano 2l3 mila, contro i 48 mila francesi e i 147 mila tedeschi. Andrea Mascherin, delegato dal Consiglio nazionale forense a redigere il testo assieme ad Alessandro Bonzo, corregge però questa impressione. «Non c’è la volontà diretta o espressa di ridurre il numero degli iscritti.
L’obiettivo è avere, nell’interesse della comunità, una categoria aggiornata e con un alto livello di formazione. Se nei cinque anni dopo l’esame una persona non esercita, non ha studiato abbastanza. Lo stesso vale per i cinquantenni: chi ha fatto altro fino a quel momento, non può inventarsi questo come secondo lavoro». Aggiunge Mascherin: «Tutto il testo obbedisce alla stessa logica: l’avvocato iscritto all’Albo deve provare di svolgere la professione in modo continuativo Gli Ordini locali faranno verifiche periodiche in base a criteri come età e reddito, tenendo conto di periodi di pausa come quelli che spettano alle colleghe in gravidanza».
Al ministero della Giustizia, dove si stanno analizzando i testi che sostituiranno il regio decreto del 1933, questi limiti non convincono. (Assieme agli altri due disegni di legge presentati sull’argomento (Casson e altri e Mugnaie altri), stiamo analizzando il testo, che naturalmente è qualificato perché proviene dal mondo dell’avvocatura, unito per la prima volta.
Il Governo non si è ancora espresso ma su questa preclusione dei cinque anni c’è bisogno di una maggiore riflessione), dice Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia con delega alle professioni, nonché avvocato. «Questa norma sembra davvero un po’ troppo restrittiva». Una norma che sa tanto di scrematura. «Stiamo studiando strumenti che modifichino l’accesso alla professione – risponde Casellati — perché effettivamente 213 mila è un numero esorbitante. Bisogna fare in modo che l’avvocatura non sia più considerata un’attività residuale ma, come in passato,una professione nobile. Certo è che non si può introdurre un numero chiuso perché sarebbe contrario alla normativa europea». Se la reazione del Governo è tiepida, le sigle dì avvocati difendono la proposta «I cinque anni di tempo per iscriversi all’Albo danno più garanzie sulla preparazione dell’avvocato. Il paletto dei 50 anni obbedisce alle stesse ragioni. E non siamo certo i primi: i magistrati hanno già un’età massima da rispettare», dice Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura. «Insomma – sintetizza – questo lavoro bisogna sceglierlo: non può diventare un’area di parcheggio e di disoccupazione intellettuale».
Giuseppe Sileci, presidente dell’Aiga, l’associazione giovani avvocati cui ci si può iscrivere fino ai 45 anni che dichiara 10 mila iscritti, fa questo paragone: «Lei si farebbe operare da un chirurgo che ha preso l’abilitazione e non ha esercitato per cinque anni? No. Questa è una norma nell’interesse della clientela». Rischia forse di sembrare protezionistica. «Casomai protegge il cliente. Non vedo come possa sembrare corporativa». L’unica a contestare il limite dei cinque anni dall’esame è l’Associazione nazionale forense. «Il sistema di reclutamento degli avvocati è andato peggiorando – dice Ester Perifano, componente del direttivo nazionale con delega alla riforma forense – oggi non sempre diventano avvocati i più bravi e il numero degli aspiranti rappresenta di per sé un handicap per un equilibrato svolgimento delle prove di esame.
Ma questa proposta è fortemente e inutilmente selettiva, non fosse altro perché non garantisce gli obiettivi che promette: qualità e preparazione degli avvocati. Andrebbe invece reso meno tradizionale l’esame e meno farraginoso il percorso».
Angela Manganaro
  

Fonte: il Sole24Ore

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