15.10.08. – la riforma del processo civile – di Angelino Alfano – Ministro della Giustizia

La riforma del codice di procedura civile appena approvata dalla Camera ha come obiettivo la creazione di un processo civile equo e dalla durata ragionevole, in linea con i dettami della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quel che abbiamo inteso soprattutto recuperare è la funzione di servizio del processo civile, nella consapevolezza che una giustizia lenta e farraginosa produce danni incalcolabili: per la qualità della vita dei cittadini, per l’economia del Paese, per la credibilità della magistratura, per le casse dell’Erario.
Le cause di questa involuzione sono numerose, ma, anche per non cadere nel velleitarismo, abbiamo ritenuto di doverci concentrare essenzialmente su due di esse e di costruire di conseguenza gli assi portanti dell’intervento riformatore. Da un lato, il processo civile soffre oggi di un’obiettiva macchinosità e per questo abbiamo creduto di dover radicalmente eliminare i tempi morti del processo. Il codice di rito è ancor oggi affollato di congegni burocratici e di inutili formalismi che gli impediscono di essere uno strumento di agevole utilizzo, al passo con il mutato contesto economico e sociale.
Per renderlo più aggiornato, abbiamo anzitutto ritenuto opportuno puntare sull’informatizzazione. Già nel Dl n. 112 del 2008 abbiamo così presto che tutte le notifiche e tutte le comunicazioni di cancelleria possano essere fatte con l’uso della posta elettronica, sì da velocizzare e semplificare i rapporti tra l’ufficio giudiziario e i difensori. Una riforma semplice, a costo zero, che prelude alla creazione del fascicolo informatico e che proietta il processo civile nel presente della realtà telematica. In questa stessa direzione vanno poi il nuovo procedimento sommario di cognizione che costituirà una corsia preferenziale per le cause di facile soluzione e che costituirà un’importante alternativa al procedimento ordinario; la delega sulla mediazione, che porterà alla creazione di organismi professionali deputati alla conciliazione stragiudiziale, la riduzione dei termini processuali e infine la testimonianza scritta, che consentirà ai testimoni di deporre mediante la compilazione di un modulo e che renderà meno affollate e caotiche le aule dei tribunali. Dall’altro lato, abbiamo puntato a responsabilizzare i protagonisti del processo attraverso una valorizzazione della lealtà processuale.
Abbiamo così previsto una disciplina più rigorosa della compensazione delle spese, creato un sistema di sanzioni a carico della parte che abbia causato l’allungamento dei tempi di durata del processo. Abbiamo codificato il principio di non contestazione, che imporrà alle parti di difendersi senza ambiguità, posto un argine alle sentenze-trattato, introdotto le astreintes, misura attesa da generazioni di studiosi e oggi finalmente a disposizione dei creditori per indurre i debitori all’adempimento spontaneo. In questa cornice, che riprende sotto molti aspetti l’elaborazione compiuta dal precedente Governo, in una linea di continuità inspiegabilmente disconosciuta dall’opposizione, viene a inserirsi il ‘filtro” per i ricorsi davanti alla Corte di cassazione. Quale coerenza può essere riconosciuta all’intervento riformatore, ci siamo chiesti, se le semplificazioni e razionalizzazioni realizzate nell’ambito del processo di primo grado continuano a trovare poi nel giudizio di legittimità un insuperabile “collo di bottiglia”, che, oltre a mortificarne il prestigio, impedisce alla Corte di esercitare la sua funzione nomofilattica e determina un nuovo allungamento di quei tempi procedimentali complessivi che ci sforziamo di ridurre? Come è possibile richiamare le parti alla lealtà processuale se poi si consente loro di utilizzare il ricorso davanti al Supremo collegio come un estremo tentativo, sul cui buon esito si fa affidamento non per la obiettiva meritevolezza della questione sottoposta al giudice di legittimità, ma sulla base di un calcolo di probabilità? Ebbene, su questo punto il dibattito parlamentare è stato confortante, se è vero che la stessa opposizione, al netto delle sterili polemiche sulla frettolosità dell’intervento (come se una malattia così grave potesse essere curata con una terapia ordinaria), ha riconosciuto la necessità del filtro e ha avanzato proposte, alcune delle quali accolte, tese a migliorare il pacchetto governativo. Mi riferisco soprattutto all’emendamento che ha reso inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5) del Cpc nell’ipotesi di cosiddetta doppia conforme. Qui la soluzione proposta dall’opposizione è stata accolta con favore dal Governo, in quanto idonea a depurare il giudizio di legittimità da improprie valutazioni sul fatto dopo la conforme decisione di due diversi giudici di merito. E non escludo che, nel passaggio al Senato, altre modifiche possano essere compiute per venire incontro a suggerimenti parlamentari che, senza alterare l’impianto complessivo, possano migliorare il testo. Ma tutto ci dimostra che il problema è reale e che la direzione imboccata è quella giusta, in quanto il giudizio davanti alla Cassazione forma oggetto di strumentalizzazioni ripetute e di ogni sorta, che è necessario stroncare con decisione.
Contro questa impostazione, o meglio contro il modo con cui il filtro è stato disciplinato, sì leva l’obiezione fondata sull’articolo 111, settimo comma, della Costituzione, che impone di ammettere sempre il ricorso per cassazione contro le sentenze per violazione di legge.
Il filtro approvato limiterebbe la possibilità di applicare tale norma e determinerebbe una compressione delle garanzie individuali. Ora, io credo ci si debba guardare dal rischio di trasformare il settimo comma dell’articolo 111, nato con specifiche e condivisibili esigenze, in una “camicia di Nesso” che ci impedisce di apportare qualsiasi trasformazione al giudizio di Cassazione per adeguano a una realtà divenuta drammatica e insostenibile. 11 testo che è stato approvato mira a far dichiarare inammissibili ricorsi dalla manifesta finalità dilatoria, con cui vengono sottoposte alla Corte – con modalità che in altri ordinamenti verrebbero tacciate di contempt of Court, disprezzo della Corte – questioni già decise ripetute volte, sempre in senso conforme: possiamo davvero credere che tali ricorsi rientrino sotto la copertura dell’articolo 111 o non dobbiamo piuttosto pensare che costituiscono un esempio evidente di abuso del diritto, non certo da incoraggiare ma da sanzionare? D’altronde, se le maglie del filtro non fossero sufficientemente strette e non mirassero a colpire in via preliminare le questioni ripetitive, sarebbe proprio la funzione di garanzia a essere messa a repentaglio, giacché il ricorso meritevole e fondato rischia più facilmente di disperdersi tra i molti altri soggetti alla più approfondita delibazione odierna. Ma, accanto a queste considerazioni, vorrei aggiungerne altre, dirette a si dimostrare che il filtro appena approvato non si pone affatto in contrasto con sull’informatizzazione i articolo 111 della Costituzione, ma anzi garantisce che a esso sia data un’attuazione piena e trasparente.
La prima è che un pesantissimo filtro già oggi esiste ed è quello dell’articolo 366-bis del Cpc che noi abbiamo pensato di sopprimere, in quanto rischia di consegnare il giudizio di ammissibilità a un inaccettabile formalismo, per cui il semplice errore materiale nella formulazione dei motivi conduce alla dichiarazione di inammissibilità. La seconda intende replicare all’obiezione apparentemente più suggestiva, che vede nel filtro un ostacolo all’evoluzione della giurisprudenza; il nuovo testo articolo 360-bis del Cpc impedirebbe alla Cassazione di compiere quei revirements, che le hanno consentito negli anni recenti di non fossilizzarsi e di aprirsi agli apporti della giurisprudenza di merito. Ora, al di là della retorica, credo che dobbiamo renderci consapevoli che un intervento finalizzato a rafforzare la funzione nomofilattica della Corte – e tale esigenza mi sembra condivisa da tutti – non può lasciare immutata la policromia giurisprudenziale: se vogliamo instradarci verso una maggiore certezza del diritto, che sappia restituire fiducia ai cittadini e alle imprese nella costanza degli orientamenti giurisprudenziali, dobbiamo essere disposti a sacrificare qualche indirizzo minoritario. Si badi che in caso contrario il prezzo da pagare, in termini economici e di conflittualità sociale, è di gran lunga più salato, come possiamo constatare in questi anni di acceso e affollato contenzioso. [E le garanzie saranno completamente salvaguardate quando il filtro sarà affidato – come abbiamo intenzione di fare al Senato – direttamente alle sezioni della Corte chiamate poi a decidere nel merito, secondo la procedura dell’articolo 380-bis del Cpc già oggi sperimentata con successo.] La frase finale è posta tra parentesi non sapendo se l’intenzione di affidare il filtro alle singole sezioni della Cassazione è effettiva e sarà portata avanti in Senato. 
 

Fonte:  – Guida al Diritto – Sole 24 Ore  

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