Tar del Lazio n. 4801/2014 – Telecom Italia deve garantire l’accesso dei concorrenti alla propria infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie – 08.05.2015. –

proprio perché l’infrastruttura di Telecom è indubitabilmente essenziale per consentire agli operatori concorrenti di fornire i servizi di fonia e di banda larga, la medesima società è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire l’accesso dei concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, configurandosi in caso contrario un caso paradigmatico di abuso di posizione dominante con effetti escludenti e con un conseguente grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell’accesso all’infrastruttura di rete) in cui l’impresa titolare dell’input essenziale detiene una posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la produzione di Telecom Italia e quella degli operatori suoi concorrenti è piena”.

 

Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

Sezione I

Sentenza 8 maggio 2014, n. 4801

 

FATTO

 

1. La ricorrente Telecom Italia Spa riferisce che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il 23 giugno 2010, a seguito delle segnalazioni inviate dalle concorrenti società Wind e Fastweb, deliberava l’avvio, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 287/90, di un procedimento istruttorio nei suoi confronti per abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 102 TFUE, riguardante l’elevato numero di rifiuti di attivazioni di servizi all’ingrosso richiesti dai concorrenti per la fornitura di servizi ai clienti finali e l’applicazione di rilevanti sconti alla clientela business nelle aree aperte all’Unbundling Local Loop, cioè nelle aree ove è fornito ai concorrenti il servizio di accesso al tratto finale di rete verso il cliente, e tale da non consentire agli OLO (Other Licensed Operators, ovvero gli operatori concorrenti) di competere in maniera efficace.

 

2. A seguito di una complessa istruttoria, cui partecipavano in qualità di intervenienti numerose società concorrenti e che vedeva numerose audizioni di Telecom e del suo Organo di Vigilanza, in data 8 luglio-2 agosto 2011 Telecom presentava i propri impegni, ai sensi dell’articolo 14-ter della legge n. 287/90, pubblicati sul sito dell’Autorità in data 5 agosto 2011 ed in data 20 dicembre 2011 ne presentava di ulteriori, ma gli stessi non venivano accettati dall’Autorità che, dopo aver prorogato il termine di chiusura del procedimento, l’11 dicembre 2012 inviava la comunicazione delle risultanze istruttorie.

 

A propria volta, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dopo aver richiesto una proroga del termine di cui all’articolo 1, comma 6, lettera c), n. 11 della legge n. 249/1997, rilasciava il richiesto parere in data 29 marzo 2013.

 

L’Autorità antitrust, infine, nell’adunanza del 9 maggio 2013 chiudeva l’istruttoria, adottando il provvedimento n. 24339 con cui imputava alla società Telecom di aver posto in essere due abusi di posizione dominante, consistenti nell’opposizione di un numero ingiustificatamente elevato di rifiuti di erogare servizi all’ingrosso, nel periodo 2009-2011, finalizzato a rallentare il processo di crescita dei concorrenti nei mercati dei servizi di accesso al dettaglio di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda larga, e nella compressione dei margini dei concorrenti nelle offerte alla grande clientela affari, nel periodo gennaio 2009-luglio 2011, al fine di ostacolare l’esplicarsi di un’effettiva concorrenza per l’offerta dei servizi di accesso al dettaglio rivolti alla clientela non residenziale.

 

Con il provvedimento conclusivo dell’istruttoria le veniva pertanto intimato di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi e le venivano irrogate due sanzioni amministrative pecuniarie, rispettivamente pari a 88.182.000 euro per l’infrazione sub a) e a 15.612.000. euro per l’infrazione sub b).

 

3. La società Telecom Italia impugnava con ricorso n. 4406/2012 il provvedimento di rigetto degli impegni, n. 23395 del 14 marzo 2012 e poi, con motivi aggiunti, il provvedimento conclusivo di istruttoria, chiedendone l’annullamento. Successivamente, presentava il ricorso n. 6374/2013, con cui impugnava il provvedimento finale, chiedendone l’annullamento anche per l’illegittimità derivata dall’illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni, formulando altresì istanza cautelare.

 

3.1. Con il primo dei due ricorsi (R.G. n. 4406/2012) venivano dedotti i seguenti tre motivi di ricorso:

 

I) l’esistenza di gravi carenze istruttorie, con la conseguente violazione della normativa nazionale e comunitaria di riferimento, della disciplina prevista dalla legge n. 287/1990 e dei principi di proporzionalità, buona amministrazione ed imparzialità e con il conseguente vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, perplessità ed apoditticità. I predetti vizi venivano individuati, in particolare, nella manata considerazione di decisive risultanze istruttorie, nell’erronea valutazione della tardività degli impegni integrativi e nella mancata sottoposizione a market test degli impegni stessi;

 

II) la manifesta illogicità e contraddittorietà del percorso logico-motivazionale nella valutazione degli impegni di Telecom, con la conseguente violazione dell’art. 9 del Regolamento CE n. 12003 e dell’art. 14-ter della legge n. 287/1990 e con il conseguente vizio di eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, motivazione insufficiente e contraddittoria, perplessità e apoditticità;

 

III) la irragionevolezza del non accoglimento dei singoli impegni proposti, con la conseguente violazione del predetto art. 14-ter e del principio di proporzionalità ed il conseguente vizio di eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta e apoditticità, con particolare riguardo alla riduzione dei contributi di attivazione, prevista dall’impegno n. 2 ed indebitamente ritenuta marginale; alla riduzione dei vizi formali idonei a determinare il rifiuto (KO) delle richieste degli OLO, prevista dall’impegno n. 3 ed indebitamente ritenuta capace di incidere solo su una minima parte dei rifiuti; alla introduzione di un messaggio preannunciante l’intervento tecnico chiesto dal cliente, prevista all’impegno n. 5 ed indebitamente ritenuta priva di effetto sostanziale; alla fornitura all’Autorità di maggiori informazioni circa le proprie offerte, prevista dall’impegno n. 6 ed indebitamente ritenuta ininfluente sui rapporti con clienti e concorrenti; alla previsione di una valutazione unitaria degli ordinativi, prevista dall’impegno n. 7 ed indebitamente ritenuta non utile poiché meramente temporanea.

 

3.2. Con il secondo dei ricorsi (R.G. n. 6374/2013) venivano altresì introdotti i seguenti ulteriori motivi di ricorso:

 

I) la lesione del principio del contraddittorio e dei diritti di difesa, dei principi di buon andamento e correttezza dell’azione amministrativa e l’eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento, non avendo l’Autorità previamente contestato a Telecom le accuse ed i fatti posti a fondamento della condanna;

 

II) la violazione dell’art. 102 TFUE e della normativa di riferimento ed il vizio di eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici poiché l’attività contestata sarebbe stata imposta dalla vigente normativa;

 

III) la violazione della normativa di riferimento ed il vizio di eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici poiché i processi interni in realtà avrebbero conseguito risultati migliori di quelli interni evidenziando l’assenza di disparità di trattamento;

 

IV) ancora i medesimi vizi sotto altro profilo,in quanto i dati relativi agli ordinativi scartati non rivelerebbero alcuna disparità di trattamento;

 

V) il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicità e contraddittorietà manifesta, per l’assenza dei contestati comportamenti opportunistici nell’uso delle causali di scarto;

 

VI) ancora la violazione della normativa di riferimento ed il vizio di eccesso di potere sotto plurimi profili in quanto, con particolare riguardo al secondo addebito, i prezzi puramente ipotetici delle marketing guidelines considerati dall’Autorità non potrebbero determinare alcuna compressione dei margini;

 

VII) ancora i medesimi vizi, per la mancata considerazione di tutti i ricavi potenzialmente associabili all’ipotetica offerta analizzata;

 

VIII) ancora i medesimi vizi, per l’erronea sovrastima dei costi commerciali di Telecom;

 

IX) ugualmente, per la mancata analisi del “bundle”, ovverosia dell’intero pacchetto di servizi offerto anche per le aree ULL;

 

X) la violazione dell’art. 102 TFUE e del quadro regolamentare di riferimento ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, per l’erronea quantificazione dei prezzi e dei costi e per altri errori metodologici (erronea ripartizione fra linee attive e non attive, erronea imputazione dei costi degli SLA Wholesale Plus – ovverosia dei costi dell’assistenza tecnica per i servizi di accesso all’ingrosso, erronea quantificazione del costo degli apparati ISDN, mancata considerazione degli efficientamenti ed altri errori materiali);

 

XI) l’incompatibilità con il quadro regolamentare di riferimento e la violazione dei principi di coerenza e certezza dell’ordinamento, di leale cooperazione e buona amministrazione e del bis in idem, incompetenza, violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 102 TFUE ed eccesso di potere, in relazione alla mancata considerazione del rispetto della disciplina settoriale delle comunicazioni elettroniche;

 

XII) i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per l’illegittimità della sanzione e del suo ammontare, non essendo stato accertato il profilo soggettivo ed essendo stato definito un importo eccessivo, anche in relazione alla novità delle fattispecie, senza considerare le circostanze che al contrario avrebbero dovuto condurre ad una sua riduzione.

 

XIII) infine, la illegittimità derivata da quella del provvedimento di rigetto degli impegni proposti.

 

4. L’Autorità intimata si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto di entrambi i ricorsi, previa loro riunione. Si costituivano altresì in giudizio gli operatori concorrenti Soc. Fastweb Spa e Soc. Wind Telecomunicazioni Spa. Le parti in giudizio argomentavano le proprie difese con ampi e ripetuti scambi di memorie. Nel corso del giudizio venivano altresì depositati numerosi documenti in versione parzialmente accessibile, nonché il provvedimento finale nella versione integrale con la modalità della busta chiusa, in ragione dell’accoglimento delle istanze di riservatezza avanzate dalle parti in merito ad informazioni sensibili. Alla camera di consiglio cautelare del 17 luglio 2013 questa Sezione rinviava al merito la decisione della causa, che veniva successivamente rinviata fino alla pubblica udienza del 12 marzo 2014. In tale data i due ricorsi venivano riuniti in ragione dei profili di connessione soggettiva ed oggettiva ed introitati dal Collegio per la decisione.

 

DIRITTO

 

1. La controversia in esame concerne l’impugnazione, da parte di Telecom Italia SpA, della sanzione comminata, nei suoi confronti, dall’Autorità per la tutela della Concorrenza e del Mercato con riferimento a due violazioni della disciplina antitrust, consistenti in abusi di posizione dominante suscettibili, secondo l’Autorità, di rallentare il processo di crescita dei concorrenti dell’incumbent nei mercati dei servizi di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda larga consentito dalla recente liberalizzazione della normativa.

 

1.1. In particolare, il primo abuso contestato ha per oggetto l’opposizione di un numero significativamente elevato di KO (ossia di riscontri negativi) alle richieste di attivazione di servizi di accesso per la fornitura del servizio al dettaglio di accesso a internet a banda larga da parte dei nuovi potenziali concorrenti (“OLO”), con un trattamento sostanzialmente divergente, e quindi ritenuto discriminatorio dall’Autorità, a seconda della provenienza delle medesime richieste dalle divisioni interne di Telecom ovvero dagli OLO. L’Autorità evidenzia, infatti, che per le divisioni commerciali dì Telecom la procedura prevede che esse interagiscano direttamente con la funzione aziendale c.d. Open Acces costituita nel 2008 all’interno della Direzione Technology & Operations di Telecom e che i loro ordinativi nel caso d’indisponibilità di risorse siano posti in sospensione, in attesa che le risorse si liberino, per gli operatori alternativi è invece previsto che essi debbano interagire con la funzione aziendale National Wholesale Services e che i loro ordinativi nei medesimi casi ricevano invece un KO immediato, per effetto del quale sono costretti a procedere all’emissione di un nuovo ordinativo e a dare avvio ad una nuova ed ulteriore procedura di richiesta di accesso. Tale condotta, aggiunge l’Autorità, incide in modo significativo sui tempi di lavorazione degli ordinativi, che per gli OLO risultano ingiustificatamente più lunghi di quelli previsti per le divisioni interne dell’incumbent, ostacolando la capacità di questi ultimi di operare in condizioni di sostanziale parità con la società Telecom e, quindi, di poter conquistare parte dei clienti già serviti da Telecom.

 

1.2. Il secondo abuso affermato dall’Autorità consiste in una condotta di compressione dei margini (margin squeeze). Secondo l’Autorità l’impresa in posizione dominante risulta infatti avere attuato una politica di scontistica alla grande clientela affari per il servizio di accesso al dettaglio alla rete telefonica fissa, tale da non consentire, a un concorrente altrettanto efficiente, di operare in modo redditizio e su base duratura nel medesimi mercati, considerati anche i costi di accesso alla rete praticati da Telecom agli altri operatori, con conseguenti effetti restrittivi della concorrenza sul mercato al dettaglio dei servizi di accesso alla clientela non residenziale nelle aree aperte alla concorrenza, ove è disponibile il servizio di accesso al tratto finale di rete verso il cliente.

 

2. Telecom propone numerose censure, ampiamente e diffusamente argomentate.

 

2.1. In estrema sintesi, la società ricorrente deduce in primo luogo che le condotte ad essa imputate erano imposte dalla disciplina di settore e che, per tale ragione, l’Autorità ha invaso spazi coperti dalla regolazione di settore delle TLC ed ha violato il principio del ne bis in idem, senza tenere conto del quadro regolamentare e delle valutazioni dell’AGCOM.

 

2.2. La ricorrente articola poi numerose censure di carattere procedurale attinenti a violazioni del diritto di difesa relative, in particolare, alla mancata ostensione di documenti utilizzati a fini accusatori, alla compressione dei tempi di difesa e al mutamento nel provvedimento finale delle contestazioni contenute nella comunicazione delle risultanze istruttorie.

 

2.3. Telecom confuta poi le valutazioni dell’Autorità sull’abuso riguardante i rifiuti di attivazione (cosiddetti KO), ritenute del tutto inidonee a comprovare la sussistenza di una discriminazione verso gli altri operatori, essendo basate solo sui dati relativi al numero di ordinativi scartati, prescindendo dall’analisi dei reali processi di attivazione. Ad ulteriore confutazione del primo addebito, la società argomenta l’assenza di ogni disparità di trattamento tra le richieste provenienti dalle proprie divisioni interne e quelle degli altri operatori, affermando che i dati riportati dall’Autorità sul numero di ordinativi scartati non sono significativi, poiché aggregano indebitamente situazioni eterogenee, e contestando le argomentazioni dell’Autorità sull’uso opportunistico delle causali di scarto.

 

2.4. Viene altresì contestata l’erroneità delle valutazioni che hanno portato alla seconda contestazione di attività anticoncorrenziale. In particolare, l’accertamento del preteso abuso di posizione dominante consistente nella compressione dei margini sarebbe viziato dall’erroneità dello stesso approccio metodologico dell’Autorità, che non riuscirebbe a dimostrare che la differenza tra i prezzi al dettaglio praticati ai clienti finali e i prezzi all’ingrosso praticati ai concorrenti, quale impresa detentrice di una risorsa essenziale, affinché questi possano offrire a loro volta il medesimo servizio al dettaglio, sia tale da non coprire i costi specifici che gli stessi concorrenti sostengono per erogare i servizi in questione nei mercati a valle.

 

2.5. Sono infine censurati il mancato accoglimento degli impegni proposti da Telecom (che vizierebbe tutti i successivi atti) e l’importo, ritenuto incongruamente troppo alto, della sanzione applicata.

 

3. Tutte le predette censure vengono puntualmente contraddette dalle memorie dell’Autorità e degli operatori contro interessati.

 

3.1. Quanto al primo ordine di censure sopra sintetizzato, l’Autorità osserva, al contrario, che, in base ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, i rapporti tra la disciplina antitrust e la regolazione settoriale non si configurano in termini di esclusione, ma di complementarietà, in quanto la regolazione settoriale disciplina lo svolgimento delle relative attività attraverso regole generali, mentre la disciplina antitrust si occupa di intervenire nei confronti delle specifiche condotte delle imprese che ostacolano o impediscono la concorrenza. Quindi, l’Autorità antitrust deve tenere conto della regolazione come quadro di riferimento nel cui ambito gli operatori si sono mossi, senza che ciò le impedisca di valutare autonomamente le loro condotte, e la Commissione europea, nel caso Deutsche Telekom (Decisione del 21 maggio 2003, C-1/37.451, 37.578, 37.579), ha espressamente affermato che l’applicabilità delle regole di concorrenza non è esclusa in tutti i casi in cui le disposizioni regolamentari lascino sussistere la possibilità per le imprese di adottare comportamenti autonomi atti a ostacolare, restringere o falsare la concorrenza, confermando così la sussistenza di un doppio controllo, antitrust e regolatorio. Per la Corte di Giustizia, pertanto, la presenza di un atto di approvazione o ratifica da parte del regolatore delle condotte investigate non impedisce in ogni caso all’autorità di concorrenza di sindacare e condannare la medesima condotta (sentenza del 14 ottobre 2010, C-280/08 – Deutsche Telekom). Quanto al livello nazionale, l’Autorità argomenta che, come chiarito dalla giurisprudenza, la propria competenza generale non è scalfita dalle attribuzioni dell’AGCom, trattandosi di competenze distinte e parallele. Infatti, le imprese operanti nel settore della radiodiffusione e dell’editoria sono soggette alla disciplina generale a tutela della concorrenza contenuta nella legge n.287 del 1990, e la previsione di un parere obbligatorio (ma non vincolante) dell’AGCOM sui provvedimenti predisposti dall’AGCM riguardanti operatori del settore delle comunicazioni, rende evidente che la competenza in materia di tutela della concorrenza spetta sempre all’AGCM, anche quando le relative iniziative interessino il settore delle comunicazioni (Cons. St., Ad. Plen., 11 maggio 2012, n. 11). Nel caso di specie è altresì da escludere anche l’eventuale violazione del principio del ne bis in idem, mancando l’identità della condotta e l’identità dell’interesse legale protetto. Del resto, anche la Commissione ha negato la rilevabilità di una violazione del principio del ne bis in idem nel caso Telekomunikazja Polska sostenendo che le decisioni della Commissione e dell’autorità di regolazione nazionale non sono volte a proteggere il medesimo assetto legale. Le medesime considerazioni valgono anche per la condotta di compressione dei margini (marginsqueeze), come osservato dall’Agcom nella delibera n. 499/10/CONS, in cui è stato espressamente affermato che l’attività di regolazione risponde ad una finalità diversa dalle verifiche compiute dall’Autorità antitrust in relazione ad eventuali abusi di posizione. La legislazione nazionale, basata su considerazioni di politica delle telecomunicazioni, infatti può perseguire obiettivi diversi, anche se coerenti, con quelli ispirati dalla politica comunitaria nel campo della concorrenza.

 

3.2. Quanto al secondo ordine di censure, di carattere procedurale, per l’Autorità il motivo riguardante la presunta violazione dei diritti di difesa per mancato accesso ad alcuni atti del fascicolo istruttorio è, innanzitutto, inammissibile in quanto la ricorrente avrebbe dovuto far valere la mancata ostensione dei documenti durante il procedimento oppure con l’apposita azione per l’accesso ai documenti amministrativi prevista dall’art. 116 c.p.a. Inoltre, si afferma, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la parte che deduce l’esistenza di un vizio procedimentale riguardante la segretazione di documenti non può limitarsi ad una doglianza generica ed astratta, ma deve indicare i fatti o le circostanze, posti a base del provvedimento, da essa non conosciuti, e le conseguenze effettivamente subite. In ogni caso, secondo l’Autorità il principio della “parità delle armi” invocato da Telecom postula l’esigenza di contemperare il diritto all’accesso con l’esigenza di salvaguardare il diritto delle altre parti del procedimento a tutelare i propri segreti commerciali, essendo consentito conoscere il contenuto dell’intero fascicolo ma con l’esclusione delle parti “sensibili” dei documenti, così come è accaduto nella fattispecie, in cui l’esclusione dall’accesso ha riguardato solo documenti di altri operatori comunque non utilizzati ai fini dell’addebito.

 

La dedotta modifica della comunicazione delle risultanze istruttorie, secondo l’Autorità è stata dovuta solo alla correzione di un mero errore materiale emerso nel corso della verifica svolta dagli Uffici in risposta alla richiesta di chiarimenti formulata dalla stessa Telecom, che in ogni caso non ha comportato alcuna limitazione del diritto di difesa della parte, in considerazione della proroga di ben tre settimane del termine di chiusura dell’istruttoria, concessa anche per tale ragione.

 

Ancora, la censura di mancata corrispondenza tra la comunicazione delle risultanze istruttorie e il provvedimento finale è basata, secondo l’Autorità, su un’errata ricostruzione del contenuto della comunicazione e del provvedimento, in quanto l’Autorità avrebbe seguito un iter lineare, contestando sin dall’avvio alla società Telecom i due abusi di posizione dominante, e le due contestazioni sono state riproposte in modo pressoché identico nella comunicazione delle risultanze istruttorie e nel provvedimento finale: l’Autorità richiama l’identica formulazione testuale dei paragrafi 397 e 318 della comunicazione rispetto ai paragrafi 491 e 492 del provvedimento finale, a conferma della mancata violazione del principio dell’immutabilità della contestazione e del diritto di difesa della parte.

 

In conclusione, secondo l’Autorità non può ravvisarsi una violazione del diritto di difesa in quanto le differenze non conducono nel provvedimento finale ad un mutamento della natura intrinseca della violazione accertata rispetto a quella contestata, con conseguente mutamento dell’imputazione, essendosi limitata a riproporre le medesime contestazioni, pur arricchite da ulteriori valutazioni. Anche la Corte di Giustizia ha, in più occasioni, osservato che la decisione finale non deve essere una copia della comunicazione degli addebiti, ben potendosi rivedere o aggiungere argomenti di fatto o di diritto a sostegno degli addebiti formulati. Una lesione dei diritti di difesa potrà pertanto rilevarsi solo quando la decisione finale contenga una contestazione che non sia stata esposta nella comunicazione degli addebiti in modo sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi (sentenza 29 ottobre 1980, cause da 209/78 a 215/78 e 218/78, sentenza del 3 settembre 2009, C-534/07).

 

3.3. Quanto alle censure di merito, osserva il Collegio che Telecom, come sopra già rilevato, confuta le valutazioni dell’Autorità sull’abuso riguardante i rifiuti di attivazione (cosiddetti KO), ritenute del tutto inidonee a comprovare la sussistenza di una discriminazione verso gli altri operatori, essendo basate solo sui dati relativi al numero di ordinativi scartati, prescindendo dall’analisi dei reali processi di attivazione. Ad ulteriore confutazione dell’addebito, si argomenta altresì l’assenza di ogni disparità di trattamento tra le richieste provenienti dalle proprie divisioni interne e quelle degli altri operatori, affermando che i dati riportati dall’Autorità sul numero di ordinativi scartati non sono significativi poiché aggregano indebitamente situazioni eterogenee. Vengono infine contestate anche le argomentazioni dell’Autorità sull’uso opportunistico delle causali di scarto.

 

Per l’Autorità i predetti motivi sono in primo luogo inammissibili, poiché non riuscendo a confutare l’innegabile diversità di trattamento in favore delle sue divisioni commerciali, Telecom non deduce l’illegittimità del provvedimento, ed invece entra nel dettaglio di aspetti tecnici e propone soluzioni metodologiche alternative a quelle dell’Autorità, e ciò comporterebbe un sindacato di merito precluso al giudice amministrativo in sede di sindacato di legittimità.

 

Gli stessi motivi di ricorso sono altresì infondati, prosegue l’Autorità, poiché la ricorrente propone una ricostruzione dell’abuso parcellizzata, in cui gli elementi addotti come prova dell’illecito non vengono considerati nel loro complesso ma vengono scollegati gli uni dagli altri, mentre secondo il costante orientamento del giudice amministrativo sono sufficienti una serie di indizi concordanti per poter considerare raggiunta la prova di un illecito antitrust, e nella fattispecie in esame nel corso dell’istruttoria è stata acquisita una mole molto consistente di dati. Quanto all’abuso contestato, in caso di condotte riguardanti la messa a disposizione di risorse nell’esclusiva disponibilità dell’impresa dominante, a livello comunitario, viene ritenuto sufficiente a integrare un abuso di posizione dominante anche un “rifiuto costruttivo”, consistente, ad esempio, in ritardi indebiti o in altre forme di danneggiamento della fornitura del prodotto, o nell’imposizione di condizioni irragionevoli, in quanto nei mercati a valle di quello in cui l’impresa detiene l’infrastruttura essenziale, il grado di concorrenza e la capacità dei concorrenti di competere in modo efficiente dipendono esclusivamente dalle scelte dell’impresa dominante.

 

Di contro, secondo l’Autorità non colgono nel segno i numerosi tentativi di Telecom che, citando pezzi isolati del parere, vorrebbe far apparire l’autorità di settore in disaccordo con l’Autorità antitrust e con le conclusioni contenute nel provvedimento, mentre, al di là delle considerazioni metodologiche in esso contenute e della preferenza manifestata dal regolatore per un’analisi che conteggi le sospensioni unitamente ai KO, l’AGCOM conferma in ogni caso la sussistenza di criticità in termini di disparità di trattamento tra processo interno e processo esterno, aderendo alle conclusioni formulate dall’AGCM, pur potendo invece l’intervento in materia di tutela della concorrenza e quello regolatorio, in quanto aventi scopi e prospettive di analisi diversi, condurre a conclusioni difformi.

 

In conclusione, secondo l’Autorità nel provvedimento risulta adeguatamente provato e motivato l’addebito relativo al rifiuto “costruttivo” all’accesso, in quanto, contrariamente a quanto prospettato nel ricorso, qualsiasi valutazione in merito alla sussistenza dell’abuso non può prescindere dall’analisi delle diverse modalità con cui è stato costruito il processo di provisioning interno ed esterno, ed in particolar modo dalle differenze che sussistono tra la sospensione e la ripetizione dell’ordinativo, né dalla maggiore attendibilità ai fini antitrust dell’analisi degli ordinativi di lavoro rispetto a quella basata sulle sole richieste elementari.

 

3.4. In relazione al secondo comportamento di Telecom sanzionato, quest’ultima deduce essenzialmente l’illegittimità della scelta dell’Autorità di basare l’addebito su prezzi puramente ipotetici e potenziali, e non anche sui prezzi effettivamente praticati dall’operatore, ma secondo l’Autorità, al contrario, tale condotta, essendo idonea a compromettere la capacità competitiva di concorrenti altrettanto efficienti rispetto all’operatore dominante, rientra nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE laddove pregiudizievole – come nel caso di specie – del commercio intracomunitario, e per tale motivo è stato pertanto sanzionata la prassi abusiva della politica tariffaria di Telecom per i servizi di accesso alla rete telefonica fissa destinati alla c.d. Grande Clientela Affari, definita dalla stessa Telecom a settembre del 2007 nelle c.d. “marketing guidelines” contenenti una griglia di sconti estremamente elevati da applicarsi sul listino dei prezzi al dettaglio dei servizi di accesso per il periodo 2008- 2011.

 

3.4.1. Nello specifico, i predetti prezzi al dettaglio prevedono sconti pari a 15, 20 o 25% sul contributo una tantum per l’attivazione del servizio e sei diversi livelli di sconto sul canone mensile,ed è selettivamente diretta, afferma l’Autorità, ai clienti che ricorrono a procedure di selezione del fornitore (cioè la Grande clientela affari privata o top business clients) e che sono collocati in aree aperte alla concorrenza (le cosiddette aree ULL, ossia le centrali nelle quali è disponibile il servizio all’ingrosso di unbundling del local loop).

 

Dirimente per l’Autorità è che la scontistica predisposta dall’impresa è contenuta in una direttiva (c.d. linee guida) che viene diramata ai propri agenti per l’effettiva vendita ed erogazione del servizio. In ogni caso, gli accertamenti dell’Autorità hanno consentito di verificare che le Linee Guida sono state applicate da gennaio 2008 sino a luglio 2011. In particolare, in ispezione sono stati rinvenuti contratti stipulati da Telecom con alcuni grandi clienti business, che confermano i livelli di sconto previsti. Inoltre l’Autorità ha acquisito i prezzi praticati da Telecom per la fornitura dei servizi di accesso ai principali 30 clienti, in termini di fatturato, nei contratti sottoscritti dal 2008 al 2011, risultando confermato che Telecom ha pienamente applicato gli sconti previsti nelle Linee Guida, a volte anche in misura superiore a quella massima prevista.

 

3.4.2. Un censura più particolare concerne poi la doglianza secondo cui l’Autorità avrebbe preso in considerazione solo i ricavi generati sulle aree aperte ai servizi ULL, ignorando invece i ricavi derivanti dalle offerte nelle altre aree, mentre almeno le offerte alla GCA, che includono anche forniture alle aree non ULL, dovrebbero essere considerate complessivamente, e allora il loro prezzo equivarrebbe alla media ponderata dei prezzi praticati in aree ULL (scontati) e aree non ULL (non scontati), ma l’Autorità, premesso che la questione è ampiamente trattata nella motivazione del provvedimento, obietta che la censura non è comunque in grado di incidere sulla valutazione circa l’antigiuridicità della politica tariffaria nelle aree ULL, cioè nella parte “contendibile” del mercato diversa dalle aree non aperte al servizio ULL, dove gli OLO possono unicamente essere rivenditori dei servizi di accesso acquisiti da Telecom mediante il servizio WLR (wholesale line rental). Viceversa, proprio in quanto specificamente indirizzata a clienti Top più esposti alla concorrenza, la politica di forti sconti di Telecom è specificamente idonea a pregiudicare la capacità competitiva dei concorrenti.

 

3.4.3. Anche la censura di Telecom circa la sovrastima dei propri costi commerciali è, secondo l’Autorità, priva di fondamento in quanto, pur non avendo l’Autorità ottenuto né da Telecom né da altri operatori stime affidabili dei costi commerciali, la stessa ha fatto riferimento a quanto stabilito a livello regolamentare, cioè al naturale benchmark di riferimento ormai riconosciuto dalla giurisprudenza. Dunque, la tesi della ricorrente è infondata, in quanto è proprio la delibera AGCOM, la cui applicazione è rivendicata dalla stessa Telecom, a indicare il considerato valore del 12%, specificamente per i servizi di accesso anche nel contesto delle gare.

 

3.4.4. Infine, secondo la ricorrente l’Autorità avrebbe errato anche nella quantificazione di alcune voci di costo adoperate per definire la soglia di replicabilità (sovrastima dei costi per contributi una tantum per l’attivazione del servizio, dei costi dei servizi di riparazione e dei costi per gli apparati ISDN). Per l’Autorità anche questa doglianza è priva di fondamento, in quanto la verifica è semplicemente consistita nella verifica nell’accertamento se la stessa Telecom sarebbe stata in grado di offrire i medesimi servizi al dettaglio secondo i prezzi praticati (pur corretti secondo le indicazioni di Telecom) senza subire perdite sostenendo i costi all’ingrosso che essa pratica ai concorrenti in quanto proprietaria verticalmente integrata degli input essenziali per l’accesso al mercato.

 

3.5. Vengono infine in rilievo le censure riferite al mancato accoglimento degli impegni ed alla quantificazione della sanzione pecuniaria.

 

3.5.1. Con riguardo alle sanzioni comminate a suo carico dall’Autorità a conclusione dell’accertamento, Telecom contesta anzitutto la sottostante valutazione di gravità degli abusi ad essa imputati, facendo in particolare riferimento ad un’asserita “novità” delle fattispecie, ma secondo l’Autorità l’abuso escludente per rifiuto “costruttivo” di accesso ad un’infrastruttura essenziale è fattispecie largamente e negativamente nota alla prassi antitrust sia nazionale che comunitaria, in quanto diretta a rallentare il processo di crescita dei concorrenti nei mercati dei servizi di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda larga e di ostacolare il processo di erosione delle quote di mercato dell’incumbent nel contesto del processo di liberalizzazione in atto, fermo restando che è stata data una valutazione degli abusi accertati come solamente “gravi”, con conseguente determinazione dell’importo base sanzionatorio in una percentuale estremamente esigua del fatturato dei servizi specificamente oggetto degli abusi (percentuale peraltro non esplicitata nel provvedimento per mantenere riservato, come da istanza di parte, il dato relativo al fatturato specifico nel mercato rilevante) e comunque lontanissima dalla soglia massima del 30% parametrata alla durata degli illeciti (e ciò vale anche a rendere non decisiva la censura di erronea individuazione della durata degli abusi contestati).

 

3.5.2. L’Autorità contesta poi la censura della ricorrente secondo cui la stessa avrebbe omesso di riconoscerle una riduzione sanzionatoria a titolo di collaborazione, citando la parte motiva del provvedimento che tiene conto, quale circostanza attenuante, delle attività avviate da Telecom a partire dal 2009 per migliorare le procedure di delivery (tra cui, in particolare, l’istituzione di tavoli tecnici sui servizi di accesso, l’introduzione della procedura di SWAP, l’assunzione degli impegni cd. Open Access), con una forte riduzione (pari a circa un quarto) della sanzione base.

 

Al contrario, non avrebbe potuto giustificare un’ulteriore riduzione dell’importo base la mera presentazione di impegni motivatamente reputati dall’Autorità inidonei a rimuovere il carattere anticoncorrenziale della condotta (cosi Consiglio di Stato, 3 aprile 2009, n. 2092, Tar Lazio, I, 29 dicembre 2007, n. 14157, 18 gennaio 2011, n. 451).

 

3.5.3. Del tutto legittimo, secondo l’Autorità, è l’aumento dell’importo disposto, in relazione al primo abuso, tenendo conto che Telecom ha già violato in diverse occasioni la normativa antitrust in materia di abuso di posizione dominante in relazione a comportamenti sostanzialmente escludenti, consistenti nell’applicazione di condizioni tecniche ed economiche discriminatorie nei confronti dei concorrenti, (provv. n. 17131 del 3 agosto del 2007; provv. n. 13752 del 16 novembre 2004; provv. 9472 del 27 aprile 2001) e, in relazione al secondo abuso, per la circostanza aggravante della recidiva, poiché Telecom è stata più volte condannata per abuso di posizione dominante per comportamenti escludenti, consistenti proprio in pratiche di compressione dei margini, con intento escludente, di condizioni economiche non replicabili e discriminatorie nei confronti dei concorrenti (provv. n. 17131 del 3 agosto del 2007, provv. n. 13752 del 16 novembre 2004; provv. 8481 del 13 luglio 2000; provv. n. 7978 del 28 gennaio 2000).

 

3.5.4. In conclusione, secondo l’Autorità, Telecom impernia la propria difesa sul mero dato numerico assoluto della sanzione, omettendo di dar conto della sua “irrisorietà” in termini percentuali rispetto al fatturato totale dell’impresa nell’anno antecedente la notifica del provvedimento, comunque lontanissima dal limite edittale massimo del 10% ex art. 15 della legge n. 287/90.

 

3.5.5. Infine, quanto all’illegittimità derivata del provvedimento finale per illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni, specificamente impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio r.g. 4406/12, l’Autorità premette che secondo la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza 20 luglio 2011, n. 4393), fra provvedimento sugli impegni e provvedimento finale sussiste non una relazione di necessaria e inscindibile presupposizione, bensì di più generica “connessione”, onde la dimostrata illegittimità del primo può travolgere il secondo solo a seguito di specifica impugnativa che dimostri la ricaduta dei vizi dell’atto presupposto in termini di vizi del provvedimento finale, mentre Telecom, a suo dire, non dimostra affatto quale possa essere la ricaduta dei vizi dell’atto presupposto nel determinare un esito finale illegittimo.

 

Ciò premesso, secondo l’Autorità le singole censure di Telecom avverso il provvedimento di rigetto degli impegni, adottato dall’Autorità il 14 marzo 2012, restano all’interno dell’ampia discrezionalità riconosciuta dalla giurisprudenza salva l’esistenza di decisioni chiaramente arbitrarie, e nella fattispecie in esame l’Autorità ha ampiamente argomentato, anche in premessa al provvedimento, la inidoneità degli impegni proposti da Telecom a rimuovere i profili anticoncorrenziali oggetto di istruttoria. Infatti, l’Autorità non è chiamata ad accertare ex post un illecito riconducendo il fatto ad una delle ipotesi di condotte anticoncorrenziali previste da una norma, bensì a compiere una valutazione economica ex ante di natura prognostica sugli effetti che le misure proposte avranno sul mercato.

 

3.5.6. Ciò vale, anzitutto, afferma l’Autorità, per l’impegno n. 1, consistente nell’implementazione di un servizio end-to-end per l’attivazione (provisioning) dei servizi finali alla clientela, il cui gradimento presso gli operatori partecipanti al market test è risultato pressoché nullo, al punto di ritenere lo stesso foriero di ulteriori peggioramenti concorrenziali.

 

La criticità dei KO che si registrano nelle fasi iniziali del processo di provisioning, dove peraltro si concentrerebbe la maggior parte’dei rifiuti di attivazione ascrivibili alla categoria dei “KO tecnici”, non poteva essere risolta neanche dall’attuazione degli impegni n. 3 e n. 4, consistenti, rispettivamente, nella riclassificazione e aggiornamento delle causali di scarto e nello sviluppo e aggiornamento dei database di toponomastica, non determinanti ai fini dell’eliminazione delle cause dei rifiuti di attivazione, in quanto volti ad incidere su aspetti meramente formali del fenomeno.

 

L’impegno n. 2 prevedeva uno sconto che, come rilevato dall’Autorità, incideva solo su una componente marginale delle voci di costo, costituite anche dai canoni di accesso e dai contributi di attivazione che gli OLO devono sostenere.

 

La ricorrente contesta poi la valutazione di tardività compiuta nel provvedimento di rigetto con riferimento agli impegni di Telecom n. 5, 6, 7 e 8, ma secondo l’Autorità tale valutazione era pienamente giustificata, essendo stati tali impegni presentati solo a conclusione del market test già espletato sui precedenti impegni nn. 1-4 senza costituirne una “modifica accessoria” bensì una vera e propria alternativa fuori termine: infatti, la vigente normativa limita temporalmente la facoltà delle imprese di proporre impegni per evitare condotte opportunistiche e dilatorie da parte di esse, distanziandosi dalla previgente normativa cui la ricorrente si appella. Ad ogni modo, secondo l’Autorità, gli impegni nn. 5-8 erano comunque sostanzialmente inidonei a rimuovere le preoccupazioni concorrenziali oggetto dell’avvio dell’istruttoria, così come si evince dal provvedimento di rigetto in versione integrale riservata come richiesto dalla parte.

 

In particolare, l’impegno n. 5 (miglioramenti della nuova policy di contatto) risultava privo di concreti effetti rilevanti; l’impegno n. 6 (accesso dell’Autorità al database sui prezzi offerti in gara) non aveva alcun impatto diretto sulla condotta di Telecom oggetto del procedimento; l’impegno n. 7 (unificazione dell’attività di delivery) costituiva la terza successiva proposta presentata da Telecom a distanza di quattro mesi dalla conclusione del market test, fermo restando che la prevista individuazione, all’interno di Open Access, di un’unica struttura organizzativa non aggiungeva alcun autonomo ed apprezzabile apporto e risultava altresì inidoneo a causa della sua durata temporanea, destinata a casomai a compromettere la capacità dello stesso operatore di superare prassi anticoncorrenziali in maniera stabile e duratura.

 

4. Telecom Italia SpA con le proprie memorie contesta le sopra illustrate deduzioni dell’Autorità, che, a suo dire, indebitamente integra e in più punti smentisce il provvedimento conclusivo impugnato, in violazione del divieto di motivazione postuma, secondo cui la motivazione deve precedere e non seguire il provvedimento, a tutela oltre che del buon andamento e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario degli stessi principi di parità delle parti e giusto processo (art. 2 c.p.a.) e di pienezza della tutela secondo il diritto Europeo (art. 1 c.p.a.) i quali convergono nella centralità della motivazione quale presidio del diritto costituzionale di difesa (Consiglio di Stato, sentt. 20 agosto 2013, n. 4194; 9 ottobre 2012, n. 5257; 24 novembre 2010, n. 8218). Così nell’infruttuoso tentativo di rendere difendibile il provvedimento, la difesa erariale finirebbe proprio per sottolinearne i principali vizi di illegittimità.

 

4.1. Secondo Telecom, in particolare, quanto al primo abuso la difesa erariale insiste nella tesi di fondo del provvedimento, secondo cui la maggiore numerosità dei KO nei processi esterni, particolarmente se associati a problemi formali, tecnici o gestionali, costituirebbe o rivelerebbe di per sé una forma di discriminazione abusiva rispetto al trattamento riservato da Telecom agli ordinativi delle proprie divisioni commerciali, ma questa tesi non convince poiché la normativa di settore ha imposto l’uso dei KO nei processi esterni con modalità di cooperazione tra gli operatori, reputandola più efficiente di altre prassi lavorative, mentre i processi interni fanno uso anche di meccanismi diversi e meno rigorosamente codificati, inclusa la sospensione degli ordinativi al ricorrere di problemi formali, tecnici e gestionali riducendo solo formalmente il numero dei KO, come segnalato anche dall’AGCOM. Al contrario, un’indagine più accurata avrebbe provato che i processi esterni sono stati più efficienti di quelli interni, assicurando agli OLO maggior successo nell’attivazione dei clienti e tempi complessivamente più rapidi. Dunque, “avendo compreso che i dati sconfessavano le sue accuse, l’AGCM si è rifugiata nell’illogica tesi secondo cui basterebbe la diversa incidenza dei KO a provare l’abuso, a prescindere dai risultati concreti in termini di efficienza complessiva dei processi”.

 

4.2. Le memorie di Telecom articolano poi le precedenti considerazioni con specifico riferimento ai singoli fattori della valutazione:

 

– il contestato ruolo di NWS, che effettivamente svolge gran parte dei controlli formali, tecnici e gestionali da cui originano i KO, poiché in realtà si tratta di controlli comunque necessari, per cui qualcuno deve svolgerli;

 

– la mancata misurazione del tempo, considerato che in media le richieste degli OLO sono state lavorate più rapidamente di quelle interne di Telecom;

 

– l’erronea mancata considerazione delle sospensioni, sul presupposto – errato – che esse garantirebbero agli ordinativi di Telecom “priorità” rispetto a quelli degli OLO;

 

– l’assenza di competizione tra le linee non attive chieste da Telecom e dagli OLO, perché di norma i clienti non attivano due abbonamenti simultaneamente con due operatori per vedere chi arriva primo, ma domandano a un solo operatore l’attivazione di una nuova linea presso il domicilio e la contestata “priorità” non accelera la lavorazione (anche Telecom deve aspettare che la risorsa diventi eventualmente disponibile) né garantisce l’attivazione;

 

– le causali di scarto, in quanto, diversamente dai processi esterni, quelli interni usano liste di causali per i KO non tassative, con terminologie non omogenee, di modo che solo l’analisi delle richieste elementari permetterebbe di verificare se i problemi tecnici o gestionali incidano in misura analoga nei due processi, generando quantità comparabili di rifiuti definitivi di attivazione;

 

– le banche dati e l’asserita complementarietà tra AGCM e AGCOM, con riguardo ai KO per “identificativo centrale errato” e “centrale non aperta al servizio richiesto” per i quali il Provvedimento accusa Telecom anche di aver fornito agli OLO database inefficienti e non aggiornati, accusa peraltro non confermata dagli accertamenti dell’AGCOM che vigila sulla gestione delle banche dati;

 

– il rifiuto di fornitura costruttivo, contestato dal provvedimento nei confronti degli OLO, benché Telecom abbia opposto alle divisioni interne un numero maggiore di rifiuti di attivazione e lavorato più lentamente le loro richieste;

 

– le cause dei KO, per le quali il provvedimento non reca alcuna seria analisi, con una inversione dell’onere probatorio contraria al principio della presunzione di innocenza;

 

– il presunto rallentamento dell’erosione delle quote di mercato, posto che la Società ha assicurato loro risultati migliori nell’attivazione dei clienti, particolarmente quelli a essa sottratti mediante linee attive, e che nel caso di specie, i dati non rivelano alcun rallentamento nelle attivazioni dei clienti finali degli ALO, mentre lo si rinviene per Telecom;

 

4.3. Quanto alla presunta compressione dei margini, Telecom contesta che l’AGCM ha condotto in concreto un test di replicabilità in tutto e per tutto identico a quelli di non discriminazione regolamentari, quantificando i costi di produzione del servizio con metodologie dichiarate analoghe a quelle dell’AGCOM, quindi è oggettivamente incongruo che i calcoli dell’AGCM divergano palesemente dalle indicazioni dell’AGCOM cui Telecom si è attenuta. Ciò può avvenire, afferma Telecom, poiché il provvedimento illegittimamente omette di analizzare tutti i ricavi teoricamente associabili all’offerta ipotizzata ed ipotizza un’offerta irrealistica, limitata a una sola porzione del mercato rilevante e contraria alla prassi di tutti gli operatori. L’erronea quantificazione di prezzi e costi comprende inoltre la sovrastima di decisive voci di costo adoperate per definire la soglia di replicabilità.

 

4.4. In relazione al rigetto degli impegni, Telecom rileva che l’AGCM ha completamente dimenticato il loro ruolo nella valutazione della gravità dell’infrazione e nella commisurazione della sanzione.

 

5. Si sono altresì costituiti in giudizio, ad opponendum, le contro interessate Società Fastweb Spa e Wind Telecomunicazioni Spa, che hanno ulteriormente argomentato le ragioni di infondatezza del ricorso. Sono altresì intervenute in giudizio l’Associazione italiana internet provider e la Società BT Italia Spa. In corso di giudizio è poi sopravvenuta una istanza istruttoria di Fastweb molto articolata, che a giudizio del Collegio non appare comunque essenziale ai fini della decisione del ricorso.

 

6. A giudizio del Collegio, i due ricorsi devono essere, conclusivamente, respinti, in quanto le pur numerose e suggestive censure di Telecom Italia SpA, anche alla luce delle ampie deduzioni dell’intimata Autorità e delle due società contro interessate, si rivelano infondate.

 

6.1. In primo luogo, non sussiste il lamentato contrasto fra le applicate misure di contrasto all’abuso di posizione dominante e il quadro normativo di settore, e quindi fra l’impugnato provvedimento dell’AGCM e le valutazioni di competenza espresse dall’AGCOM. Infatti, le direttive comunitarie di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica (direttiva 2002/21/CE “direttiva quadro” e direttiva 2002/19/CE “direttiva accesso”) e la normativa nazionale di recepimento, contenuta nel d.lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), hanno imposto specifici obblighi in materia di accesso e di uso da parte dei concorrenti di determinate risorse di rete proprio al fine di promuovere la concorrenza e di tutelare gli interessi dei new comers e quindi dei consumatori, ed hanno recepito il principio di non discriminazione fra attività interne ed esterne affinché le imprese aventi potere di mercato, attive anche nei mercati a valle di quello dell’infrastruttura essenziale, non distorcano la concorrenza a detrimento dei terzi.

 

Pertanto, secondo la Commissione Europea, in presenza di condotte volte ad ostacolare o ritardare l’accesso all’infrastruttura essenziale, la probabilità di indebite limitazioni del diritto di effettiva concorrenza è tanto più elevata quanto maggiore è la quota di mercato dell’impresa dominante nel mercato a valle, quanto minori sono i concorrenti nel mercato a valle e quanto maggiore è la sostituibilità tra la produzione dell’impresa dominante e quella dei suoi concorrenti, con la possibilità che la domanda che potrebbe essere soddisfatta dai concorrenti oggetto di preclusione venga indebitamente deviata o mantenuta a vantaggio dell’impresa dominante (Comunicazione della Commissione – Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del Trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto alla esclusione dei concorrenti, in GUCE C45/7 del 24 febbraio 2009, par. 85).

 

Quindi, proprio perché l’infrastruttura di Telecom è indubitabilmente essenziale per consentire agli OLO di fornire i servizi di fonia e di banda larga, la medesima Società è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire l’accesso dei concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, configurandosi in caso contrario un caso paradigmatico di abuso di posizione dominante con effetti escludenti e con un conseguente grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell’accesso all’infrastruttura di rete) in cui l’impresa titolare dell’input essenziale detiene una posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la produzione di TI e quella degli OLO suoi concorrenti è piena.

 

Nella specifica fattispecie in esame, la società Telecom ha una posizione dominante non solo nel mercato a monte dell’accesso alla rete, ma anche nei mercati a valle dove detiene quote superiori al 50%, cui si accompagnano altri indici rivelatori della sussistenza di una posizione dominante, quali la presenza di economie di scala, l’esistenza di un’infrastruttura difficilmente replicabile e la natura verticalmente integrata. Alla medesima società è quindi precluso adottare condotte suscettibili di recare un pregiudizio diretto alla concorrenza, ma anche quelle che generano effetti negativi sul benessere dei consumatori e di pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale all’interno del mercato comune (sentenza del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione, punto 176).

 

6.2. È dunque, evidente che la gestione immotivatamente differenziata, e quindi discriminatoria, della procedura avente ad oggetto le richieste di accesso degli OLO costituisce una palese violazione degli obblighi gravanti sull’impresa in posizione dominante necessari a garantire condizioni di concorrenza effettiva nei mercati collegati a quello dell’infrastruttura di rete. Dall’ampia istruttoria svolta dall’AGCM, dal parere dell’AGCOM e dalle deduzioni in giudizio dell’AGCM e delle società contro interessate emerge infatti che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la sua condotta ha dato luogo a vere e proprie discriminazioni di carattere sostanziale, nella misura in cui ha reso più farraginoso e ostacolato il processo di acquisizione dei clienti da parte degli OLO, con grave pregiudizio per la concorrenza.

 

6.3. Nel provvedimento dell’Autorità, viene quindi ampiamente argomentata la sussistenza di una condotta abusiva che integra gli estremi di un “rifiuto costruttivo”, volto a ritardare e ostacolare la concorrenza nei mercati a valle al dettaglio. A tal fine, costituiscono elementi sintomatici il diverso trattamento formale tra processo di delivery interno ed esterno; il diverso e deteriore grado di soddisfacimento degli ordinativi di lavoro degli OLO rispetto a quello delle divisioni commerciali della Società; la diversa configurazione del processo di delivery che impone solo agli OLO l’intermediazione della struttura NWS, consentendo di contro alle divisioni commerciali di TI di interfacciarsi direttamente; la previsione solo per gli OLO di KO per cause di tipo formale legate all’errata o incompleta compilazione dei vari campi, con perdita della priorità di lavorazione precedentemente acquisita, là dove, invece, le divisioni commerciali della Società possono risolvere eventuali problemi di carattere formale mediante un dialogo interno; la diversa trattazione dei casi di indisponibilità delle risorse di rete, che, là dove riguardino le divisioni commerciali interne, hanno come conseguenza la mera sospensione della richiesta, con conseguente collocazione della stessa in coda d’attesa, mentre quando sono riferiti a richieste degli OLO danno luogo ad un vero e proprio KO, che costringe l’OLO alla ri-sottoposizione della richiesta, anche qui con perdita della priorità di lavorazione precedentemente acquisita; la messa a disposizione degli OLO di banche dati diverse rispetto a quelle utilizzate dalle divisioni interne che contengono dati più aggiornati; l’uso opportunistico delle causali di scarto.

 

6.4. A tale riguardo, le controdeduzioni sopra illustrate della ricorrente non colgono nel segno, poiché, così come evidenziato dall’Autorità e dai contro interessati e così confermato dalla documentazione dagli stessi versata in atti:

 

a) quanto alla procedura di delivery, non è contestabile che l’intermediazione di NWS, che opera come interfaccia per gli OLO, introduce solo per essi fasi di controllo diverse ed ulteriori rispetto a quelle cui sono sottoposti gli ordinativi delle direzioni commerciali di Telecom, aumentando anche la probabilità che agli ordinativi degli OLO vengano opposti rifiuti di attivazione, per cause formali e gestionali. Ciò in quanto tutta la parte iniziale del processo di verifica degli ordinativi degli OLO viene svolta proprio da NWS;

 

b) una ulteriore discriminazione sostanziale deriva dalla differenza tra il processo di provisioning esterno e quello interno in merito alle c.d. verifiche formali degli ordinativi di lavoro. Nella fase iniziale di “acquisizione” dell’ordinativo di lavoro dagli OLO, le richieste degli operatori concorrenti sono infatti sottoposte ad una verifica formale con possibile KO formale che interrompe sul nascere l’iter della richiesta. Grazie a questa diversa procedura, le divisioni interne di Telecom, contrariamente a quanto accade invece per gli OLO, sono poste nella condizione di non ricevere KO “formali”, che arresterebbero il processo di lavorazione costringendole alla ri-emissione di nuovi ordinativi. Non è quindi vero che i tempi di attesa degli OLO sono meno lunghi o almeno pari a quelli che sopportano le divisioni commerciali di Telecom;

 

c) inoltre, risulta dirimente la circostanza che, in assenza delle necessarie risorse di rete per erogare il servizio richiesto, l’ordinativo dell’OLO viene scartato con un KO, mentre l’ordinativo di lavoro delle divisioni interne di Telecom viene semplicemente sospeso in attesa che si renda disponibile la risorsa richiesta. Di conseguenza non si possono equiparare i KO alle sospensioni, al fine di dimostrare che la diversa strutturazione del processo non porterebbe con sé una discriminazione sostanziale idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza, essendo indubitabile la sussistenza di un (non casuale) allungamento dei tempi di lavorazione;

 

d) anche rispetto l’istruttoria, sussiste una sostanziale disparità di trattamento, riconducibile al fatto che mentre le divisioni commerciali di Telecom hanno accesso a database più aggiornati e completi, gli OLO hanno accesso a sottoinsiemi di tali dati, estratti solo periodicamente e con procedure che non garantiscono l’integrità e la correttezza dei dati;

 

e) come evidenziato dall’Autorità, altre scelte di organizzazione e gestione dei processi adottate da Telecom incidono sull’efficienza del processo di provisioning, come per l’attivazione di servizi double play (voce e dati) nelle aree non aperte all’unbundling solo ad esito di un iter complesso nel quale gli ordini di lavorazione dei necessari servizi all’ingrosso (WLR e bitstream) sono trattati sequenzialmente e non in parallelo consentendo a Telecom di emettere un KO per il servizio WLR, in attesa dell’attivazione del bitstream.

 

6.5. Quanto alle richieste di attivazione di servizi wholesale di accesso ULL e WLR a linee non attive e di servizi per la fornitura del servizio al dettaglio di accesso ad internet a banda larga assumono rilievo, ai fini dell’accertamento della condotta posta in essere dall’incumbent, non solo il numero di rifiuti di attivazione, ma anche la verifica della differenziazione nélla numerosità dei KO che vengono opposti, da un lato, alle divisioni interne della stessa Telecom e, dall’altro, ai suoi concorrenti, in misura idonea a rallentare il tasso di acquisizione di nuovi clienti nel tempo, indipendentemente dall’andamento in termini di effettive attivazioni (su cui richiama invece l’attenzione la società ricorrente) che dipende invece da più ampie dinamiche di mercato, comunque incise dalla condotta anticoncorrenziale, ed anzi, osserva il Collegio, la condotta anticoncorrenziale si palesa tanto più utile per l’incumbent quanto più la situazione di crisi rende essenziale operare sulla ripartizione dei contratti esistenti con i consumatori finali, anziché competere per ulteriori quote di mercato.

 

Infatti, in una strategia abusiva l’obiettivo dell’impresa in posizione dominante non è quello di guadagnare di più dall’accesso, ma di contenere l’espansione dei concorrenti mediante condotte che aumentino le proprie chances di conquista del cliente finale, fermo restando che l’eventuale perdita in termini di mancato affitto della rete all’OLO sarà più che compensata dal risultato raggiunto rendendo più difficoltosa la contendibilità del cliente finale da parte dei suoi concorrenti, in termini sia di mancata crescita di questi ultimi, sia di conservazione di un’elevata quota di mercato a livello retail, come osservato dalla copiosa giurisprudenza che ha ravvisato in simili condotte un abuso di posizione dominante (Corte di Giustizia, sentenza 9 novembre 1983, C-322/81, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelini-Commissione; 3 luglio 1991, C-62/86, AKZO-Commissione; sentenza 16 settembre 2008, cause riunite da C-468/06 a C-478/06, Sot.Léloskai Siae-Commissione).

 

6.6. L’Autorità, a dimostrazione dell’accuratezza dell’analisi istruttoria effettuata, evidenzia inoltre che non si è fermata all’analisi degli ordinativi di lavoro, ma ha esteso l’indagine anche al parametro di riferimento delle richieste elementari, confermando le precedenti conclusioni, per il maggior appesantimento del processo per gli OLO a causa dell’emissione di una maggiore percentuale di richieste elementari multiple (ossia che danno luogo a più ordinativi di lavoro), che per l’attivazione di nuove linee di fonia da parte delle divisioni interne di Telecom è dell’8%, a fronte del 18% per gli OLO e così via per i servizi dati, fonia e Bitstream. Dal confronto tra il tasso di insuccesso delle richieste elementari degli OLO e delle divisioni interne di Telecom emerge, in secondo luogo, una differenza significativa a svantaggio degli OLO con riferimento agli insuccessi dovuti a motivazioni di natura tecnica e gestionale.

 

6.7. La condotta riguardante la gestione opportunistica degli scarti acquisisce quindi una oggettiva e dimostrata consistenza nel quadro della complessiva condotta dell’incumbent, svincolata dalla minuziosa ricostruzione della ricorrente volta a parcellizzare la medesima condotta abusiva, come sopra ricostruita, in una molteplicità di iniziative prive di autonoma capacità lesiva della concorrenza.

 

6.8. Quanto alle censure di ordine procedimentale o riferite al mancato accoglimento degli impegni, sembra sufficiente al Collegio rinviare alle sopraindicate considerazioni dell’Autorità e delle controinteressate, che ne dimostrano la non fondatezza.

 

6.9. Appare viceversa necessario soffermarsi sulle sopra riferite censure relative alla pratica di compressione dei margini al fine di ostacolare la pressione competitiva nei mercati ULL, aperti alla concorrenza dei nuovi entranti, che vengono peraltro smentite in primo luogo dalle decisioni della Commissione relative ai mercati delle telecomunicazioni, nelle quali la sussistenza di una condotta di compressione dei margini è stata accertata alla luce della circostanza per cui la differenza tra i prezzi al dettaglio praticati dall’incumbent verticalmente integrato ai consumatori finali ed a quelli all’ingrosso costituisce abuso di posizione dominante quando non è sufficiente a coprire i costi specifici che i concorrenti sostengono per erogare i medesimi servizi nei mercati a valle. In conclusione, l’Autorità, dimostra di aver operato secondo un modus procedendi conforme ai precedenti comunitari e di aver accertato che la politica di sconti attuata per mezzo delle marketing guidelines sopra richiamate, è stata idonea a configurare una compressione dei margini di natura abusiva quantomeno per il periodo 2009-2011. Secondo la ricorrente, infine, l’Autorità avrebbe errato la quantificazione di alcune voci di costo adoperate per definire la soglia di replicabilità, ma al riguardo osserva il Collegio che, per misurare la compressione dei margini tra prezzi e costi determinata dalla politica tariffaria di Telecom, l’Autorità ha proceduto a verificare se la stessa Telecom sarebbe stata in grado di offrire i servizi al dettaglio ai prezzi praticati senza subire perdite sostenendo i costi all’ingrosso che essa pratica ai concorrenti in quanto proprietaria verticalmente integrata degli input essenziali per l’accesso al mercato, utilizzando, correttamente, quale parametro i costi dell’impresa dominante nella massima misura possibile e, laddove disponibili, i costi così come quantificati del regolatore di settore, cioè i dati rinvenibili dalla disciplina di settore, la cui applicabilità viene sostenuta proprio dalla ricorrente.

 

6.10. Infine, quanto alle censure della ricorrente concernenti l’importo delle sanzioni comminate a suo carico dall’Autorità a conclusione dell’accertamento, il Collegio osserva che Telecom contesta anzitutto la sottostante valutazione di gravità degli abusi ad essa imputati, facendo in particolare riferimento alla “novità” delle fattispecie ed al suo comportamento collaborativo anche mediante l’adozione di impegni, quando invece l’abuso escludente per rifiuto “costruttivo” di accesso ad una infrastruttura essenziale costituisce una fattispecie largamente nota alla prassi antitrust sia nazionale che europea, mentre gli impegni proposti sono già stati motivatamente ritenuti non decisivi dall’Autorità, in quanto o genericamente riferiti a comportamenti cui la Società era in realtà già tenuta da prima, o riferiti a profili diversi dai rapporti con i concorrenti ed i consumatori coinvolti dalle condotte censurate.

 

6.11. Le ultime considerazioni sopra svolte valgono altresì ad escludere la fondatezza delle censure riferite al mancato accoglimento degli impegni proposti da Telecom in fase istruttoria, in quanto la loro valutazione negativa da parte dell’Autorità, sulla base delle motivazioni di cui si è sopra dato conto, non appare né irragionevole né discriminatoria, rientrando quindi nel margine di discrezionale apprezzamento che viene rimesso dalla vigente normativa all’Autorità procedente, non apprezzabile nel merito nella presente sede giurisdizionale.

 

6.12. Quanto alle censure di illegittimità riferite all’importo delle sanzioni comminate, il collegio osserva altresì che nel provvedimento impugnato si rende comunque conto, in linea con gli orientamenti sul calcolo delle ammende della Commissione 2006/C 210/02, degli specifici elementi fattuali del caso di specie, che vengono, motivatamente e non irragionevolmente, ritenuti suscettibili di integrare una evidente e ripetuta fattispecie di abuso di natura escludente, di apprezzabile gravità in quanto idoneo a rallentare il processo di crescita delle quote dei concorrenti nei mercati dei servizi di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda larga e, quindi, capace di ostacolare indebitamente la contendibilità delle quote di mercato dell’incumbent, in un contesto normativo europeo e nazionale di liberalizzazione che, al contrario, impone di garantire una dinamica evolutiva aperta all’introduzione di nuovi operatori e di nuovi servizi ai consumatori in condizioni di piena concorrenza. Anche l’importo della complessiva sanzione pecuniaria comminata per i due comportamenti anticoncorrenziali accertati risulta quindi ragionevolmente commisurato alla fattispecie considerata.

 

7. Conclusivamente, i due ricorsi devono essere respinti. Sussistono tuttavia motivate ragioni, in considerazione della complessità della fattispecie, per compensare le spese di giudizio fra le parti.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui due ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge.

 

Spese compensate.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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