Storia della figura del Giudice di Pace

DIARIO DI UN GIUDICE DI PACE

L’elogio dell’istituto

I giuristi gli avvocati, soprattutto i magistrati, hanno il compito di ricostruire la realtà passata.

Mi è capitato durante l’esercizio della mia professione , sentire qualche giudice ammonire la persona che reclamava dinanzi a lui i suoi diritti, che non avrebbe vinto la causa se aveva o meno ragione, ma se il processo avesse dato un risultato istruttorio coincidente con quello espresso da lui che chiedeva giustizia.

Quindi i giuristi devono dare una rappresentazione dei fatti tra l’altro ormai passati similmente o ancor più di quanto fanno i fotografi, i pittori, gli scultori, i musicisti (i quali tutti si rifanno ad un modello, spesso più vicino alla rappresentazione di quanto non sia quello dei giuristi).

I giuristi si possono quindi grosso modo considerare anche loro degli artisti, chiamati a rappresentare una realtà per loro sempre trascorsa.

E il diritto in tal caso diventa in qualche modo un’arte.

Mi sono spesso chiesto se fosse un’arte giusta o sbagliata.

Forse il quesito è ozioso od addirittura impossibile, perché il giusto in arte equivale al bello e l’errore, equivale al brutto. Ma una tale scelta la danno i critici i cui giudizi, poi a distanza i anni possono rivelarsi sbagliati. O comunque da aggiornare.. Tutta l’arte moderna o postmoderna (e anche quella passata) è stata giudicata in maniera differente tra tempo e tempo. Quindi?

La risposta che mi pare possibile è quella che si poggia sull’evoluzione dei giudizi, non sulle opere. Cambia il tempo, cambia il gusto, cambiano i canoni estetici e razionali, mentre non cambia l’oggetto del giudizio.

Questa è la regola. Poi esistono le eccezioni, e la principale è quella della distorsione voluta, dei fatti e delle norme giuridiche da applicare al caso specifico.

I principali protagonisti di questa opera di distorsione,quando si tratta di giurisprudenza, sono senza dubbio gli avvocati, perché il loro codice deontologico consente questa operazione, giacché il protagonista, colui che va sempre assistito, è l’utente che appunto si affida ad un avvocato, il quale è tenuto a rispettare un tipo di condotta, che non include di certo quella di raccontare ai giudici tutta la verità e di indicare le norme applicabili al caso.

Molte volte è proprio il conflitto tra avvocati e giudici, ad apparire più evidente, perché in questo campo i media televisivi e giornalistici arrivano ad un vasto pubblico, e appare naturale, mente naturale non lo è, ma dovuto al fatto che le due categorie si fanno in partenza l’idea che ognuno ha il suo modo di rappresentare la realtà.

Non posso dire quale categoria abbia ragione, ma quel che è certo che il dissidio nasce da questa ragione.

E’ per questo forse, che ad un certo punto della mia carriera di avvocato, ho deciso di volere fare l’esperienza di Giudice di Pace, sperando, un po’ ingenuamente forse, che chi non avesse l’abitudine innata o indotta dall’esperienza, come i magistrati di carriera, all’esasperata opera di rappresentazione, potesse esserne immune.

E scelsi di svolgere tale attività nell’Ufficio di Giudice di Pace della città di Venezia. Questo non solo perché sono nativo di quella città, ma anche per il suo sistema giudiziario altamente organizzato sin dai tempi della Serenissima. Insomma un’altra gloria di Venezia tra le tante.

Tutto il mondo, (“Wikipedia: L’enciclopedia libera”) ha ammirato per secoli l’amministrazione della Giustizia nella Repubblica di Venezia tanto da meritarle il titolo di “Serenissima” proprio per la maniera equilibrata di fare giustizia. Essa si basava su un ridotto ruolo degli avvocati, su giudici non di carriera (aristocratici nominati per uno o due anni anche nelle alte gerarchie), e soprattutto per il modo di applicare le leggi al singolo caso concreto, che teneva conto delle decisioni precedenti (Giurisprudenza), e soprattutto mirava a realizzare la giustizia sostanziale, anche negando l’applicabilità di certe leggi, se queste ledevano principi superiori di Giustizia, ossia la verità, la buona fede, e l’equilibrio naturale delle cose.

Solo i Giudici di appello erano togati (Tribunale delle Quarantine” (Giudici auditori, Collegio dei venti savi, Collegio dei quindici).

I giudici di prima istanza e quindi quelli chiamati ad applicare la legge non troppo formalmente, come si è visto si distinguevano in:

I cinque della Pace

I consoli dei mercanti

Le Corti di Palazzo suddivisi nei giudici al Forestier, Giudici dell’esaminador, i Giudici del mobile, i Giudice del proprio, i Giudici del procurator, i Giudici di Petizion, i Deputati alla liberazione dei banditi

Gli esecutori contro la bestemmia

Vi erano anche i Giudici addetti alle esecuzioni (Gastaldi)

E questa pluralità di magistrati onorari e togati oltre che a Venezia avevano loro colleghi che esercitavano Giustizia nei territori di terraferma o in quelli “da mar” della Repubblica del Leone).

Malgrado questo alto grado di organizzazione giudiziaria di Venezia, fu in altri territori che sarebbero divenuti poi regioni del Regno d’Italia, che si sentì il bisogno di istituire un Giudice onorario, e che prese sempre il nome di Giudice conciliatore.
E fu precisamente la Sicilia“
Prima della Istituzione del Giudice di Pace nel nostro Paese (1991), le cause la cui competenza è stata loro assegnata venivano prevalentemente trattate da un altro Giudice onorario , il Giudice Conciliatore.
Perché il motivo di questo cambiamento? E’ un cambiamento puramente nominale, oppure sostanziale. Vediamolo.

Con il Dispaccio Tanucci incorporato nella legge organica dell’Ordinamento Giudiziario delle due Sicilie dell’epoca, 29 maggio 1817, avviene l’introduzione della figura del Giudice conciliatore., figura che, sembra quasi incredibile, sostituì il Giudice di Pace, di derivazione francese, già quindi allora esistente. Fu istituito da Giuseppe Napoleone nel 1808 nel solo Regno delle Due Sicilie.
Il Giudice conciliatore istituto nel Regno delle Due Sicilie venne poi trapiantato nello Stato unitario italiano, se non andiamo errati con legge 16 giugno 1892, sempre per le liti minori ed ebbe un forte successo,:Si ritiene, nei primi tempi della sua adozione probabilmente perché il Paese, dapprima solo il Sud, e poi tutto il territorio dello Stato unitario si trovava in una fase paleoindustriale, nella quale la litigiosità era prevalente, nelle località ed in una economia agricola, ed in materia di locazioni visto che il fenomeno della casa di proprietà ha preso piede, in termini quantitativi, solo dopo la seconda guerra mondiale e che di conseguenza l’attitudine del Giudice conciliatore era più quella di conciliare le liti e prevaleva su quella decisoria.

Interessante notare, che proprio per quanto sopra detto relativamente al quadro sociale ed economico, nel quale il Giudice conciliatore si trova ad operare, aveva competenza soprattutto in materia di locazioni d’immobili e di sfratto, e inoltre per le azioni relative ai guasti e danni dati ai fondi urbani e rustici, alle siepi, piante o frutti.

Ma l’uso di adire il Giudice conciliatore, proprio per le ragioni che si sono dette, andò via via scemando per il passaggio all’economia industriale e capitalistica, nel corso della quale gli interessi in giuoco era di ben maggiore consistenza, e occorreva molto più la conoscenza della legge, la giurisprudenza e magistrati ben preparati e quindi togati anziché onorari.

Anche il numero degli avvocati cominciò ad aumentare , la litigiosità divenne quantitativamente e qualitativamente crescente mentre l’istituto del Conciliatore cominciò a perdere gradualmente d’importanza. A tal proposito una ulteriore ragione di questo declino deriva dal tipo di persona chiamata per legge a svolgere la funzione di Giudice conciliatore.

Senza elencare tutti i requisiti, va osservato che tra le varie possibilità di eleggibilità ve ne erano tre che stridono assai con l’attuale società.
E precisamente erano Giudici di Pace:
1) Gli elettori amministrativi che pagano annualmente cento lire d’imposta, norma che discriminava i cittadini per censo e sesso, giacchè solo gli uomini allora avevano diritto di essere eletti.
2) Gli ex sindaci, consiglieri provinciali in carica o e gli ex membri della Giunta amministrativa, gli ex ufficiali e gli i ex impiegati civili.
Ben si comprende, alla luce di ciò, come la giustizia minore e per quanto si è detto quasi tutta la giustizia (si calcola che oltre l’80% del contenzioso del Paese fosse trattato dai Giudici conciliatori nel 1800 e primi del 1900), fosse in mano a personale privo di cultura giuridica, non di derivazione popolare, ma di ceto ricco, con esclusione delle donne, e con una chiamata degli amministratori comunali e provinciali, del luogo che esercivano, più della Giustizia, funzioni amministrative sottoposte ad un controllo gerarchico.
Il ricorso al Giudice conciliatore alla fine del secolo 800 e anche all’inizio del 1900 andò così costantemente aumentando. Secondo statistiche autorevoli (Taruffi ed altri, La Giustizia Civile in Italia Il Mulino pag. 158) nel 1880 i conciliatori trattano 1.075.246 controversie, mentre nel 1886 salgono a 1.481.876 (il 72,5 per cento dell’intero contenzioso civile).
Senonchè a questo punto avviene il fenomeno già anticipato più sopra, e cioè l’inizio della industrializzazione della economia nazionale.
Avviene che le cause promosse davantini Giudici togati , aumentano e i magistrati di carriera (circa 2000) non ce la fanno a smaltire il relativo contenzioso.
Secondo una statistica del 1989 pendevano davanti alle Preture 790.027 cause, davanti ai Tribunali 1.108.774,davanti alle Corti di Appello 89.342, in Cassazione 39.925, presso i Giudici conciliatori solo 97.449.
Questi numeri derivano, come si è detto da due ragioni fondamentali. E cioè l’aumento impressionante delle cause di medio o elevato contenuto economico, nonché l’insufficienza dei magistrati togati competenti a trattarle.
Questa tendenza si trascina da quasi mezzo secolo aggravandosi sempre più perché nessuna delle due ragioni indicate, viene risolta, che anzi si aggrava per gli elevati costi della Giustizia dovuta alla aggiunta del più numeroso personale di cancelleria e comunque ausiliario, dal maggiore numero degli avvocati, dall’allargamento delle liti in particolare di quelle della Giustizia del Lavoro (precedentemente amministrata quasi privatamente dai probiviri).
Si assiste così ad un fenomeno molto diverso, da quello che aveva portato alla istituzione del Giudice conciliatore all’inizio del 1800, e cioè regolamentare la litigiosità minore, che era per l’economia vigente, l’unica o quasi da risolvere da parte del legislatore).
La istituzione del Giudice di Pace da cui si parla da quasi un secolo, ma che diventa legge solo dal 1991, avviene per ben altra ragione e cioè perché rispetto al passato la litigiosità è aumentata sia qualitativamente che quantitativamente, ve ne è troppa, troppe cause, troppi pochi giudici, forse troppi avvocati e un aumento pauroso della litigiosità di grandi dimensioni.
Queste le ragioni della odierna Crisi della Giustizia, e cioè la necessità di disingolfare l Giudici togati dal loro carico di lavoro.

Forse lo sviluppo dell’Istituto del Giudice di Pace, che in realtà sta diventando quello che era prima il Pretore (ora soppresso) farà la stessa fine. E cioè soccomberà di fronte al sopravvenire di un numero sempre maggiore di cause, devolute alla sua competenza, con costi ben minori per lo Stato per il trattamento economico e giuridico della loro figura..

Con la istituzione del Giudice di Pace così come è oggi configurato, non si è raggiunto lo obiettivo designato dall’art 102 della nostra Carta Costituzionale. In tale articolo sono previste due norme attraverso le quali la Giustizia può essere amministrata da sola o con il concorso di persone estranee all’ordinamento giudiziario.

E cioè o con la partecipazioni nelle sezioni specializzate  di organi giurisdizionali di cittadini idonei ma estranei alla magistratura, oppure con la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della Giustizia.

Malgrado queste affermazioni della Carta Costituzionale, non vi è stata dopo la legge fascista sull’Ordinamento Giudiziario del 1941 (legge Grandi) nessuna nuova legge organica sull’Ordinamento Giudiziario.

In virtù della disposizione Vll della Costituzione “fino a quando non sia emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione,continuano ad osservarsi le norme dell’ordinamento vigente”

Vero è che nel lungo periodo di tempo che ci divide dal varo dell’attuale Costituzione della Repubblica ad oggi, vi sono state molte e importanti interventi legislativi in materia di ordinamento giudiziario, tra le quali forse le più importanti sono state la istituzione pur tardiva del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché la modifica del processo del lavoro.

Per quanto riguarda invece la c.d. Giustizia minore, è stato autorevolmente osservato che la crisi della figura del Conciliatore è dovuta da un lato e dall’altro gli alti costi del processo,creando un’ampia zona di fatto esclusa dall’ambito di applicazione della tutela giurisdizionale, Qui gli strumenti processuali sono del tutto inoperanti, ed allora il problema non è di adeguare, ma i creare forme di tutela idonee a realizzare una Giustizia minore.

Eccoci dunque al punto.
A distanza di oltre un secolo da quando è stato istituito il Giudice di conciliatore, della cui crisi si è all’inizio parlato, il legislatore attuale, sotto l’usbergo della nuova Carta Costituzionale e delle modifiche apportate all’Ordinamento giudiziario, istituisce con legge del 21 novembre 1991 la figura del Giudice di Pace, e con essa sopprime espressamente il Giudice Conciliatore.

Sembrerebbe a prima vista una contraddizione, che forse poteva essere evitata con la conservazione del Giudice conciliatore, che era pur sempre un giudice onorario.

Le ragioni di questa scelta sono però evidenti sol che si guardi alle disposizioni costituzionali in materia di ordinamento giudiziario e cioè quel principio mai introdotto prima né dallo Statuto Albertino, né dalle successive tre leggi sull’ordinamento giudiziario (la 2626 del 1865, a 2786 del 1923, la 12 del 30.1.41). Ed il principio è quello della partecipazione del popolo all’amministrazione della Giustizia, sia con la collaborazione con i giudici togati sia direttamente .

E inoltre sol che si guardi agli enormi mutamenti economico-sociali intervenuti in questo lunghissimo lasso di tempo in Italia e ovunque.

Se il Giudice conciliatore doveva assolvere all’amministrazione della giustizia minore era dovuto al fatto, sopra ricordato., e cioè perché era chiamato ad operare in una società prevalentemente agricola e preindustriale, nella quale la litigiosità minore era molto diffusa, mentre quella maggiore era limitata ai soli rappresentanti di una borghesia di scarso entità.
Il ruolo svolto dal Giudice conciliatore era dunque molto utile ed è stato egregiamente assolto dallo Stato unitario, diciamo sino alla a fine del secolo 800 e anche oltre .

Oggi il quadro economico. sociale è completamente modificato, perché da un lato siamo in piena epoca industriale (o postindustriale), dall’altro perché uno dei soggetti più importanti del contenzioso riguarda lo Stato e i suoi vari organi.

Si ha tutta l’impressione quindi che la direttiva auspicata dalla Costituzione ”della partecipazione diretta del popolo all’Amministrazione della Giustizia”, sia dovuta alla prefigurazione di compiti giurisdizionali ben diversi di quelli del Giudice Conciliatore, per i quali potevano essere utilizzate persone che non avessero meno di 25 anni, dotate di una certa cultura,ma anche estranei ad una cultura troppo giuridica.

E’ evidente l’intenzione del legislatore di chiamare i Giudici di Pace a essere molto colti in diritto e siano in grado di esercitare la loro funzione con la stessa maniera di applicare la legge come i giudici togati, stanno sostituendo più specificatamente Giudici carriera, quali erano i Pretori, che nel frattempo sono stati soppressi e così si adattano a ragionare in maniera sempre più sottilmente giuridica, con un rito sempre più formale e meno sommario, come era invece auspicabile., secondo la lettera e lo spirito della Costituzione.

L’istituzione del Giudice di Pace è, divenuta così il luogo dove affluiscono avvocati in età avanzata e comunque esperti di diritto, privi spesso di quella linfa innovativa che ci si aspettava dai Giudici di Pace in quanto chiamati al loro compito, quindi persone colte e di buon senso estratte “ex populo”.

La formula con cui viene emessa una loro sentenza “in nome del popolo italiano” è sempre quella., ma non corrisponde affatto a quei principi di equità e di giustizia sostanziale che ci si aspettava da essi . Perché altrimenti non lasciare vivo l’Istituto del Giudice conciliatore, modificandola un po’ secondo le opportunità storiche?

La legge che li concerneva, poteva essere un punto di partenza facilissimo, a meno che non si volesse innovare profondamente l’Ordinamento Giudiziario, cosa che viceversa non è ancora avvenuto in Italia.

Molti esperti di diritto (siano avvocati o meno) hanno effettuato in questi ultimi anni la scelta di divenire Giudici di Pace. Non per l’amore per le cause “povere” ma per la coscienza che alcune competenze, come quelle relative alle cause di condominio, o di circolazione stradale, o quelle relative a sanzioni amministrative, andavano risolte da un nuovo Giudice che le potesse gestire, alleggerendo il carico dei giudici togati.

L’esperienza ha dato ,almeno a me che ho svolto questo ruolo appena istituito, quando il Giudice di Pace era scelta tra persone in qualche modo scevre e vergini e alle “seduzioni” del diritto” perché “messe per la prima volta di fronte al compito di giudicare, il che è ben diverso da quello di patrocinare. Vorrei confessare a questo punto, che vi è una naturale tendenza degli avvocati chiamati a svolgere il ruolo di giudici di pace (tra i quali metto anche me) a subire una forza d’inerzia che li sospinge a mantenere il proprio ruolo abituale, quello del “favor rei” che li spinge a prendere la parte inconsapevolmente del cittadino (confondendo così la sua figura da quella del difensore civico). E questo specialmente nei casi in cui il soggetto sia contravvenzionato, o compia atti di danneggiamento in stato d’ira, o prenda la bicicletta per usarla solo momentaneamente, o semplicemente perché versa in cattive condizioni economiche.

Ciò nonostante l’istituzione del Giudice di Pace è stato ed è un bene per il nostro Ordinamento Giudiziario.

Proprio per la ragione anche dei suoi difetti.
Già nel diritto processuale romano esistevano due figure di magistrati, una delle quali era il Praetor honorarius, che è un po’ l’antenato dell’ odierno Giudice di Pace.

Al di la di quel bisogno di amministrazione della Giustizia ordinaria,, che forse c’era anche allora come oggi,, gli antichi giuristi romani avevano avvertito il bisogno di avvicinare io popolo e la Giustizia, per evitare troppe incrostazioni corporative nella magistratura ordinaria.

Se riguarda ai tempi nostri e alla situazione italiana in particolare, non si può evitare di notare che entrambe queste esigenze antiche, si ripropongono oggi ed anche in maniera grave.

Almeno da sessanta anni in questo Paese non vi è inaugurazione di anno giudiziario senza angosciosi lamenti intorno ai numeri dell’arretrato del contenzioso, sia civile che penale. Questa la diagnosi, ma non segue mai la terapia. E quanta critica si alza non tanto dai politici, ma anche dai giornali e dalla televisione sulla mala Giustizia che per lo più manderebbe liberi i colpevoli.

Vi è un poi un altro aspetto critico di cui si parla meno, ma che non è meno importante. E’ quello procedurale.

La nostra legislazione e la nostra giurisprudenza hanno la caratteristica del diritto scritto, di derivazione napoleonica, a differenza dei sistemi anglosassoni dove prevale il diritto orale che non vincola come da noi il Giudice di grado inferiore alla giurisprudenza della Suprema Corte.

Occorre quindi una instancabile opera di interpretazione alla luce della Giurisprudenza della suprema Corte (la Cassazione), perché non è la legge che comanda ,ma la giurisprudenza della suprema Corte. E’ vero che il Giudice di grado inferiore (di merito) non è obbligato a seguire la Giurisprudenza della Corte di Cassazione, Però alla resa dei conti lo deve fare , altrimenti il suo giudizio sarà impugnabile dinanzi alla Corte di Cassazione

Questo per i giudici di merito, costituisce sia una garanzia, ma anche un catenaccio, che determina spesso errori da parte degli avvocati, e dei giudici stessi, e prolunga a tempi infiniti i processi.

Si è dunque pensato saggiamente, quanto l’opinione pubblica da tempo avvertiva e cioè che per le cause , al momento di non grande valore economico, si provasse a mutare il sistema giuridico-processuale , in un processo più libero , meno legato a questa specie di circuito.
Inoltre ,proprio per questa figura nuova, più snella e meno vincolata dal sistema or ora descritto, si è sperato e anche in parte ottenuto che le sentenze del Giudice di Pace fossero un po’ innovative sia nei contenuti, sia nelle modalità del processo che concludono. Meno legate in particolare ai precedenti di Corti superiori. In particolare della Cassazione.

Giacchè, come si è detto più sopra le massime della Cassazione non vincolano nemmeno i Giudici di merito,di fatto ciò avviene per una ragione di superiorità gerarchica, si è intravista la possibilità che il Giudice di Pace, “sfondasse” in questo campo, giudicando sostanzialmente e in qualche caso anche formalmente, secondo equità libero almeno parzialmente dai lacci della giurisprudenza della Suprema Corte.

Operazione pienamente legittima, che è stata persino codificata in alcuni campi del diritto come in materia di controversie di lavoro.

Lo scopo in entrambi i casi è quello di concludere un processo in tempi brevi e limitando la facoltà di eccezioni d’ufficio e di parte, che tanto prolungano i processi dinanzi ai Giudici togati ordinari…

Facciamo un esempio
Questa facolta da parte del Giudice di Pace di agire senza lacci e laccioli, e che sostanzialmente capovolge la piramide classica della Giurisdizione in capo alla quale vi è la dottrina della Cassazione, è stata utilizzata i con effetti oltremodo positivi per l’utente, in materia di diritto bancario laddove da sempre, malgrado vi sia una regola codificata nel codice civile, quella del divieto di anatocismo. Il codice civile infatti afferma che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

Questa norma del codice civile, si applica a tutti , e in particolare agli usurai che com’è notano arrivano per l’effetto perverso di questo sistema, chiamato anatocismo, a introitare o a pretendere, spesso con violenza, il versamento di interessi in eterno dal debitore disgraziato che si mette nelle loro mani. Orbene le banche secondo la prassi e contro la legge, hanno sempre fatto ricorso all’anatocismo addirittura trimestrale , gonfiando il pacchetto del loro credito a molti malcapitati correntisti che si trovavano sempre o spesso in posizione debitoria con la banca

I Giudici togati di merito e la Cassazione hanno sempre lasciato che questa prassi perversa rimanesse valida , solo per le banche,facendo cioè una eccezione per loro, che venivano così favorite, probabilmente a ragione della stretta connessione tra i” poteri forti “dello Stato.

Non valeva promuovere azioni giudiziarie alla banche per ottenere dalla Magistratura una sentenza che condannasse la banca a restituire questi interessi illegittimi, che qualche volta raggiungevano la soglia dell’usura. Ci si scontrava con la Giurisprudenza della Cassazione che accordava questo privilegio alle Banche, con argomenti molto poco plausibili.

Naturalmente i Giudici di merito , davano a priori torto ai debitori, per rispetto all’opinione della Cassazione
C’è voluto il coraggio dei Giudici di pace per invertire questa tendenza per la facoltà, quella di andare contro la giurisprudenza della Cassazione ,comune anche ai giudici togati,e da loro utilizzata, perché il sistema giurisdizionale è stato , come già si è detto più sopra,sempre improntato ad una piramide con al vertice la Cassazione.,mentre il giudice di pace che è dotato di minor cultura giuridica , ma più di buon senso, o se vogliamo di senso della giustizia sostanziale, a operare una breccia nel sistema, giudicando in favore dei debitori di banche. E l’effetto è stato che in siffatta maniera la Giustizia in questo tipo di cause non è scesa per li rami, dalla Cassazione in giù, bensì dalle basi in su.

Un altro esempio di questa peculiarità del modo di giudicare del Giudice di Pace, è quello delle cosiddette accise e dell’IVA, cosi come vengono conteggiate nelle bollette del gas , dell’energia elettrica , dei telefoni .
nel prezzo del carburante.

Le società eroganti questi servizi usano il sistema di conteggiare il prezzo dell’erogazione, di aggiungervi l’accisa che è una imposta indiretta (sui consumi) e successivamente di sommare questi importi ed applicare e l’IVA sul totale, accisa compresa. L’utente si vede così applicare l’IVA anche sull’accisa, cioè un’imposta sull’altra, cosa che è parsa del tutto illegittima ad alcuni Giudici di pace.

A questo proposito va fatto presente e ricordato che se è vero che uno dei principi basilari su cui si fonda il nostro diritto, come quello di tutti i paesi del mondo occidentale, è quello secondo il quale tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, è lecito.,la nostra Costituzione all’art 23 dispone che “ Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Con ciò viene chiaramente escluso il principio della doppia tassazione, perché le norme sull’accisa, né quelle che concerne l’IVA prevedono la doppia tassazione.

E’ un principio elementare che salta subito agli occhi , ma che non veniva applicato dai Giudici togati, i quali lasciavano correre, perché avevano quale punto di riferimento nell’applicazione della legge, il principio “sine lege sine culpa”, sia perché mettevano ‘ in disparte l’interesse del cittadino. di fronte all’interpretazione della legge, in ossequio al principio gerarchico di cui si è detto..

Un altro esempio illuminante che riguarda in maniera un po’ diversa il problema tra il modo di giudicare della magistratura togata da quello onoraria (Giudice di Pace).

Appunto perchè onoraria,la funzione del Giudice di Pace veniva e viene compensata in misura irrisoria.

Recitava l’art 11. della legge istitutiva del Giudice di Pace quella istitutiva del 1991,che il compenso previsto per questa categoria di magistrati è una specie di cottimo e precisamente che”al magistrato onorario che esercita le funzioni di Giudice di Pace è corrisposta una indennità di lire quarantamila per ogni giorno di udienza per non più di dieci udienze al mese e di L. 50.000 per ogni sentenza che definisce il processo ovvero per ogni verbale di conciliazione.

Questo era detto nella legge istitutiva del 1991,che poi è stata modificata.,con qualche ritocco insignificante. Nel 1997, in pieno vigore di questa normativa, un avvocato che vedeva sotto i suoi occhi tutti i giorni la crisi della giustizia a cui interessava collaborare alla soluzione della crisi stessa, chiese la nomina a Giudica di Pace , e risiedendo nella Regione Lazio, fu costretto dalla legge a scegliere un’altra regione,per il divieto di esercitare la professione forense nella stessa regione dove si era nominati giudici di pace, o per evitare evidenti possibilità di conflitto di interessi.

L’avvocato, divenuto Giudice di Pace , doveva svolgere per disposizione del Giudice Coordinatore dell’Ufficio almeno.un turno settimanale di udienza.

Sin dall’inizio chiese alla Cancelleria. del locale Tribunale di ottenere la possibilità di essere esentato dalle spese di viaggio , o almeno rimborsato.

Dopo qualche settimana di attesa, gli fu risposto che la spese di quei viaggi, al pari delle spese di quelle dell’alloggio e vitto,rimanevano a carico sua, in quanto l’indennità di missione era prevista solo per i Giudici ( e in genere per i funzionari statali ) che dovevano compiere viaggi in località diverse dall’Ufficio e lontane da questo.

Non soddisfatto di questa risposta, l’avvocato giudice di pace propose causa, con procedura d’urgenza per ottenere il diritto al detto rimborso, anche se non previsto dalla legge, ma nemmeno escluso. E si rivolse al Giudice togato del lavoro, esponendo che il viaggio era per lui obbligatorio pena la decadenza dall’incarico,né poteva chiedere il trasferimento a Roma perché vietato dalla legge, come si è visto più sopra., in quanto ivi esercitava la professione forense da anni.

Il Giudice togato rigettò la domanda motivando così:
“La scelta di svolgere la funzione di Giudice di Pace in un’altra Regione d’Italia era stata una libera scelta dell’avvocato, perchè egli avrebbe potuto scegliere di cambiare residenza, e infine perchè le spese di viaggio sostenute si configuravano connesse non già allo svolgimento della sua funzione di Giudice Pace, essendosi egli espressamente rifiutato di fissare la propria residenza a Venezia per l’esercizio della professione Forense.) D’altronde – aggiungeva il Giudice togato la legge nulla prevedeva in tema di rimborso delle spese di viaggio” Non potrà sfuggire all’attenzione del lettore che trattasi di motivazione illogica e antigiuridica, ma proprio dovuta alla mentalità rigida di un magistrato togato che dimostra la rigidità propria di un certo modo di ragionare, poco logico e senza alcun buon senso.

Il Giudice togato ha rigettato una domanda che si basava sul principio, cui accennavamo più sopra e cioè “ubi lex voluti dixit” che non vige nel nostro sistema, potendosi applicare sempre il principio dell’analogia e comunque della Giustizia sostanziale, se ben motivata.

Questo è un altro esempio del modo diverso di amministrare Giustizia secondo il Giudice togato e quello onorario.

                                                                                              Avv. Luciano Ascoli

                                                                                  Giudice di Pace nell’Ufficio di Venezia

 

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