Indennizzo diretto

La normativa di cui al D.L.vo 7 settembre 2005 n.209 (Codice delle assicurazioni private) è stata sottoposta, da parte degli operatori del diritto, ad interpretazioni diverse e contrastanti.
Premesso che la procedura di risarcimento diretto:
– opera unicamente in caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria (art 149 comma 1), cosicché la procedura in esame non si applica nei casi di sinistri multipli, ossia laddove il sinistro veda coinvolti più di due veicoli;
– riguarda solo i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente e, nel caso di lesioni, si applica solo al danno alle persone subito dal conducente non responsabile, posto che questo danno rientri tra lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139;
– costituisce una vera e propria deroga alla disciplina “ordinaria” di cui all’art. 144 CdA.
Questa procedura, in uno a quella di cui all’art. 141 (risarcimento del terzo trasportato), è stata tacciata di palese incostituzionalità. Infatti, questi articoli, oltre che per eccesso di delega ex art. 76 della Costituzione, violerebbero l’art. 3 (uguaglianza avanti la legge) e 24 (diritto di difesa), nonché il mancato rispetto della Direttiva Comunitaria 2005/14/CE, la quale all’articolo 4 quinquies ha previsto che: gli Stati membri provvedono affinché le persone lese a seguito di un sinistro, causato da un veicolo assicurato ai sensi dell’articolo 3 paragrafo 1 della Direttiva 72/1066/CE, possono avvalersi di un diritto di azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro la responsabilità civile la persona responsabile del sinistro.
Alcuni Giudici di Pace avevano, pertanto, sottoposto al vaglio della Consulta dette norme.
La Corte Costituzionale con ordinanza n. 205 del 13 giugno 2008 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai GdP di Pavullo e Montepulciano. Non ha, dunque, ritenuto infondate le questioni sollevate. Ma, si è limitata a dettare il criterio di quell’interpretazione costituzionalmente orientata alla quale il giudice di merito si deve attenere. Infatti, sebbene la predetta ordinanza possa ad un primo esame apparire evasiva o elusiva, essa riafferma un principio pacifico nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui nel dichiarare l’inammissibilità di una questione sollevata, ove venga prospettato un dubbio interpretativo, si deve dare un’interpretazione adeguatrice della norma.
Si deve, dunque, rilevare come il giudice delle leggi, nel dichiarare inammissibile la questione sollevata ha pronunciato, come spesso accade, un’ordinanza di inammissibilità che va inquadrata fra quelle interpretative. Perciò, l’affermazione della Corte costituzionale nell’ordinanza in esame, non può affatto essere ritenuta neutra, e costituisce un autorevole precedente anche se di livello inferiore ad una sentenza interpretativa di rigetto. La predetta ordinanza, con l’invitare i Giudici a seguire una interpretazione costituzionalmente orientata, quale è quella prospettata dalla stessa Corte, ha finito con il vincolare gli stessi a detta esegési. Secondo la Corte, le norme di cui agli articoli 149 e 141, vanno dunque interpretate nel senso che, esse si limitano a rafforzare la posizione del danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia di assicurazione o nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo su cui era trasportato, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso”.
La Corte ha, difatti, suggerito l’interpretazione costituzionalmente orientata in riferimento all’impugnazione delle norme fatte dai giudici remittenti nella parte in cui “escluderebbero che il medesimo trasportato possa agire nei confronti del vero responsabile del danno, così come previsto dal sistema degli artt.1917, 2043 e 2054 del codice civile”.
Pare, dunque, che il principio ermeneutico da seguire sia il rafforzamento della posizione del trasportato, (o del danneggiato in senso lato) che, dev’essere considerato soggetto debole. Le norme impugnate sono, dunque, da interpretarsi nel senso che le stesse debbono limitarsi a rafforzare la posizione del danneggiato.
E’ del tutto evidente, che ogni altra interpretazione della normativa di cui agli articoli 141 e 149 nel senso che tali norme, anziché limitarsi ad aggiungere nuove e semplificate azioni al danneggiato, lo avrebbero privato della generale azione diretta prevista in sede comunitaria come livello di tutela minimale, non pare abbia incontrato il favore della Corte.
Tale autorevole interpretazione, estensibile ovviamente anche alla normativa del 149, non fa che confermare l’orientamento sinora maggioritaria della giurisprudenza di merito, che proprio nel senso di quell’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa del D.L.vo 209 del 2005 va ritenendo che, nel sistema del Codice delle assicurazioni, al danneggiato non sia stata affatto tolta la generale azione diretta ex 144 ma, siano state in realtà aggiunte le due speciali azioni ex 141 e 149 ultimo comma.
Pertanto, alla luce dell’ordinanza della Corte Costituzionale, una volta esperita infruttuosamente la procedura stragiudiziale nei confronti della propria compagnia di assicurazione (art. 149) e di quella del vettore (art. 141) – in caso di mancata comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto, ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’articolo 148, o di mancato accordo), il danneggiato PUO’ proporre l’azione giudiziale di cui all’articolo 145, comma 2, NEI SOLI confronti della propria compagnia di assicurazioni o di quella del vettore. Infatti, in applicazione della norma di cui all’art. 12, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale del c.c. che dispone: nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore, l’interpretazione letterale della norma di cui agli articoli 149 e 141 esclude la legittimazione passiva del responsabile civile rispetto alla pretesa creditoria del danneggiato nei confronti della propria compagnia di assicurazione e di quella del vettore.
Il significato letterale del verbo PUO’ di cui all’art. 149, si deve interpretare nel senso che il danneggiato non è obbligato a proporre l’azione giudiziaria nei confronti della propria compagnia d’assicurazione ma, può, in alternativa, (con un’interpretazione costituzionalmente orientata) scegliere, ex articolo 144, di evocare in giudizio la compagnia del responsabile civile e quest’ultimo quale litisconsorte necessario.E, si badi bene, lo può fare anche perché la compagnia d’assicurazione del responsabile civile è stata già messa in mora in quanto l’articolo 149 obbliga di inviare la c.d. messa in mora anche a detta compagnia, anche se per conoscenza – art 145 comma 2.
In assenza di espresse modifiche, non appare dubitabile che il danneggiato ha la facoltà di agire in giudizio nei soli confronti del danneggiante (avendolo, però, preventivamente messo in mora) o congiuntamente con la sua compagnia d’assicurazione, ai sensi degli articoli 2043 e 2054 c.c. (assicuratore già messo in mora ex articolo 149 e 145) (in tal senso confrontare Cass. Civ. Sezione III 28/5/07 n.12376).
Una volta intrapreso il percorso risarcitorio di cui agli articoli 149 e 141 citando in giudizio la propria compagnia di assicurazione o quella del vettore, non si può estendere l’azione al responsabile civile perché gli articoli citati non lo prevedono.
La presenza del responsabile civile nel giudizio diretto e nel giudizio nei confronti della Compagnia di assicurazione del terzo trasportato, lungi dal semplificare, avrebbe l’effetto di complicare l’iter processuale. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il convenuto spieghi domanda riconvenzionale, oppure chieda la chiamata in garanzia del proprio assicuratore, oppure chieda la sua estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva e la condanna alle spese di giudizio, in forza, proprio, dell’art. 149 che, si ripete, lo esclude.
La legittimazione passiva del responsabile civile all’interno dell’azione diretta e dell’azione del terzo trasportato, contro l’intenzione del legislatore, vanificherebbe la finalità della norma ed anzi, porterebbe a procrastinare la durata dei processi e, ciò, in contrasto con l’esigenza di garantire la celerità e concentrazione del giudizio prevista dall’articolo 111 della Costituzione.
Nel giudizio intrapreso nei soli confronti della compagnia di assicurazioni del danneggiato, il Giudice dovrà solo verificare:
– che il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;
– che il danneggiato non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro, ai sensi dell’articolo 12 comma 1 del DPR 18/07/06 n.254 di attuazione dell’articolo 150 del codice delle assicurazioni e della tabella di cui all’allegato A – (cosa che avrebbe dovuto fare la compagnia di assicurazione del danneggiato in forza dell’obbligo di legge che le attribuisce il potere/dovere di sostituirsi alla compagnia del danneggiante e, quindi, una volta ricevuta la richiesta di risarcimento avrebbe dovuto darne immediata comunicazione all’impresa del responsabile civile affinché quest’ultima verificasse, con il suo assicurato, le modalità di accadimento del sinistro. Se dalle opportune verifiche si fosse riscontrato una qualsiasi corresponsabilità, la compagnia di assicurazione del presunto danneggiato avrebbe dovuto darne a questi comunicazione il quale, avrebbe potuto azionare l’azione di cui all’articolo 144 e non più l’azione diretta in quanto questa sarebbe stata inammissibile e/o improcedibile).
– L’accertamento della responsabilità è compiuto con riferimento alla fattispecie concreta, nel rispetto dei principi generali nei termini di responsabilità derivante dalla circolazione del veicolo.
Superata così, la presunzione di corresponsabilità ex articolo 2054, comma 2 c.c. e, valutata l’effettiva entità dei danni, al Giudice non rimarrà altro che condannare la convenuta compagnia di assicurazione al pagamento in favore del danneggiato della somma ritenuta equa, oltre al rimborso delle spese di giudizio, ex articolo 91 c.p.c.
Nel giudizio intrapreso dal terzo trasportato nei soli confronti della compagnia di assicurazioni del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro, il Giudice dovrà solo verificare:
– la proponibilità della domanda;
– la legittimazione passiva della Compagnia di assicurazione;
– il nesso di causalità del danno lamentato con la qualità di trasportato;
– l’entità del danno.

COMUNICAZIONE DA PARTE DELLA COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE DEL DANNEGGIATO

Quando dalle opportune verifiche si riscontra una responsabilità e/o corresponsabilità del proprio assicurato e la compagnia di assicurazione del presunto danneggiato glie ne dà comunicazione nei termini previsti dall’art. 148 del CdA, al danneggiato gli è impedita l’azione di cui all’art. 149 che, si ripete, può essere azionata solo se il danneggiato non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro.In questo caso, il danneggiato deve azionare la procedura di cui all’articolo 144 del D.L.vo 209/05.
Anche se il comma 6 dell’art. 149 del CdA prevede che in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto, ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’art. 148 o di mancato accordo, il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’art. 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione, ciò non di meno, questo comma va coordinato con i comma precedenti che dispongono che la procedura si applica al conducente “non responsabile” e che l’impresa è obbligata a provvedere alla liquidazione dei danni per conto dell’impresa di assicurazione del “responsabile”.
Pertanto, se vi è dubbio sulla responsabilità esclusiva del presunto danneggiante, l’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione del presunto danneggiato non può essere azionata.

OFFERTA DA PARTE DELLA PROPRIA ASSICURAZIONE – ONERE PROBATORIO DELLA RESPONSABILITA’

L’istruttoria della causa non è stata completata perché l’attore ha rinunciato all’escussione del teste indicato ed, emendando la domanda in corso di causa, ne ha chiesto l’accoglimento sul presupposto che nessun onere probatorio incombe sullo stesso per quanto concerne la dimostrazione dei fatti di causa, in quanto la propria compagnia di assicurazione non ha mai contestato l’an, anzi, ha inviato la somma di € 1.100,00 riconoscendo, così, la mancanza di qualsiasi responsabilità in capo al danneggiato.
Tale assunto non è stato condiviso per le seguenti ragioni:
a) l’invio di una somma da parte della Compagnia di assicurazione nella fase stragiudiziale, non dimostra, di per se, la fondatezza della pretesa dell’attore;
b) in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, l’ubicazione dei danni e la loro entità, integrano altrettanti giudizi di merito che spettano solo al Giudice investito del giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti del danneggiante e/o della sua Compagnia di assicurazione o nei confronti della propria Compagnia di assicurazione nell’azione diretta di cui all’art. 149 del D.L.vo n.209/05, come nel caso di specie, e devono essere provati in giudizio;
c) la fase stragiudiziale intercorsa tra il danneggiato e la propria assicurazione non può entrare nel giudizio di merito come prova del fatto dedotto in giudizio ma, solo sotto il limitato profilo della proponibilità/improponibilità della domanda.
Il principio sancito dall’art. 2697 del Cod. Civ. è un principio cardine del nostro ordinamento: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
D’altro canto, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 149 del D.L.vo n.209/05 nell’azione giudiziaria consiste nel:
– provare che il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;
– provare che egli non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro.
Ciò rilevato, l’attore, nella fattispecie, allo scrutinio del giudice, non ha provato quanto imposto dall’art. 149 citato e, pertanto, la domanda è stata rigettata.
Si è osservato, intatti, che il pagamento di qualsiasi importo a titolo risarcitorio, in via stragiudiziale, da parte di una determinata compagnia assicuratrice, lungi dal costituire riconoscimento della fondatezza della tesi attorea, può essere interpretato, come afferma consolidata giurisprudenza sia di legittimità che di merito, quale mero indirizzo di politica economico-aziendale, sicché l’invio di una determinata indennità al danneggiato non potrà mai avere carattere latamente “confessorio” e, quindi, far ritenere superflua la fase istruttoria.
In definitiva, l’attore ha sempre l’onere di provare il fondamento delle proprie istanze.

 

RESPONSABILITA’ DEL DANNEGGIATO IN TUTTO O IN PARTE

Nel giudizio intrapreso nei soli confronti della compagnia di assicurazione del danneggiato, il Giudice dovrà solo verificare che:
a) il sinistro si sia verificato tra due veicoli a motore, identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria;
b) il danneggiato non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro.
Nel caso in cui il danneggiato dimostra solo il punto a) mentre, dalla prova testimoniale offerta risulta che, nella causazione del sinistro hanno concorso entrambi i conducenti con la loro guida non conforme alle norme di comune prudenza e perizia e del Codice della strada, il Giudice dovrà dichiarare la domanda inammissibile.
La dinamica dell’incidente, così come descritta dal teste era nota anche all’attore e, pertanto, questi non avrebbe dovuto azionare la procedura del risarcimento diretto di cui all’art. 149 del CdA nei confronti della propria compagnia di assicurazione ma, avrebbe dovuto azionare la procedura di cui all’art. 144 del CdA nei confronti del presunto responsabile civile e della sua compagnia di assicurazione.
La procedura di cui all’art. 149, si ripete, può essere azionata solo se il danneggiato non sia responsabile in tutto o in parte del sinistro.
Anche se il comma 6 dell’art. 149 del CdA prevede che in caso di mancata comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto, ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’art. 148 o di mancato accordo, il danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’art. 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione, ciò non di meno, questo comma va coordinato con i comma precedenti che dispongono che la procedura si applica al conducente “non responsabile” e che l’impresa è obbligata a provvedere alla liquidazione dei danni per conto dell’impresa di assicurazione del “responsabile”.
Pertanto, se vi è dubbio sulla responsabilità esclusiva del presunto danneggiante, l’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione del presunto danneggiato non può essere azionata.
Alla stessa conclusione si sarebbe pervenuto se la compagnia di assicurazione del danneggiato in forza
dell’obbligo di legge che le attribuisce il potere/dovere di sostituirsi alla compagnia del danneggiante, una volta ricevuta la richiesta di risarcimento avesse dato immediata comunicazione all’impresa del responsabile civile affinché quest’ultima verificasse, con il suo assicurato, le modalità di accadimento del sinistro. Se dalle opportune verifiche si fosse riscontrato una qualsiasi corresponsabilità, la compagnia di assicurazione del presunto danneggiato avrebbe dovuto darne a questi comunicazione il quale, avrebbe potuto/dovuto azionare l’azione di cui all’articolo 144 e non più l’azione diretta in quanto questa sarebbe stata inammissibile e/o improcedibile.

RAPPORTO CONTRATTUALE – COMPETENZA TERRITORIALE – INAMMISSIBILITA’

 

CONSIDERATO
– che, gli obblighi di assistenza posti a carico della compagnia di assicurazione del danneggiato dall’art. 9 del DPR 18/7/06 n. 254 di attuazione dell’indennizzo diretto, vengono considerati dalla norma alla stregua di veri e propri obblighi contrattuali di correttezza e buona fede e, in quanto tali, apparentemente connessi alla prestazione principale dedotta nel contratto assicurativo;

– che, il rapporto assicurativo che intercorre tra l’assicurato e l’assicuratore è un contratto di assicurazione della responsabilità civile verso terzi che obbliga l’assicuratore a tenere indenne l’assicurato da eventuali conseguenze derivantegli da un sinistro in cui sia coinvolto e vi sia una sua responsabilità esclusiva o concorrenziale;

RITENUTO
– che, gli adempimenti liquidatori posti a carico dell’assicuratore del danneggiato non costituiscono obblighi di fonte negoziale, ma semplice estrinsecazione di un vero e proprio obbligo di legge, attraverso l’attribuzione all’assicuratore di un potere/dovere di sostituzione ex lege della Compagnia di assicurazione del danneggiante, di risarcire in via diretta il proprio assicurato, ricorrendone i presupposti;

– che, la prestazione risarcitoria (e non indennitaria) resa dall’assicuratore a favore del proprio assicurato/danneggiato è, dunque, del tutto estranea al sinallagma negoziale che li unisce (sinallagma che consiste, invece, nel trasferimento in capo all’assicuratore del rischio della responsabilità civile automobilistica dell’assicurato, dietro il pagamento di un premio a tale rischio e, solo a tale rischio commisurato);

– che le prestazioni di assistenza tecnica e di informativa, poste a carico dell’assicuratore del danneggiato, non possono essere ritenute di fonte contrattuale, trattandosi di ulteriori obbligazioni ex lege riconducibili, piuttosto, nel paradigma dell’art. 1175 c.c. (comportamento secondo correttezza) anziché in quello dell’art. 1375 c.c. (esecuzione di buona fede);

– che, l’assunto dell’attore/danneggiato secondo cui il rapporto intercorrente tra se medesimo e la sua Compagnia di assicurazione è un rapporto contrattuale e, pertanto, rettamente avrebbe adito il Giudice di Pace del luogo della sua residenza, ex art. 33 e 63 del D.L.vo 6/9/05 n.206 (codice del consumo), non può trovare accoglimento, trovando applicazione i normali criteri di competenza territoriale di cui agli artt. 18, 19 e 20 del c.p.c.

Pozzuoli, 9 novembre 2009
IL GIUDICE DI PACE
                                               (Avv. Italo BRUNO)
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