Corte di Cassazione Sezioni Unite n° 1786/2010 –opposizione avverso ordinanza ingiunzione – 28.01.2010 –

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Images: cassazione sito.jpgDeve pertanto, in applicazione dei suindicati concetti, affermarsi il principio secondo cui i vizi motivazionali dell’ordinanza ingiunzione, non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio susseguente investe il rapporto e non l’atto e, quindi sussiste la cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa e in ipotesi non esaminate o non motivatamente respinte, se riproposte nei motivi di opposizione e decidere su di esse con pienezza di poteri sia che le stesse investano questioni di diritto o questioni di fatto. Per tali motivi anche la mancata audizione del ricorrente da parte dell’Autorità amministrativa non comporta la nullità dell’ordinanza ingiunzione”.  

 

                                                       CORTE DI CASSAZIONE CIVILE

                                                                  SEZIONI UNITE 

                                                      SENTENZA 28-01-2010, n. 1786  

…omissis… 


                                                          MOTIVI DELLA DECISIONE
 

Nell’ordinanza con cui ha rimesso gli atti al primo Presidente, la seconda Sezione ha sostanzialmente posto la questione se nel giudizio relativo ad opposizione a sanzione amministrativa comminata per violazione al Codice della strada, sia o meno illegittima, e quindi passibile di conseguente annullamento da parte del giudice, l’ordinanza ingiunzione che non indichi le ragioni per cui l’Autorità amministrativa ha disatteso le deduzioni difensive dell’interessato in sede di ricorso amministrativo facoltativo. 
Si è rilevato al riguardo un contrasto tra la tesi secondo cui l’ordinanza deve essere motivata in riferimento alla sussistenza dell’infrazione e alla infondatezza dei motivi addotti nel provvedimento amministrativo (cfr. in tal senso Cass. 15.1.1999, n 391; 13.1.2005, n 519) ed altra opinione (Cass. nn 911 del 1996; 4588 del 2001; 5891 del 2004) basata sul presupposto che oggetto del giudizio di opposizione è il rapporto sanzionatorio e non l’atto, e che il sindacato del giudice è esteso alla validità sostanziale del provvedimento sanzionatorio attraverso l’esame autonomo della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto della violazione; conseguentemente, l’omessa, esplicita valutazione da parte dell’autorità amministrativa delle difese del trasgressore non integrerebbe una rilevante illegittimità del procedimento amministrativo, in quanto l’incolpato ben può far valere interamente le sue ragioni mediante il ricorso giurisdizionale.
Al riguardo non sono mancate pronunce che, pur avendo presenti i precedenti surricordati, hanno tentato una via intermedia, ritenendo che l’eventuale nullità dell’ordinanza ingiunzione conseguirebbe solo al mancato esame in essa di motivi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli scaturenti dagli atti acquisiti e dalle osservazioni fatte in sede di contestazione dell’infrazione (cfr. SS.UU. 28.12.2007, n 27180).
 
Il vero tema invece su cui deve concettualmente imperniarsi la presente decisione è quello attinente alla natura dell’oggetto del giudizio di opposizione; e ciò in quanto ove si ritenesse che il rapporto sanzionatorio costituisca la materia del contendere in tema di opposizione, non potrebbe essere revocato in dubbio che i vizi attinenti all’atto impugnato sarebbero irrilevanti ai fini del decidere, essendo devoluta alla cognizione piena del giudice dell’opposizione l’intero rapporto conseguito alla contestazione della violazione, cosa questa che consentirebbe di (ri)proporre al giudice tutte le deduzioni difensive, comprese quelle (in ipotesi) non esaminate in sede amministrativa. 
La principale obiezione sviluppata in relazione a tale argomentazione consiste nella constatazione secondo cui il ricorso amministrativo è stato introdotto per deflazionare il ricorso al giudice, con la conseguenza secondo cui se si nega rilevanza in sede giurisdizionale al vizio di motivazione e agli altri eventuali vizi dell’atto amministrativo, rispetto alle doglianze svolte in quella sede ed al rispetto dell’iter procedurale ivi previsto, nel giudizio di opposizione, tale intento risulterebbe irrimediabilmente frustrato, sia per il conseguente, ipotizzabile, atteggiamento della P. A. al riguardo, che per quello del trasgressore che, non soddisfatto della reiezione, in ipotesi non adeguatamente motivata, del proprio ricorso, potrebbe decidere per l’immediata proposizione del giudizio di opposizione. A tale eventualità sarebbe peraltro agevole rispondere che il riconoscimento in sede giudiziaria del vizio di una ordinanza ingiunzione che non abbia compiutamente motivato rispetto a tutte le deduzioni difensive svolte in sede amministrative, potrebbe indurre il trasgressore a tentare sempre la via giudiziaria facendo valere l’illegittimità dell’ordinanza ingiunzione per vizio di motivazione (preteso o reale che sia), provando a richiedere una motivazione più dettagliata e ciò, a prescindere dall’esito finale della fase giurisdizionale, provocherebbe di per sè un sensibile aumento del contenzioso con il risultato che un meccanismo alternativo e deflattivo, quale il facoltativo ricorso amministrativo potrebbe in concreto fornire una occasione per l’allungamento dei tempi processuali. 
A tale riguardo, non è inopportuno ricordare in questa sede e con riferimento al profilo in esame, il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., recepito da una giurisprudenza (Cass. nn 206 del 2008; 2376 del 2007, con molte altre di senso analogo) univoca nell’affermare il contemperamento delle esigenze di attuazione dell’ottica dell’abuso del processo e dei principi costituzionalizzati del giusto processo. 
Del resto, in una prospettazione del genere suesposto, va evidenziato ancora che le deduzioni proposte in sede amministrativa, riproposte di fronte al giudice, non perdono rilievo, ma assumono valenza sotto il diverso profilo del difetto di motivazione su profili decisivi della sentenza che decide il giudizio di opposizione e possono, talvolta, assumere decisiva incidenza qualora abbiano posto fondate questioni di diritto. 
Al fine di esplicitare i presupposti su cui si fonda il sistema dell’irrogazioni delle sanzioni amministrative conseguenti a violazioni del Codice della strada, occorre precisare che l’Amministrazione ha il compito di formare il titolo esecutivo onde provvedere alla riscossione del credito e, quindi, il giudizio, pur formalmente strutturato come opposizione ad un atto, ha sostanzialmente ad oggetto il rapporto giuridico di obbligazione sottostante. 
Invero è pacifico in giurisprudenza e dottrina che il giudizio è solo introdotto dall’atto che ha irrogato la sanzione e si svolge sul rapporto, cioè sul l’accertamento della conformità della sanzione ai casi, alle forme e all’entità previsti dalla legge, atteso che si fa valere il diritto a non essere sottoposto a una prestazione patrimoniale se non nei casi espressamente previsti dalla legge stessa. Corollario di tale specificazione, oggettivamente inattaccabile, è quello secondo cui l’atto in questione non soggiace alle regole motivazionali nè al rigore del rispetto assoluto dell’iter procedimentale che valgono per gli atti amministrativi discrezionali e, comunque, di natura provvedimentale. 
Può essere a questo punto utilmente rilevato che non v’ha luogo a contrasto relativamente alla mancanza di elementi distintivi rispetto a profilo che ne occupa, tra l’ipotesi in cui l’ordinanza ingiunzione venga emessa all’esito del procedimento di irrogazione della sanzione (nei casi cioè in cui non è ammesso il pagamento in forma ridotta, L. n 689 del 1981, ex art. 18) e quella in cui risulti adottata a seguito del ricorso amministrativo facoltativo avverso il verbale di accertamento delle sanzioni (art. 204 C.d.S.). Nè v’ha contrasto sul dato secondo cui il giudizio è sul rapporto e non sull’atto amministrativo, nè sulla conclusione secondo cui la cognizione del giudice è piena, seppure nei limiti dei motivi di opposizione proposti in sede giurisdizionale : tanto consente di affermare che il contrasto nei suoi termini attuali risiede solo sul contenuto minimale della motivazione, che, come si è già rilevato, è inteso in senso diverso dai due filoni giurisprudenziali de quibus, escludendo quello maggioritario che il minimum non contenga le motivazioni rispetto alle argomentazioni difensive svolte nella fase amministrativa. 
Se, quindi, è pacifico nella giurisprudenza, ed anche in dottrina, che l’opposizione all’ordinanza ingiunzione è strumento per portare la controversia nella sua interezza di fronte al giudice siccome si tratta di un giudizio solo su di un rapporto, soltanto introdotto da un atto, con effetto devolutivo pieno, appare ineludibile l’esigenza di evitare interpretazioni che involgano i vizi solo formali dell’atto, e risultino da tanto condizionate, più intensamente o meno, a seconda dei profili che si vogliano assumere a parametro del giudizio sull’atto, e conducano ad abuso del mezzo processuale che potrebbe risultare ancorato unicamente ai vizi dell’atto. 
Se a tanto si aggiunge la constatazione secondo cui la tutela del presunto trasgressore, anche nel caso in cui l’ordinanza ingiunzione opposta non abbia espressamente motivato sulle deduzioni difensive svolte nella fase amministrativa è comunque piena, atteso che ognuna delle stesse deduzioni può essere proposta al giudice, deve concludersi nel senso che il difetto di motivazione in ordine alle predette deduzioni non sia funzionale all’oggetto dell’accertamento e, quindi del giudizio, anche in quanto il presunto trasgressore che impugni direttamente il verbale, nei casi in cui sia ammesso il pagamento in misura ridotta, e che non ha certo la possibilità di presentare scritti difensivi, non è per questo meno garantito. E’ stato affermato con concisa, ma completa esposizione delle ragioni che ne sono alla base, la tesi secondo cui nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria, il sindacato del giudice del merito si estende alla validità sostanziale del provvedimento impugnato attraverso un autonomo esame circa la ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto della infrazione contestata, essendo oggetto della opposizione il rapporto sanzionatorio, con la conseguenza che nessun rilievo assumono gli eventuali vizi del provvedimento relativi all’omessa valutazione delle deduzioni difensive dell’incolpato da parte dell’autorità intimante, potendo, successivamente, l’eventuale inadeguata valutazione da parte del giudice, rilevare sotto il profilo di omesso esame di punti decisivi della controversia (Cass. n 5891 del 2004). Ricordate le già esposte ragioni che contrastano adeguatamente la tesi sostenuta dall’indirizzo giurisprudenziale più legato alla incidenza dei vizi motivazionali dell’ordinanza sull’esito della controversia, può concludersi nel senso che la natura stessa del giudizio impone una soluzione diversa. 
Deve pertanto, in applicazione dei suindicati concetti affermarsi il principio secondo cui i vizi motivazionali dell’ordinanza ingiunzione, non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio susseguente investe il rapporto e non l’atto e, quindi sussiste la cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa e in ipotesi non esaminate o non motivatamente respinte, se riproposte nei motivi di opposizione e decidere su di esse con pienezza di poteri sia che le stesse investano questioni di diritto o questioni di fatto. 
Dall’applicazione compiuta di tale principio emerge una ulteriore conseguenza, che investe altri possibili vizi dell’ordinanza ingiunzione, con riferimento all’iter procedimentale, con precipuo riguardo alla mancata audizione del trasgressore che ne abbia fatto richiesta. 
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte appare consolidata, con oscillazioni ora di scarso rilievo, nel senso che la mancata audizione di chi ne abbia fatto richiesta comporti la nullità dell’ordinanza ingiunzione e quindi la sopravvenuta insussistenza della pretesa patrimoniale conseguente alla trascrizione. Se in un’ottica quale quella affermatasi in relazione alla funzionalità della osservanza delle regole, anche procedimentali, relative all’atto amministrativo, relativamente all’esito dell’opposizione, tale conclusione aveva una valenza quanto meno sul piano formale, basta riflettere al fatto che l’audizione è preordinata all’esposizione di elementi favorevoli alla propria tesi che l’interessato vuole far conoscere all’Autorità preposta all’adozione dell’ordinanza, per concludere che la tutela del trasgressore non è lesa dal mancato uso di tale facoltà, atteso che quelle ragioni potranno senza dubbio alcuno essere prospettate in sede giurisdizionale. 
Ne consegue che anche tale vizio non può comportare l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione, attesa la più volte rilevata pienezza di cognizione che compete al giudice del rapporto. Il principio generale suesposto vale quindi a superare il preesistente contrasto, atteso che lo stesso sposta il profilo argomentativo sul piano della natura dell’oggetto del giudizio (sul rapporto e non sull’atto) e supera le ragioni su cui le diverse tesi si erano attestate. 
Il ricorso deve essere pertanto accolto, atteso che i due motivi in cui lo stesso è articolato attengono allo stesso profilo (irrilevanza della omessa od insufficiente motivazione in ordine alle deduzioni difensive svolte in sede amministrativa), sia pure sotto angolazioni diverse e possono essere quindi esaminati congiuntamente; tanto comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice di pace di Reggio Calabria, che provvederà, applicato il principio di diritto di cui sopra, anche sulle spese del presente procedimento per cassazione.

                                                                       P.Q.M.
 

la Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altro Giudice di pace di Reggio Calabria. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009. 
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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