Corte di Cassazione n° 9852/09 – comunicazione dei dati della patente del conducente – 24.04.09. –
La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha precisato che non può valere quale “giustificato e documentato motivo” di inottemperanza all’obbligo di comunicazione dei dati della patente, la giustificazione addotta, nella specie, dall’opponente – cioè l’esserle stato, in definitiva, impossibile comunicare le informazioni richieste per il gran tempo trascorso e per la complessità dell’organizzazione aziendale, in quanto, tale motivazione è manifestamente insufficiente e inadeguata, perché né il trascorrere del tempo (non lungo, peraltro, nella specie), né la complessità dell’organizzazione o l’elevato numero dei dipendenti sono, di per sé, ostativi alla diligente registrazione – ai fini della successiva, eventuale comunicazione – dei conducenti degli autoveicoli. CORTE DI CASSAZIONE II Sez. Civile Sentenza n° 9852 del 24.04.09 (omissis) Premesso che con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di pace di Rimini ha respinto l’opposizione proposta dalla … avverso verbale di contestazione di violazione dell’art. 126 bis codice della strada, elevato il 23 marzo e notificatole il 30 marzo 2004 dalla Polizia Municipale di Rimini per omissione della comunicazione, richiesta dalla Polizia, delle generalità e dei dati della patente di guida del conducente di un autoveicolo di proprietà della cooperativa, con il quale era stata commessa violazione dell’art. 142, comma 9, del medesimo codice contestata l’8 novembre 2003; che l’opponente ha quindi proposto ricorso per cassazione per cinque motivi, cui ha resistito l’intimato Comune di Rimini con controricorso, illustrato anche da memoria. Considerato che con i primi tre motivi di ricorso – da trattare congiuntamente attesa la loro connessione – si lamenta, denunciando sia violazione di norme di diritto sia vizi di motivazione, che il Giudice di pace non abbia tenuto in alcun conto le giustificazioni della mancata comunicazione delle generalità e dei dati della patente del conducente addotte dall’opponente, la quale aveva tempestivamente risposto alla richiesta della Polizia Municipale facendo presente di non essere a conoscenza di quanto richiestole, per il lungo tempo trascorso e perché quasi tutti i suoi dipendenti potevano utilizzare gli autoveicoli aziendali; che manifestamente la censura non può trovare accoglimento, in quanto, pur avendo il Giudice di pace errato nel trascurare del tutto le giustificazioni addotte dall’opponente, tuttavia la sua decisione è conforme a diritto, ancorché necessiti di correzione ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c. (come, del resto, già ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 13748 del 2007 relativa a fattispecie analoga); che, infatti, l’art. 126 bis, comma 2, c.d.s. (nel testo qui applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte con d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conv., con modif., dalla l. 1° agosto 2003, n. 214) pone a carico dei proprietari di autoveicoli un dovere di tenersi informati delle generalità e dei dati della patente di guida dei conducenti dei medesimi: dovere implicito in quello di comunicazione agli organi di polizia stradale e la cui violazione, con la conseguente violazione del dovere di comunicazione, comporta l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8, c.d.s.; che gli eventuali “giustificati motivi” della violazione di tale dovere possono rilevare, se non ai sensi dell’art, 180, comma 8, cit. (che espressamente fa salva l’esistenza di un “giustificato motivo” di inottemperanza all’obbligo ivi contemplato), richiamato dall’art. 126 bis, comma 2, cit., solo nella parte sanzionatoria e non anche nella parte precettiva (ma si veda, per completezza, l’art. 2, comma 164, lett. b), d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, conv., con modif., dalla l. 24 novembre 2006, n. 286 – qui dunque non applicabile ratione temporis – che ha introdotto anche nel richiamato secondo comma dell’art. 126 bis c.d.s. la salvezza del “giustificato e documentato motivo” di inottemperanza all’obbligo di comunicazione), certamente ai sensi del principio generale di colpevolezza di cui all’art. 3 l. 24 novembre 1981, n. 689; che dunque è sempre consentito al preteso trasgressore dell’art. 126 bis, secondo comma, c.d.s. dimostrare di non essere in colpa avendo fatto tutto quanto dovuto, secondo l’ordinaria diligenza, per tenersi informato delle generalità e dei dati della patente dei conducenti degli autoveicoli di sua proprietà, sì da essere in condizione di comunicarli, all’occorrenza, agli organi di polizia (e ciò, conformando la previsione normativa di cui si discute al richiamato principio generale del sistema sanzionatorio amministrativo, manifestamente consente di superare i dubbi, cui si fa cenno in ricorso, di violazione dei principi costituzionali, di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.); che però la giustificazione addotta nella specie dall’opponente – cioè l’esserle stato, in definitiva, impossibile comunicare le informazioni richieste per il gran tempo trascorso e per la complessità dell’organizzazione aziendale – è manifestamente insufficiente e inadeguata, perché né il trascorrere del tempo (non lungo, peraltro, nella specie), né la complessità dell’organizzazione o l’elevato numero dei dipendenti sono, di per sé, ostativi alla diligente registrazione – ai fini della successiva, eventuale comunicazione – dei conducenti degli autoveicoli; che il quarto motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione dell’art. 23, sesto comma, l. n. 689/1981, sui poteri istruttori del giudice di pace, e dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile essendo le censure formulate in termini del tutto generici; che del pari inammissibile per genericità delle censure è il quinto motivo, con cui si denuncia violazione dell’art. 23, comma dodicesimo, l. n. 689/1981 osservando che il giudice avrebbe dovuto accogliere l’opposizione in difetto di sufficienti prove di responsabilità; che il ricorso va, in conclusione, respinto, con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in euro 500,00, di cui 400,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge (omissis) |