Corte di Cassazione n. 7264/2015 – messaggio diffamatorio su facebook integra ipotesi diffamazione aggravata ex art. 595 c.p.c – competenza Tribunale

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha ribadito che: “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (Cass., n. 24431 del 28/4/2015). La cognizione del reato rientra, pertanto, nella competenza del Tribunale, e non già del Giudice di pace

 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V Penale

SENTENZA N.  7264 Anno 2016

Presidente: SAVANI PIERO

Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

Data Udienza: 15/12/2015

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V. LUCIANA N. IL 28/03/1945

Z. ANTONIO N. IL 22/10/1972

Z. RAFFAELE N. IL 09/04/1981

nei confronti di:

V. CLAUDIA N. IL 14/06/1986

avverso la sentenza n. 240/2015 GIUDICE DI PACE di LECCE, del 08/04/2015

visti gli atti, la sentenza e il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha concluso

 Udito, per la parte civile, l’Avv Uditi difensor Avv.

– Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr. Agnello Rossi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso delle parti civili.

– Udito, per i ricorrenti, l’avv. Fabrizio D’Errico, che si è associato alla richiesta del Pubblico Ministero.

 – Udito, per l’imputata, l’avv. Francesco Vergine, che ha chiesto la reiezione dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di pace di Lecce ha, con la sentenza impugnata, dichiarato non doversi procedere nei confronti di V. Claudia per il reato di ingiuria e per quello di diffamazione, ritenuta la particolare tenuità del fatto. La donna era accusata di aver inviato un SMS sul telefono cellulare di Z. Antonio e messaggi alla bacheca Face Book di Z. Antonio, V. Luciana e Z. Raffaele aventi contenuto offensivo dell’onore e della reputazione dei destinatari. Il Giudice ha respinto l’eccezione di incompetenza per materia – sollevata dalle persone offese – in quanto tardivamente proposta.

2. Contro la suddetta decisione ha proposto ricorso per Cassazione il difensore delle parti offese, costituite parti civili, lamentando, con unico motivo, la violazione delle regole di competenza. Deduce che la diffamazione, quando è aggravata ai sensi del terzo comma dell’art. 595 cod. pen., è di competenza del Tribunale e che la relativa eccezione è sempre proponibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

 1. Effettivamente, come correttamente rilevato dai ricorrenti, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (Cass., n. 24431 del 28/4/2015). La cognizione del reato rientra, pertanto, nella competenza del Tribunale, e non già del Giudice di pace, ai sensi dell’art. 4 del dlgs 28 agosto 2000, n. 274, che limita la competenza del Giudice di pace alle ipotesi previste dall’art. 595, commi 1 e 2 cod. pen., e non anche a quelle previste dal comma 3 dello stesso articolo.

 2. L’eccezione di incompetenza per materia era stata sollevata dalle parti civili costituite all’udienza dell’8 aprile 2015 e rigettata perché proposta dopo l’apertura del dibattimento. Senonché, il Giudice di pace non ha tenuto conto del disposto dell’art. 21 cod. proc. pen., secondo cui la incompetenza per materia è rilevata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo che venga dedotta la competenza di un giudice inferiore (nel qual caso va eccepita entro i termini di cui all’art. 491 cod. proc. pen.). Ne consegue che, anche se proposta dopo l’apertura del dibattimento, l’eccezione delle parti civili non poteva – nella specie – essere dichiarata tardiva, con la conseguenza che la sentenza impugnata va annullata con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente. 3. Non è condivisibile la tesi sostenuta, in udienza, dal difensore dell’imputato, secondo cui le parti civili non avrebbero interesse a far valere la nullità che – nel caso di specie – si è verificata. E’ pacifico che l’interesse ad impugnare deve essere ravvisato in concreto, non essendo sufficiente un interesse meramente virtuale alla esattezza giudica della decisione, e che l’interesse richiesto dall’art. 568, comma quarto, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità dell’impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento giudiziale, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Cass., n. 32850 del 30/6/2011). Nel caso di specie non può negarsi che la parte civile abbia un interesse concreto alla rimozione del provvedimento impugnato, giacché il giudizio sulla particolare tenuità del fatto è stato svolto in relazione ad un reato (quello di cui all’art. 594 cod. pen.) meno grave di quello ravvisabile in concreto; inoltre, ha precluso alla parte civile la possibilità di ottenere, già nella sede propria, una condanna del responsabile al risarcimento del danno o, comunque, una condanna da far valere in sede civile. Occorre tener conto, invero, del fatto che – per il disposto dell’art. 651 cod. proc. pen., come modificato dal dlgs n. 28/2015 – la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuita’ del fatto ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceita’ penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale, ma solo quando si tratti di sentenza pronunciata in seguito a dibattimento. Nella specie, invece, la sentenza del Giudice di pace è stata emessa dopo l’apertura del dibattimento, ma senza procedere al dibattimento, perché – a quanto si legge in sentenza – emessa, su richiesta della difesa, prima dell’assunzione delle prove e in un momento in cui il Giudice non aveva potuto apprezzare la reale offensività della condotta ascritta all’imputata.

 La sentenza non potrebbe essere invocata, pertanto, in sede civile per il risarcimento del danno; il che comporta indubbiamente un effettivo pregiudizio per le persone offese, costituite parte civile. Tanto, a prescindere dal fatto che – secondo la pregressa giurisprudenza di questa Corte – la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., non è applicabile ai procedimenti davanti al Giudice di Pace, poiché in questi si applica la disciplina prevista dall’art. 34 del D.Lgs. cit., da considerarsi norma speciale, e quindi prevalente, rispetto a quella dettata dal codice penale (Cass., n. 38876 del 20/8/2015).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il competente Tribunale di Lecce. Così deciso il 15/12/2015

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