“Dal combinato disposto degli artt. 2, comma primo, e 3, n. 33, del codice della strada – i quali definiscono rispettivamente come strada “l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”, e come marciapiede la “parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni” – si desume che, ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 158, comma primo, lett. h), del medesimo codice, che vieta la sosta “sui marciapiedi, salvo diversa segnalazione”, è decisiva soltanto la rilevazione della utilizzazione del suolo, sul quale la sosta è avvenuta, quale componente del sistema viario destinata alla circolazione dei pedoni. A tal fine invero nemmeno la proprietà dell’area può assumere rilievo (e, in particolare, la circostanza che essa eventualmente appartenga allo stesso autore della contestata infrazione), non essendo essenziale il suo assoggettamento a diritto di passaggio a favore della collettività o la sua appartenenza al demanio (Cfr. pure Cass. n. 1694 del 2005, e n. 17579 del 2005)”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA di CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Franco PONTORIERI – Presidente – Dott. Alfredo MENSITIERI – Consigliere Dott. Rosario DE JULIO – Consigliere – Dott. Salvatore BOGNANNI – Rel. Consigliere – Dott. Vittorio Glauco EBNER – Consigliere –
ha pronunciato la seguente SENTENZA
sul ricorso proposto da: Comune Pasian di Prato, in persona del Sindaco pro tempore Lo.To., elettivamente domiciliato iin Ro. Via delle Qu.Fo. n. 10, c/o lo studio Co,, difeso dall’avvocato Ro.Pa., giusta delega in atti; – ricorrente – contro Do.Sa., PREFETTURA Udine; Intimati – avverso la sentenza n. 929/03 del giudice di pace di Udine, depositata il 11/07/03; udita la relazione della causa svolta nella pubblica i 148 ‘udienza del 24/01/07 dal Consigliere Dott. Salvatore BOGNANNI; udito l’Avvocato Pa.Ro., difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; udito il P.M, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio VELARdi che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. R. G. n. 24944/03 ric.te Comune di Pasian di Prato Svolgimento del processo Con ricorso al giudice dì pace di Udine, depositato il 9 maggio 2002, Sa.Do., premesso; che il 18.2.2002 la polizia municipale del Comune di Pasian di Prato aveva accertato che l’autovettura Fiat Tempra, targata (…), poi risultata di proprietà dì Do., era stata lasciata in sosta sul marciapiede, in corrispondenza del civico n. 10 di via Ca.; che il successivo 20. 3. 2002 al medesimo era stato notificato il verbale d contestazione n. 140; che egli aveva ritenuto di potere parcheggiare il veicolo in quel tratto, che era in prossimità di un’area privata, e comunque era caduto in errore sul fatto commesso; tutto ciò premesso, l’interessato impugnava quel verbale di infrazione, del quale perciò chiedeva l’annullamento per le ragioni enunciate. Il Comune di Pasian di Prato si costituiva con memoria, con cui chiedeva il rigetto dell’opposizione, siccome destituita di fondamento. Venivano acquisiti gli atti offerti, e assunta la prova col testimone indicato dal resistente. Con sentenza dell’11 luglio 2003 il giudice, in accoglimento dell’opposizione, ha annullato il verbale di infrazione, e ha compensato le spese, osservando che la prova acquisita non fosse decisiva ai fini della caratteristica del tratto dì strada, in cui il fatto era stato commesso; inoltre l’autore di esso era caduto in errore sulla illiceità della condotta, e perciò doveva essere assolto dall’addebito mossogli. Avverso questa sentenza l’amministrazione ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi. Do. non si è costituito.
Motivi della decisione
1) Col primo motivo il Comune ricorrente deduce violazionee/o falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, punto 33, e 158, comma 1, lett. h) C.d.S., con riferimento all’art. 360, n. 3 del codice di rito, in quanto il giudice di pace non ha considerato che lo spazio, sul quale l’intimato aveva lasciato l’autovettura in sosta, era proprio un marciapiede, e quindi non occorreva nessuna segnalazione per indicarne il relativo divieto, atteso che esso discende dalla legge. Né la condotta dell’agente poteva essere scriminata per il solo fatto che eventualmente anche altri soggetti avessero lasciato i loro veicoli in sosta colà, posto che tale circostanza, anche se vera, comunque non avrebbe potuto legittimare un comportamento illecito da parte di chicchessia, sol perché “…così fan tutti”, principio che oltre tutto scardinerebbe le fondamenta dello Stato di diritto.
Il motivo è fondato.
Il decidente ha osservato che il comune cittadino non poteva agevolmente percepire che il luogo in cui Do. aveva parcheggiato la propria autovettura fosse un marciapiede, anche perché un segnale dì divieto specifico vi mancava. L’assunto non è esatto. Sì trattava proprio di uno spazio destinato al passaggio dei pedoni, sito a margine della carreggiata; e ciò a prescindere dalla sopraelevazione o meno rispetto ad essa, purché in tale seconda ipotesi ci fosse la delimitazione. Ciò posto il divieto di sosta era conseguenziale rispetto alla natura dello spazio stesso, giacché esso discende dalla legge, e precisamente dall’art. 158, comma 1, lett. h) C.d.S. Infatti dal combinato disposto degli artt. 2, comma primo, e 3, n. 33, del codice della strada – i quali definiscono rispettivamente come strada “l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”, e come marciapiede la “parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni” – si desume che, ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 158, comma primo, lett. h), del medesimo codice, che vieta la sosta “sui marciapiedi, salvo diversa segnalazione”, è decisiva soltanto la rilevazione della utilizzazione del suolo, sul quale la sosta è avvenuta, quale componente del sistema viario destinata alla circolazione dei pedoni. A tal fine invero nemmeno la proprietà dell’area può assumere rilievo (e, in particolare, la circostanza che essa eventualmente appartenga allo stesso autore della contestata infrazione), non essendo essenziale il suo assoggettamento a diritto di passaggio a favore della collettività o la sua appartenenza al demanio (Cfr. pure Cass. n. 1694 del 2005, e n. 17579 del 2005). Su tale punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto. 2) Col secondo motivo l’ente ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 comma 12 L. n. 689/81, oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., giacché il decidente non avrebbe consideratocele l’amministrazione aveva fornito la prova che sì trattava di marciapiede quello in cui il mezzo di Do. era stato parcato, e perciò non occorreva alcun cartello o segnale di divieto, mentre invece il trasgressore doveva provare l’eventuale sussistenza di un fatto impeditivo od estintivo.
La censura, che in parte rimane assorbita da quanto enunciato relativamente al motivo testé esaminato, è fondata. Il giudice di pace ha osservato che l’automobilista era stato tratto in inganno, poiché aveva constatato che sul posto anche altri soggetti avevano lasciato le loro vetture. L’assunto non ha pregio. Posto che quello spazio era destinato al passaggio dei pedoni, come risultava dai fotogrammi acquisiti e dalle dichiarazioni del mar. Ga., esaminato come testimone, era allora preciso onere dell’opponente fornire la prova di qualche eventuale fatto impeditivo od estintivo rispetto alla pretesa dell’amministrazione; né poteva soccorrere la sua buona fede, atteso che semmai la colpa doveva certamente presumersi in capo a lui, come di regola avviene per ogni illecito amministrativo, allorquando non si provi il dolo. Né il fatto che altri soggetti avessero lasciato i loro mezzi in sosta su quell’area poteva scriminare la condotta di Do. Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente e logicamente corretto.
3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta dell’art. 3 L. n. 689/81, relativamente all’art. 360, n. 3 c.p.c., poiché il giudice non poteva ritenere che l’interessato fosse caduto in errore sulla natura dello spazio occupato, e quindi che esso avesse investito il fatto, dal momento che non occorreva alcun segnale per individuare il marciapiede, come pure non era necessario nessun divieto, che era automatico, ma occorreva solo una maggiore diligenza nel trasgressore per evitare il fatto, per il quale peraltro già di per sé la colpa era presunta. La doglianza va condivisa. Il giudice ha rilevato che Do. era incorso in errore sul fatto trasgressivo, e perciò era immune dall’elemento psicologico, necessario per integrare l’illecito ascrittogli. L’assunto è inesatto. Era invece necessario che l’automobilista adottasse maggiore accortezza per evitare di commettere l’infrazione, atteso che egli aveva violato la norma, omettendo la dovuta diligenza. Del resto la presunzione di colpa in “subjecta materia” è automatica, e spetta all’interessato fornire la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare di porre in essere l’illecito amministrativo. Infatti non v’ha dubbio che il” principio posto dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981 – secondo il quale, per le violazioni amministrativamente sanzionate, è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa – postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all’agente, sul quale grava, pertanto, l’onere della dimostrazione di aver agito senza colpa. L’esimente della buona fede, intesa come errore sulla liceità del fatto (applicabile anche in tema di illecito amministrativo disciplinato dalla citata legge n. 689 del 1991), assume, poi, rilievo solo in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare, nell’autore della violazione, il convincimento della liceità del suo operato, purché tale errore sia incolpevole ed inevitabile, siccome determinato da un elemento positivo, idoneo ad indurlo in errore ed estraneo alla sua condotta, non ovviabile con ordinaria diligenza o prudenza (V. anche Cass. Sent. n. 19242 del 07/09/2006; n. 15155 del 2005, n. 11012del 2006). Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, e poiché non occorrono nuovi accertamenti di fatto, non va disposto il rinvio, stante che, ai sensi dell’art. 384, comma 1 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, con conseguente rigetto dell’opposizione di Do. avverso il verbale di contestazione notificatogli. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P. Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione di S. Donatello avverso il verbale di infrazione, e lo condanna al rimborso delle spese dì questa fase a favore del ricorrente, e che liquida in Euro 100,00 per spese vive ed Euro 200,00 per onorari, oltre a quelle generali e agli accessori di legge. |