CORTE DI CASSAZIONE N. 622/2019 – COMPRAVENDITA – CONTRATTO PRELIMINARE – CERTIFICATO DI ABITABILITÀ – REQUISITO ESSENZIALE – 14/01/2019

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza de qua, ha affermato il seguente principio di diritto:“Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità – anche prima della formale stipula del definitivo – costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, come ricorda Cass. n. 1514/2006, al punto tale che esso è in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico – sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità”. Sul punto, la Suprema Corte, nel richiamare un proprio orientamento consolidato, ha ribadito che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune – nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, ancorché anteriore all’entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, perché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico – sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali (Cass. nn. 10820/2009 e 15969/2000).Nel caso di specie, per i motivi sopraenunciati, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 622/2019, ha rigettato il ricorso.

 

Dott. Simone Glovi

 

CORTE DI CASSAZIONE

6 SEZIONE CIVILE

ORDINANZA N. 622 DEL 14/01/2019

 

Presidente: D’ASCOLA PASQUALE

Relatore: CRISCUOLO MAURO

Data di pubblicazione: 14/01/2019

ORDINANZA

sul ricorso 10426-2017 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato F.M.C., rappresentata e difesa dagli avvocati M.L., C.O., U.B. giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente –

contro

M.M.C; – intimato –

avverso la sentenza n. 1828/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/03/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente;

 

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

M.C.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, A.C. e il G.U. S.r.l., affermando che in data 7/11/2002 aveva sottoscritto una proposta di acquisto di un appartamento nella sede della società immobiliare, e successivamente di aver stipulato con la C., in data 10/12/2002, un contratto preliminare di compravendita dell’immobile, verso il corrispettivo del prezzo di € 59.400,00 da corrispondere nel seguente modo: € 2.500,00 già versati prima della stipula; € 2.500,00 da versarsi alla sottoscrizione del contratto preliminare a titolo di caparra confirnnatoria; € 54.400,00 da corrispondere alla stipula del contratto definitivo.

Il M. contestava la condotta inadempiente della C. la quale, non avendo fornito il certificato di abitabilità ed il progetto approvato del frazionamento dell’immobile, aveva impedito la stipula del definitivo, entro il termine concordato del 30/04/2003.

Pertanto, l’attore chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice con la condanna alla restituzione del doppio della caparra versata, pari a € 5.000,00, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata sottoscrizione del contratto definitivo.

Chiedeva altresì la condanna della G.U. S.r.l. alla restituzione della somma di € 2.500,00 incassata a titolo di caparra confirmatoria, qualora non avesse già corrisposto detta somma alla C.

La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle pretese attoree ed eccependo che era stato il M. a rendersi inadempiente, non avendo stipulato il contratto definitivo entro il termine pattuito.

Si costituiva altresì la G.U. S.r.l., deducendo l’infondatezza della domanda ed affermando di aver svolto correttamente l’incarico di intermediazione immobiliare, e di avere percepito per l’opera prestata il compenso pattuito di € 4.000,00.

Il Tribunale di Velletri, con la sentenza n. 2836/2007, rigettava la domanda attorea, non ritenendo sussistente un’ipotesi d’inadempimento della promittente venditrice, dal momento che nel contratto preliminare non era stabilito alcun obbligo di consegna dei documenti richiesti, a carico della promittente venditrice, entro la data prevista per il definitivo. Peraltro, ritenendo correttamente svolto l’incarico della società di intermediazione, rigettava anche la domanda proposta avverso quest’ultima.

Proponeva appello il M. nei confronti di entrambe le convenute, assumendo l’erronea valutazione delle prove testimoniali espletate in primo grado, dalle quali era invece emerso che esso promissario acquirente aveva più volte sollecitato la C. alla consegna della documentazione, ma che le richieste erano rimaste senza esito, sebbene le avesse inviato due telegrammi (nel giorno precedente e in quello fissato per la stipula del definitivo) con i quali la preavvertiva che la mancanza dei documenti avrebbe impedito la conclusione del contratto definitivo.

L’appellante, inoltre, deduceva il vizio derivante dall’erronea interpretazione delle norme di legge, avendo il primo giudice ritenuto che la mancata assunzione nel preliminare dello specifico obbligo di consegnare il certificato di abitabilità non avrebbe potuto determinare alcun adempimento.

Infine, affermava l’incongruità della motivazione circa il rigetto della domanda proposta nei confronti della G.U. S.r.l.

Si costituiva la C. che chiedeva il rigetto del gravame l’appello.

Dichiarato improcedibile l’appello nei confronti della società G.U. S.r.l., per la mancata produzione in giudizio della notifica dell’appello alla stessa, il che non consentiva di ritenere correttamente instaurato il contraddittorio, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1828/2016 riformava la decisione di primo grado, dichiarando risolto il contratto preliminare di vendita, condannando la promittente venditrice alla restituzione della somma di € 5.000,00, oltre interessi legali dal 10/12/2002, nonché al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado.

Secondo i giudici di appello la C. aveva garantito la totale regolarità urbanistica dell’immobile in sede di conclusione del contratto preliminare, con la conseguenza che, per consentire la stipula del contratto definitivo, avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante tale regolarità, ed in particolare, il certificato di abitabilità, il quale era stato più volte richiesto dal promissario acquirente, con l’avvertimento che senza di essi non si sarebbe potuti addivenire alla stipula del contratto definitivo. Tale inadempimento contrattuale, dunque, comportava la risoluzione del contratto e, di conseguenza, faceva sorgere gli obblighi restitutori delle somme ricevute a vario titolo dall’appellata.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la C. con un unico motivo.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa fase.

Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la falsa applicazione ed estensione al contratto preliminare delle norme disciplinanti il contratto di compravendita, in particolare degli artt. 1470 e 1477 c.c., in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.

Afferma la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nell’applicare al caso di specie le predette norme che, in quanto dettate per il contratto di compravendita, possono operare solo a seguito della stipulazione del definitivo, e non anche per effetto della conclusione del contratto preliminare.

Le obbligazioni gravanti sul venditore, tra le quali rientra anche quella della consegna della cosa oggetto della compravendita, dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà della cosa venduta, vanno eseguite al momento della stipula del definitivo, non potendosene esigere l’adempimento nella fase precedente.

Il ricorso deve essere rigettato.

In tal senso rileva che, con accertamento in fatto ii giudici di appello hanno ritenuto che la ricorrente avesse garantito la totale regolarità urbanistica dell’immobile, e che quindi “avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante tale regolarità”, documentazione in cui rientra inequivocabilmente anche il certificato di abitabilità, ritenendo che tale obbligo fosse consequenziale all’assunzione della garanzia quanto alla regolarità urbanistica del bene.

Peraltro è consolidato orientamento di questa Corte quello per cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune – nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, ancorché anteriore all’entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, perché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico – sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali (Cass. nn. 10820/2009 e 15969/2000).

Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, come ricorda Cass. n. 1514/2006, al punto tale che esso è in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico – sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.

D’altronde, ed anche prima della formale stipula del definitivo, si è affermato che ( cfr. Cass. n. 13969/2006) nel caso in cui il preliminare preveda la consegna anticipata del bene, rientra tra le obbligazioni gravanti sul promittente venditore anche quella di allegare il certificato di abitabilità dell’immobile contestualmente alla consegna dell’appartamento, nel caso in cui sia anche anticipato il pagamento del prezzo (conf. Cass. n. 4513/2001).

In tale ottica, reputa il Collegio che non possa essere censurata la valutazione compiuta dai giudici di appello circa l’attualità dell’obbligo della ricorrente di dover consegnare il certificato in questione, attese le reiterate richieste di parte intimata, così come comprovate dall’istruttoria svolta, ed avvenute in prossimità proprio della scadenza del termine per la stipula del definitivo, e con il chiaro intento quindi di mettere a disposizione del notaio rogante tutta la documentazione idonea ad assicurare la verifica circa la regolarità urbanistica del bene.

Trattasi di soluzione che costituisce a ben vedere una piana applicazione del principio della buona fede.

Al riguardo può richiamarsi quanto ritenuto in passato da questa Corte (cfr. Cass. n. 20399/2004, Cass. n. 13345/2006), secondo cui in tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicché la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto (art. 1375 cod. civ.), concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del “neminem laedere”, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte (nel precedente del 2004 è stata confermata la sentenza della Corte d’Appello che, in relazione all’esecuzione di un contratto preliminare di vendita immobiliare antecedente l’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, aveva ritenuto inadempienti i promittenti venditori in quanto essi non avevano proceduto a sanare l’immobile, abusivamente costruito, e ad acquisire il relativo certificato di abitabilità, e ciò aveva fatto sebbene tale condotta omissiva non fosse stata esplicitamente sanzionata nell’accordo negoziale).

Ad avviso del Collegio, a fronte di un’assunzione della garanzia circa la regolarità urbanistica del bene, se, come dedotto in ricorso, il certificato de quo era già esistente, l’omessa risposta alle richieste di consegna dello stesso da parte del promissario acquirente in epoca prossima alla scadenza del termine previsto per la stipula del definitivo, allorquando quindi si palesava la necessità di entrarne in possesso, costituisce comportamento evidentemente contrario ai principi di buona fede, laddove allo stesso abbia fatto poi seguito la dichiarazione di recesso della promittente venditrice sul presupposto del mancato rispetto del termine de quo, e giustifica quindi l’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento della ricorrente.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

 

Così deciso nella camera di consiglio del 20 novembre 2018.   

Potrebbero interessarti anche...