CORTE DI CASSAZIONE N. 46122/2018 – REATO DI PERMANENZA ILLEGALE NEL TERRITORIO DELLO STATO DI CUI ALL’ART. 10-BIS DEL D.LGS. N. 286/1998 – PARTICOLARE TENUITÀ – 1/10/2018

La Corte di Cassazione, con la sentenza de qua, ha ribadito che “lo straniero extracomunitario che sia trovato in Italia, per non incorrere nell’affermazione di responsabilità per il reato di permanenza illegale di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un titolo di ingresso, ed eventualmente di soggiorno, legittimante la sua condizione nello Stato”. La Corte ha, inoltre, affermato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace.
CORTE DI CASSAZIONE
I SEZIONE PENALE
SENTENZA N. 46122 DEL 11/10/2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO
Data di pubblicazione: 11/10/2018
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.I. nato il 10/05/1979
avverso la sentenza del 17/10/2013 del GIUDICE DI PACE di EMPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale F.Z., che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Giudice di pace di Empoli dichiarava T.I. colpevole della contravvenzione di permanenza illegale nel territorio dello Stato di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 (accertata il 9 novembre 2011), e lo condannava alla pena di 5.000 euro di ammenda.
Proponeva appello l’imputato, tramite il difensore di fiducia (abilitato al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori).
L’impugnazione, riqualificata ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., era trasmessa alla Corte di cassazione.
Con il primo motivo si invoca l’assoluzione perché il fatto non sussiste, quanto meno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. Pen.
Seppure l’imputato sia stato sorpreso, privo di permesso di soggiorno, nel territorio dello Stato, non sarebbe possibile stabilire la data di anteriore ingresso, e non si potrebbe pertanto escludere che questo fosse avvenuto da meno di otto giorni, tempo concesso dalla legge per la presentazione della richiesta di permesso; la permanenza nello Stato, pertanto, non potrebbe con certezza essere considerata illegale.
Con il secondo motivo si allega la particolare tenuità del fatto e si invoca l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., disposizione – si sottolinea – entrata in vigore successivamente all’emanazione della pronuncia impugnata.
3. L’impugnazione, come correttamente riqualificata alla luce del disposto dell’art. 37, comma 2, d.lgs. n. 274 del 2000, è da giudicare manifestamente infondata.
In ordine al primo motivo, questa Corte ha già ripetutamente statuito che lo straniero extracomunitario che sia trovato in Italia, per non incorrere nell’affermazione di responsabilità per il reato di permanenza illegale di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un titolo di ingresso, ed eventualmente di soggiorno, legittimante la sua condizione nello Stato (Sez. 1, n. 31998 del 17/05/2013, Hannani, Rv. 256503; Sez. 1, n. 57 del 01/12/2010, dep. 2011, Benjannet, Rv. 249472); non occorrendo attendere, in difetto del primo, la scadenza del termine per la richiesta del permesso di soggiorno, previsto soltanto a favore di chi faccia legalmente ingresso nel territorio dello Stato (Sez. 1, n. 27815 del 22/05/2013, Shakarkil, Rv. 256286; Sez. 1, n. 37051 del 30/09/2010, Jouini, Rv. 248576).
Riguardo al secondo motivo, basti ricordare che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art.131-bis cod. pen. – introdotto dall’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2015, entrato in vigore nelle more della proposizione dell’impugnazione – non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace (Sez. U, n. 53683 del 22/06/2017, Pmp, Rv. 271587). Né può essere vagliata per la prima volta in Cassazione l’eventuale particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, disposizione già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, ostandovi la previsione di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (arg. ex Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789).
La conseguente declaratoria d’inammissibilità del ricorso, che preclude il rilievo della prescrizione ad esso sopravvenuta, importa, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sentenza n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in duemila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 02/05/2018