Corte di Cassazione n° 19683 – sanzioni amministrative – divieto di sosta – distanza del veicolo dal segnale di divieto – 24.09.07. –
La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha cassato il provvedimento emesso dal Giudice di Pace in quanto: “Tale valutazione, se pure di fatto e rimessa, pertanto, al giudice del merito, è, all’evidenza, del tutto irrazionale, del che fondatamente si duole il ricorrente ed è per questo che non è condivisibile l’opinione espressa dal P.G., dacché è del tutto evidente che non solo nove metri rappresentano una distanza minima sicuramente riconducibile al concetto di “più vicino possibile” espresso dalla pertinente normativa, ma anche che tale distanza è funzionale alla necessità d’adeguato preavviso dell’inizio del divieto. Non trattasi, dunque, da parte del giudice a quo, di valutazione discrezionale del fatto, ma d’erronea interpretazione della norma applicata e, comunque, di motivazione irrazionale, suscettibile di censura in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.” Corte di Cassazione civile Sezione II civile, Sentenza 24 settembre 2007, n. 19683/07 …omissis… Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale conclude chiedendo il rigetto del ricorso siccome manifestamente infondato, sulla considerazione dell’insindacabilità delle valutazioni operate in fatto dal giudice del merito. Tale conclusione non può essere condivisa ed, al riguardo, devesi considerare che l’inammissibilità della pronunzia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 375 c.p.c., ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d’evidenza compatibili con l’immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell’impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. fossero, all’opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa (Cass. 11 giugno 2005, n. 12384; 3 novembre 2005, n. 21291, SS.UU.). Nella specie, al B. era stato contestato di aver lasciato la propria autovettura in sosta, non consentita nel giorno dell’accertamento, su strada interessata da divieto in giorni determinati per le operazioni di pulizia, divieto imposto con ordinanza sindacale 13 febbraio 2004, n. 48. Il Giudice di pace – dato atto che l’opponente aveva parcheggiato la propria autovettura nella strada e nel periodo di tempo riconducibili all’ordinanza suddetta – facendo riferimento all’art. 81 del reg. c.d.s., dal quale si stabilisce “I segnali di prescrizione devono essere installati in corrispondenza o il più vicino possibile al punto in cui inizia la prescrizione”, ha ritenuto che, nel caso al suo esame, la collocazione del cartello di divieto a nove metri di distanza dal punto interessato dalla prescrizione non fosse da considerare “prossimo o vicino alla zona di divieto” e fosse inidoneo, quindi, ad imporre la prescrizione stessa. Tale valutazione, se pure di fatto e rimessa, pertanto, al giudice del merito, è, all’evidenza, del tutto irrazionale, del che fondatamente si duole il ricorrente ed è per questo che non è condivisibile l’opinione espressa dal P.G., dacché è del tutto evidente che non solo nove metri rappresentano una distanza minima sicuramente riconducibile al concetto di “più vicino possibile” espresso dalla pertinente normativa, ma anche che tale distanza è funzionale alla necessità d’adeguato preavviso dell’inizio del divieto. Non trattasi, dunque, da parte del giudice a quo, di valutazione discrezionale del fatto, ma d’erronea interpretazione della norma applicata e, comunque, di motivazione irrazionale, suscettibile di censura in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. L’impugnata sentenza va annullata, peraltro senza rinvio, potendosi decidere della vertenza allo stato degli atti in questa sede ex art. 384 c.p.c. e respingere nel merito l’originaria opposizione. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza per il giudizio di legittimità mentre, per quello di merito, non v’ha luogo a provvedere essendosi l’Amministrazione costituita a mezzo di funzionario e non avendo depositato la nota delle spese vive liquidabili. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l’originaria opposizione; condanna B. S. alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 400,00 per onorari oltre ad accessori di legge. |