Corte di Cassazione n°19493 – sinistro stradale – tamponamento – distanza di sicurezza – 21.09.07. –

La Corte di Cassazione, nella sentenza in oggetto ha, tra l’altro, ribadito: “La suddetta decisione si pone in deciso contrasto con il principio di diritto, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 3282/2006; Cass., n. 11444/98; Cass., n. 8917/95; Cass., n. 5672/90; Cass., n. 3343/90), secondo cui per il disposto dell’art. 149 C.d.S., comma 1, (T.U. del D.L. 30 aprile 1992, n. 285), allo stesso modo di quanto stabiliva l’art. 107 C.d.S. previgente, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l’avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, egli resta gravato dall’onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell’automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili”.  

                                                                         Corte di Cassazione Civile
                                               
                                                                Sez. III, 21 settembre 2007, n. 19493

  
                                                                     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

il giorno 28 luglio 1995 F.M., mentre percorreva alla guida della sua autovettura la strada statale in località (OMISSIS), veniva tamponata da un autotreno condotto da L.C.G.; era spinta nella carreggiata di sinistra; in essa era investita dall’autoarticolato proveniente in senso opposto guidato da C.A. e, in conseguenza dell’impatto, perdeva la vita.  
Il marito R.I., i figli minori A. ed R. E. (rappresentati dal padre), i genitori B.A. e F.L. nonchè le sorelle S. e F.M. convenivano in giudizio L.C.G., C.A. nonchè la società Lavoro e Sicurtà spa e la società Universo spa, compagnie assicuratrici r.c.a. dei veicoli da essi rispettivamente condotti, per ottenerne la condanna solidale al risarcimento dei danni conseguenti alla morte della congiunta.  
Assumevano che lo scontro si era verificato quando la vittima aveva arrestato la marcia dell’autovettura che guidava in attesa di immettersi in un’area privata alla sua sinistra.  
Il convenuto L.C.G. ed il suo assicuratore società Lavoro e Sicurtà spa contrastavano la domanda e chiedevano che il sinistro fosse attribuito alla responsabilità concorrente della vittima e di C.A..  C.A. e la società Universo spa deducevano l’assenza assoluta di fatti imputabili ad esso convenuto, al massimo potendo configurarsi a suo carico la responsabilità presunta di cui all’art. 2054 c.c., comma 2.  
L’adito tribunale di Reggio Emilia accoglieva le domande di risarcimento, ritenuto che la responsabilità dell’incidente andava attribuita ai convenuti L. e C. nella misura del 45% ciascuno ed alla vittima in ragione del 10%.  
Avverso la sentenza proponevano separate impugnazioni la società Universo spa ed C.A. nonchè la società R.A.S. spa (quale incorporante per fusione della società Lavoro & Sicurtà spa) e L.C.G..  
In entrambi i giudizi proponevano appello incidentale anche gli attori in primo grado.  
Sulle impugnazioni, riunite in simultaneo processo, provvedeva la Corte d’appello di Bologna con la sentenza pubblicata il giorno 8 agosto 2003, la quale, in riforma delle statuizioni del tribunale, stabiliva che l’incidente era da attribuire alla colpa concorrente di L.C.G., in ragione del 90%, e della vittima, in ragione del restante 10% e, di conseguenza, annullava la pronuncia di condanna a carico di C.A. e della società Universo Assicurazioni spa; in accoglimento parziale dell’appello di Carlo L.G. e della società R.A.S. spa determinava in diversa misura le somme dovute ad R.I. ed ai minori A. ed R.E.; condannava, in solido, gli attori in primo grado unitamente a L.C.G. ed alla società R.A.S. spa alle spese del doppio grado del giudizio a favore di C.A. e della società Universo Assicurazione spa; condannava gli stessi attori in primo grado a pagare alla società R.A.S. spa e a L. C.G. le spese del giudizio d’appello.  
Per quel che ancora rileva in questa sede, i giudici d’appello consideravano che:  – sulla scorta delle tracce di frenata dell’autoarticolato e delle risultanze della perizia dinamica del consulente tecnico d’ufficio, l’unico addebito emerso a carico di C.A. (quello, cioè, di procedere ad una velocità superiore di 14 chilometri orari al limite massimo consentito) non era sufficiente a fare ritenere provato il nesso di causalità tra la suddetta infrazione ed il decesso della vittima, dato che l’evento si era verificato per effetto dell’avvenuto tamponamento, di intensità tale da provocare alla vittima danni di portata devastante;  
– anche se non avevano trovato conferma le affermazioni dei convenuti in giudizio circa una irregolare condotta di colpa della vittima, la responsabilità della stessa nella misura del 10% era da confermare nell’ambito della responsabilità presunta riconosciuta dal giudice di primo grado;  
– in ordine alla richiesta del danno patrimoniale connesso alla perdita delle attività domestiche svolte dalla defunta, andavano scisse quelle relative allo svolgimento degli ordinari lavori casalinghi dalle altre relative alla direzione ed alla programmazione di tali attività esecutive e delle esigenze familiari in genere, e per nessuna di esse poteva riconoscersi un danno risarcibile ai familiari superstiti;  
– il danno morale andava calcolato in base al parametro delle cd. tabelle in uso presso il tribunale di Bologna e tenuto conto del fatto che le certificazioni mediche prodotte dimostravano una sofferenza particolarmente intensa dei vari familiari della defunta.  
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso principale R.I., A. ed R.E. (la seconda rappresentata dal padre), B.A., F.L. nonchè S. e F.M., i quali hanno affidato l’accoglimento dell’impugnazione a cinque motivi.  
Hanno resistito con controricorso la Società Italiana Assicurazioni spa (nella quale si è trasformata la società Universo Assicurazioni spa) e la società Riunione Adriatica di Sicurtà spa, le quali hanno proposto impugnazione incidentale.  
L’impugnazione incidentale della società Riunione Adriatica di Sicurtà spa si basa su due motivi.  
Il ricorso incidentale della Società Italiana Assicurazioni spa contiene due motivi e l’esame del secondo motivo è stato subordinato all’accoglimento del ricorso principale.  
Non hanno svolto difese gli intimati L.G. ed C. A., dovendosi per quest’ultimo rilevare che lo stesso, pure essendo indicato come resistente nel controricorso della Società Italiana Assicurazioni spa, non ha rilasciato in detto controricorso al difensore Avvocato E. C., che, peraltro, ha autenticato la sola sottoscrizione del legale rappresentante della società.  
Le parti hanno presentato memorie.  

                                                                         MOTIVI DELLA DECISIONE  

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).  
Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2054, 2043, 2727 e 2729 c.c. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della sentenza relativo all’affermazione della responsabilità concorrente della vittima F.M. – i ricorrenti principali criticano la decisione di secondo grado nella parte in cui i giudici dell’appello hanno ritenuto di potere affermare la responsabilità concorrente della vittima in base alla presunzione di cui al secondo comma dell’art. 2054 c.c. pure a fronte dell’accertamento in concreto di gravissime responsabilità a carico di L.G. ed C.A. e della specifica modalità del sinistro consistente nel tamponamento e nella mancata dimostrazione che esso si fosse verificato perchè la vittima avrebbe frenato all’improvviso per eseguire repentinamente la manovra di svolta.  
Con il secondo motivo – deducendo l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia – i ricorrenti principali si dolgono del fatto che il giudice di secondo grado ha escluso la responsabilità concorrente di C.A. per mancanza del nesso causale tra il decesso della vittima e l’impatto dell’autovettura dalla stessa guidata con l’automezzo condotto dal C. sopraggiungente in senso inverso.  
Con il terzo motivo – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c. nonchè l’illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – i ricorrenti principali lamentano che dal danno risarcibile ai congiunti il giudice del merito aveva escluso quello relativo al fatto che erano venute meno le attività domestiche svolte dalla vittima in seno alla famiglia e sostengono che le argomentazioni al riguardo adottate dalla Corte territoriale non sarebbero coerenti ai principi affermati dal giudice di legittimità secondo cui i danni suddetti vanno ravvisati nella perdita o nella diminuzione di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che il soggetto venuto meno prematuramente avrebbe apportato.  
Con il quarto mezzo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2059, 2056, 1223 e 1226 c.c. nonchè l’illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – i ricorrenti principali assumono che il danno morale sarebbe stato liquidato in maniera insufficiente in base al semplice riferimento al dato tabellare, senza procedere alla necessaria valutazione personalizzata delle medesime e senza apprezzare in modo adeguato le effettive sofferenze patite dai danneggiati in misura particolarmente intensa, secondo quello che aveva evidenziato la relazione di consulenza tecnica d’ufficio, ed aggiungono che le tabelle applicate, riferite all’anno 1999, erano state variate a far tempo dal 1 gennaio 2000, onde la Corte felsinea avrebbe dovuto o devalutare le tabelle dell’anno 2000 alla data della sentenza di primo grado del 20 ottobre 1999 ovvero rivalutare, alla stessa data, le tabelle dell’anno 1999.  
Con il quinto mezzo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 92 c.p.c. nonchè l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia – i ricorrenti principali denunciano che la Corte del merito avrebbe dovuto compensare le spese del giudizio nel rapporto tra essi attori in giudizio ed il convenuto C.A..  
Con il primo motivo del ricorso incidentale (R.G.N. 29128/2003) la società Riunione Adriatica di Sicurtà spa – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2043 e 2054 c.c. nonchè l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia – essa pure lamenta che il giudice di secondo grado ha escluso la responsabilità concorrente di C. A. per mancanza del nesso causale tra il decesso della vittima e l’impatto dell’autovettura dalla stessa guidata con l’automezzo condotto dal C. sopraggiungente in senso inverso e sostiene che, contrariamente a quello che aveva affermato il giudice del merito, il C. avrebbe avuto tutto il tempo per arrestarsi ed evitare l’impatto con l’autovettura, non avrebbe fatto tutto il possibile per evitare lo scontro ed avrebbe contribuito eziologicamente all’evento di danno del decesso della vittima.  
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la società Riunione Adriatica di Sicurtà spa – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 112 e 336 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – denuncia che il giudice di secondo grado aveva omesso di provvedere sulla sua domanda di restituzione di restituzione della differenza tra quanto essa aveva corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado e quanto era stato liquidato in appello.  
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, la società Riunione Adriatica di Sicurtà spa – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1124 e 1917 c.c. nonchè l’omessa pronuncia, in riferimento all’art. 112 c.p.c., su un punto decisivo della causa – denuncia che il giudice d’appello non aveva pronunciato in ordine alla sua espressa richiesta di riduzione, nei limiti del massimale di polizza, del danno liquidato a suo carico.  
Con il primo motivo del ricorso incidentale (R.G.N. 28864/2003) la Società Italiana Assicurazioni spa denuncia l’omessa pronuncia del giudice dell’appello sulla sua istanza di restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza del tribunale.  
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il cui esame la Società Italiana Assicurazioni spa ha subordinato all’accoglimento dell’impugnazione per cassazione proposta nei suoi confronti e di C.A., la stessa ricorrente incidentale denuncia il vizio di motivazione della sentenza relativamente alla valutazione del danno economico.  
Il secondo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale (R.G.N. 29128/2003) della società Riunione Adriatica di Sicurtà spa (che vanno esaminati preliminarmente e congiuntamente, in quanto riflettono la medesima censura relativa all’esclusione della responsabilità di C.A. e della sua compagnia di assicurazione r.c.a.) non possono essere accolti.  
Al di là del riferimento al vizio di violazione di legge – insussistente perchè non è errata in diritto l’affermazione che l’esclusione del nesso di causalità tra la condotta e l’evento di danno esclude la responsabilità dell’agente (art. 2043 c.c.) – la comune censura, che concerne sostanzialmente il solo vizio di motivazione, sotto tale profilo è inammissibile, giacchè essa, sul punto relativo all’accertamento del giudice del merito secondo cui l’impatto tra l’autoarticolato condotto da C.A. ed il decesso della vittima non sussiste rapporto di diretta causalità, non evidenzia vizi logici nè interne contraddittorietà, ma sollecita in questa sede di legittimità il riesame delle risultanze istruttorie al fine di farne derivare una conclusione diversa da quella cui è pervenuto il giudice del merito con motivazione non illogica nè intrinsecamente contraddittoria, basata com’è sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio circa l’inevitabilità dello scontro quand’anche il conducente avesse proceduto a velocità inferiore di quindi chilometri a quella tenuta e circa e l’efficienza causale esclusiva dell’avvenuto pregresso tamponamento a cagionare il decesso della vittima data la violenza dello scontro “di portata devastante” (pagg. 30 – 33 dell’impugnata sentenza).  
Costituisce, infatti, principio del tutto pacifico che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).  
Nel rigetto della censura di cui ai due suddetti motivi resta assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato della Società Italiana Assicurazioni spa.  
Sempre in tema di ricostruzione delle modalità del sinistro e ripartizione del grado di colpa tra i soggetti coinvolti nello scontro dei veicoli, deve, invece, essere accolto il primo motivo dell’impugnazione principale, con il quale i ricorrenti denunciano il vizio di violazione di norme e di difetto di motivazione circa il ritenuto concorso della vittima in ragione del 10% nella verificazione del sinistro.  
Il giudice del merito (pagg. 33 – 34 dell’impugnata sentenza) al riguardo ha stabilito che il primo impatto tra l’autovettura ed il mezzo ben più pesante condotto da L.G. consistette in un violento tamponamento; che non avevano trovato conferma le affermazioni dei convenuti in giudizio circa una irregolare condotta di colpa della vittima; che in tale situazione la responsabilità della vittima nella misura del 10% era da confermare “nell’ambito della responsabilità presunta riconosciuta dal giudice di primo grado”.  
La suddetta decisione si pone in deciso contrasto con il principio di diritto, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 3282/2006; Cass., n. 11444/98; Cass., n. 8917/95; Cass., n. 5672/90; Cass., n. 3343/90), secondo cui per il disposto dell’art. 149 C.d.S., comma 1, (T.U. del D.L. 30 aprile 1992, n. 285), allo stesso modo di quanto stabiliva l’art. 107 C.d.S. previgente, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l’avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, egli resta gravato dall’onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell’automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili.  
Non può essere accolto, invece, il terzo motivo dell’impugnazione principale, con cui i ricorrenti – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2056, 1223 e 1226 c.c. nonchè l’illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – sostengono che dal danno risarcibile ai congiunti il giudice del merito non avrebbe dovuto escludere il pregiudizio patrimoniale derivato ai congiunti dal fatto che erano venute meno le attività domestiche svolte dalla vittima in seno alla famiglia.  
Anche per tale censura si tratta, piuttosto che di violazione di legge, di preteso vizio di motivazione, giacchè la Corte territoriale (pagg. 36 – 37 della sentenza d’appello) non ha negato in tesi la risarcibilità del danno patrimoniale derivante dal venir meno dell’attività domestica della donna nell’ambito della famiglia, ma ha evidenziato, piuttosto, che nel caso concreto un danno siffatto non era ravvisabile.  
In proposito, il giudice di merito ha ritenuto che la vittima godeva con il marito di un reddito medio alto, che le consentiva di evitare i lavori domestici avvalendosi di collaborazione domestica, onde, riconosciuto ai superstiti il danno connesso al mancato introito del reddito della vittima, tale risarcimento veniva a coprire le spese di una collaborazione domestica.  
Ha precisato, inoltre, lo stesso giudice che, quanto alla attività della vittima di direzione, gestione e programmazione della vita familiare, detta attività non integrava le funzioni specifiche connesse allo status di moglie e madre, cui altri in assenza della vittima non avrebbero potuto provvedere, sicchè sotto tale profilo la fungibilità delle predette mansioni escludeva l’ipotizzabilità di un danno patrimoniale.  
Entrambe le argomentazioni sono logiche e pertinenti, per cui anche la censura del terzo motivo si sostanzia in una mera quaestio facti, inammissibile nel giudizio di legittimità.  
In ordine al quarto motivo dell’impugnazione principale, relativo a pretesa insoddisfacente liquidazione del danno morale perchè essa sarebbe stata effettuata con riferimento al dato tabellare, senza la necessaria valutazione personalizzata e senza che fossero state apprezzate adeguatamente le effettive sofferenze patite dai danneggiati, osserva questa Corte che trattasi di doglianza infondata.  
L’indirizzo pacifico della giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 11039/2006; Cass., n. 14645/2003; Cass., n. 484/2003) è nel senso che la liquidazione equitativa del danno morale può essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base di criteri standardizzati e predeterminati, assumendo come parametro il valore medio per punto calcolato sulla media dei precedenti in virtù delle cd. “tabelle” presso l’ufficio giudiziario, purchè il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi “personalizzato”, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, ciò ad evitare che possa giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie.  
Orbene, nella specie, il calcolo in base alle tabelle in uso presso il tribunale di Bologna è stato opportunamente contemperato con la valutazione, in concreto, del dato personale, poichè, anche se in motivazione concisa (pagg. 38 – 39 dell’impugnata sentenza), la Corte territoriale ha esposto le ragioni per le quali non potevano essere applicati i suddetti parametri nel massimo, considerata la reale entità della sofferenza patita dai familiari, secondo le risultanze delle certificazioni mediche agli atti.   
La censura, perciò, mira anch’essa non ad evidenziare cadute motivazionali, ma a richieder a questo giudice l’inammissibile riesame delle fonti di prova.  
Nell’accoglimento del primo motivo dell’impugnazione principale resta assorbito l’esame del quinto mezzo di doglianza, relativo alla condanna alle spese, in virtù del principio della soccombenza, dei ricorrenti principali a favore di C.A. e della sua compagnia di assicurazione, poichè la questione potrà essere riesaminata in sede di rinvio con effetti eventualmente favorevoli per i ricorrenti per il caso di diversa decisione sul concorso di colpa della vittima.  
Debbono essere accolti anche il secondo motivo del ricorso incidentale, la società Riunione Adriatica di Sicurtà spa ed il primo motivo del ricorso incidentale della Società Italiana Assicurazioni spa, con i quali le due società denunciano l’omessa pronuncia del giudice dell’appello sulla rispettive istanze di restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza del tribunale, domande ritualmente avanzate al giudice d’appello ed alle quali la Corte territoriale non ha dato risposta.  
Resta, invece, assorbito anche il terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale la società Riunione Adriatica di Sicurtà spa – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1124 e 1917 c.c. nonchè l’omessa pronuncia, in riferimento all’art. 112 c.p.c., su un punto decisivo della causa – denuncia che il giudice d’appello non aveva pronunciato in ordine alla sua espressa richiesta di riduzione, nei limiti del massimale di polizza, del danno liquidato a suo carico.  
Detta pronuncia, infatti, suppone, infatti, che si accerti prima l’entità dei danni da liquidare dopo la risoluzione della questione in ordine al concorso di colpa della vittima per procedere poi alla valutazione della corrispondenza o meno del relativo importo al massimale di polizza.  L’impugnata sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio per nuovo esame alla medesima Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, che dovrà provvedere in ordine alle due istanze di restituzione delle due società di assicurazione nonchè in ordine alla questione relativa al concorso di colpa della vittima, per la decisione della quale si atterrà al seguente principio di diritto:  “Per il disposto dell’art. 149 C.d.S., comma 1, (T.U. del D.L. 30 aprile 1992, n. 285) il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l’avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, egli resta gravato dall’onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell’automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili”.  
Al giudice di rinvio è rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di Cassazione (art. 385 cod. proc. civ., comma 3).  

                                                                                      P.Q.M.  

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale RGN 24844/03, ne rigetta il secondo, il terzo ed il quarto e dichiara assorbito il quinto motivo; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale RGN…/03 della società Riunione Adriatica di Sicurtà spa, ne rigetta il primo motivo e dichiara assorbito il terzo motivo; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale RGN …/03 della Società Italiana Assicurazioni spa e ne dichiara assorbito il secondo; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Potrebbero interessarti anche...