Corte di Cassazione n° 19366 – clausole vessatorie contratto – clausole di indicizzazione in aumento del prezzo – 18.09.07. –

«La disposizione della norma di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. non si applica quando, le parti abbiano stipulato clausole di indicizzazione in aumento del prezzo del bene o del servizio, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte». «…. l’incremento eccessivo e non giustificato del prezzo rispetto a quello iniziale in quanto non suppone necessariamente che, nell’economia complessiva del rapporto, ne risulti necessariamente alterato l’aspetto funzionale della adeguatezza delle rispettive prestazioni non incide sulla causa del contratto e non determina lo squilibrio tra le rispettive prestazioni, ma assume la diversa qualificazione di presupposto di legittimazione dell’azione di recesso, per cui gli aumenti del prezzo, autorizzati ad iniziativa unilaterale del professionista, possono essere praticati ad libitum sino alla soglia dell’eccesso, la quale, se non è stata definita in anticipo dalle parti, deve essere verificata dal giudice in sede di contestazione dell’efficacia della clausola».    

                                                                         Corte di Cassazione   

                                                               – Sezione terza civile – n. 19366

Presidente Fiduccia – Relatore Trifone Pm Golia – parzialmente conforme – Ricorrente B. Gas Spa – Controricorrente Di F.   

                                            
                                                                      Svolgimento del processo 
 

Con citazione innanzi al Giudice di Pace di Agropoli del 7 giugno 2001 Germano Di F. che aveva stipulato con la società B. Gas spa un contratto di somministrazione di gas ad uso domestico, conveniva in giudizio la società medesima, per ottenerne la condanna alla restituzione della somma di lire 5.000.000, che assumeva essere stata indebitamente percepita a seguito della, unilaterale variazione del prezzo unitario di fornitura in attuazione della clausola n. 8 del contratto, che doveva essere considerata vessatoria e, perciò, inefficace nei confronti del consumatore ai sensi dell’art. 1469 bis n. 13 c.c., perché concedeva alla società di variare il prezzo e non prevedeva la corrispondente facoltà di recesso unilaterale dell’utente dal contratto. 
 
In via subordinata alla ritenuta validità della clausola, l’attore reclamava il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento della società convenuta, che non gli avrebbe dato tempestiva comunicazione della variazione del prezzo del gas.  
Il Giudice di Pace rigettava la domanda principale.  
Sull’impugnazione di Germano Di F. provvedeva il tribunale di Vallo della Lucania in formazione monocratica con la sentenza pubblicata il giorno 23 maggio 2003, che, in accoglimento del gravame, dichiarava vessatoria ed inefficace la clausola contrattuale e condannava la società a pagare la somma di euro 2.582,28 e le spese del doppio grado del giudizio.  
Il giudice dell’appello, ai fini che ancora interessano, rilevava che era applicabile nella specie la disposizione di cui all’art. 1469 bis n. 13 c.c., la quale considera vessatoria la clausola che consente al professionista di aumentare unilateralmente il prezzo del bene fornito senza che il consumatore possa recedere dal contratto qualora il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente pattuito.  
Riteneva che le clausole indicate nei numeri da 1 a 20 dell’art. 1469 bis c.c. si presumono vessatorie fino a prova contraria, per cui la vessatorietà delle stesse sfugge alla valutazione di merito attribuita al giudice ai sensi dell’art. 1469 ter stesso codice.  
Aggiungeva che la società B. Gas spa, cui incombeva l’onere di fornire la prova contraria alla presunzione di legge, avesse implicitamente riconosciuto la vessatorietà della clausola stessa per il fatto di avere inviato all’attore, nel corso del giudizio di primo grado, una lettera integrativa del contratto di somministrazione in data 19 ottobre 2001, con la quale dava atto che l’utente poteva recedere dal contratto in caso di variazione del prezzo del gas e gli riconosceva il diritto di pagare il prezzo stabilito in precedenza.  
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società B. Gas spa., che ha affidato l’accoglimento dell’impugnazione a tre motivi.  
Ha resistito con controricorso Germano Di F. , il quale ha proposto ricorso incidentale condizionato sulla scorta di un unico motivo.  
Le parti hanno presentato memoria.  

                                                                             Motivi della decisione  

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).
Con il primo motivo d’impugnazione deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. nonché l’omessa o insufficiente motivazione si un punto decisivo della controversia la società ricorrente principale critica la statuizione della sentenza di secondo grado nella parte in cui il tribunale ha ritenuto vessatoria la clausola n. 8 del contratto di somministrazione, con la quale le parti, senza riconoscere il diritto del consumatore di recedere in tali casi dal contratto, stabilivano che il prezzo del carburante somministrato, già fissato in conformità alle norme previste dai provvedimenti di legge in materia, poteva essere variato in qualsiasi momento a seguito di eventuali modifiche del prezzo nazionale e della misura degli oneri fiscali.  
Assume, in particolare, la società ricorrente che il valore precettivo dell’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. non consiste nella semplice previsione della possibilità di recesso del consumatore dal contratto per ogni ipotesi di aumento del prezzo del bene somministrato, ma nel riconoscere la facoltà di recesso solo nella diversa ipotesi in cui il prezzo finale dovesse risultare eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente fissato.
Sostiene, quindi, che il giudice del merito non avrebbe fatto buon governo della legge nell’affermare la natura vessatoria della clausola contrattuale in base alla sola omessa previsione del diritto di recesso del consumatore, prescindendo dalla obbligatoria indagine circa il necessario collegamento del recesso alla situazione di sussistenza dell’eccessività del nuovo prezzo unitario del bene fornito rispetto alla originaria sua misura convenzionale.  

La censura è fondata.  
La clausola contrattuale, della cui vessatorietà si discute, dispone, secondo il tenore letterale riportato nel ricorso principale, che “il prezzo del g.p.l. somministrato è quello stabilito secondo le norme previste dai provvedimenti di legge in materia e potrà essere variato in qualsiasi momento a seguito di eventuali modifiche del prezzo nazionale del g.p.l. e/o variazioni degli oneri fiscali”.
La clausola aggiunge che “in mancanza di una normativa nazionale il prezzo sarà quello risultante dai listini di vendita della B. Gas spa per g.p.l. in piccoli serbatoi” ed indica in lire 627 + IVA a litro il prezzo della somministrazione al momento della conclusione del contratto. 
 
La tesi esposta nella sentenza impugnata è quella che la suddetta clausola, in quanto consente al professionista di aumentare unilateralmente il prezzo del g.p.l. senza accompagnare, a tale previsione, quella di consentire al consumatore di recedere dal contratto una volta conosciuto l’aumento, è una clausola vessatoria in virtù della presunzione fissata dal terzo comma dell’art. 1469 bis cod. civ., sicché dalla sua inefficacia (art. 1469 quinquies) sarebbero derivati l’illegittimità di tutti gli aumenti di prezzo praticati dalla società e il conseguente diritto del consumatore di ottenerne la restituzione ai sensi dell’art. 2033 stesso codice.  
Le parti discutono circa la corretta esegesi della norma dell’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. e le contrastanti due opzioni interpretative riflettono, sostanzialmente, la questione se la qualificazione come vessatoria della clausola, ai sensi della predetta norma, richieda l’accertamento in concreto dell’eccessività del nuovo prezzo praticato rispetto a quello originariamente stipulato ovvero se da detto accertamento si debba prescindere, dato che l’elemento della sproporzione tra prezzo iniziale e prezzo finale attiene non alla qualificazione suddetta, ma alla verifica di legittimità del recesso, eventualmente esercitato dal consumatore in virtù della supposta intervenuta sperequazione.  
La seconda tesi è quella cui si è riportato anche il P.M. nelle sue conclusioni all’odierna udienza.  
La questione cosi prospettata la quale costituisce uno dei vari problemi di interpretazione e di coordinamento della norma rispetto ad altre disposizioni in tema di contratti del consumatore comporta la preliminare definizione dell’ambito di applicazione della norma.  
A tal fine, dato che, come è stato già evidenziato dalla dottrina, la tipologia delle clausole presumibilmente vessatorie di cui al n. 13 dei terzo comma dell’art. 1469 bis cod. civ. comprende sia quelle che hanno ad oggetto specificamente l’aumento del prezzo, sia quelle predisposte in modo da sortire l’effetto dell’incremento del corrispettivo, il valore essenziale della norma si articola, tra l’altro, nelle specificazioni seguenti: a) essa si applica, anzitutto, qualora le parti abbiano previsto in contratto aumenti del prezzo del bene o del servizio disposti ad unilaterale iniziativa del professionista, a tanto autorizzato per patto espresso; b) la interpretazione della norma deve tener conto della diversa disposizione di cui al n. 11 della medesima norma, che consentendo al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto (e quindi anche di modificare in aumento il prezzo del bene o del servizio) in dipendenza di una giusta causa o di un giustificato senza che in tal caso l’efficacia della norma debba necessariamente essere subordinata alla previsione del diritto di recesso del consumatore per tale suo profilo significa che l’ius variandi realizza un interesse del professionista, anch’esso tutelato dall’ordinamento, cui si collega la corrispondente tutela del consumatore assicurata dagli altri rimedi generali di natura codicistica, quali ad esempio la risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467 cod. civ.); c) la disposizione del n. 13 della norma non si applica quando, secondo la previsione di cui al settimo comma dell’art. 1469 bis cod. civ., le parti abbiano, al riguardo, introdotto nel contratto clausole di indicizzazione del prezzo, a condizione che le modalità di variazione siano state espressamente descritte. In tale generale contesto, considera questa Corte, anzitutto, che l’applicazione della norma dell’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13 cod. civ. resta esclusa qualora le parti abbiano previsto che il professionista possa variare in aumento il prezzo del bene o del servizio ovvero quando la variazione suddetta sia stata collegata dalle parti a clausole di indicizzazione secondo le modalità indicate.  Sul piano dogmatico e ricostruttivo, poi, occorre precisare che, in caso di operatività della norma dell’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13 cod. civ., il legislatore ha assegnato all’incremento eccessivo e non giustificato del prezzo non la valenza di elemento che incide sulla causa del contratto e che determina lo squilibrio, tra le rispettive prestazioni (l’aumento oggettivamente eccessivo rispetto al prezzo iniziale non suppone necessariamente che, nell’economia complessiva del rapporto, ne risulti necessariamente alterato l’aspetto funzionale della adeguatezza delle rispettive prestazioni), ma l’incremento in tale misura va considerato quale presupposto di legittimazione all’esercizio della facoltà di recesso del consumatore, per cui la norma predetta significa che gli aumenti del prezzo possono essere praticati ad libitum del professionista sino alla soglia dell’eccesso, la quale, se non è stata definita in anticipo dalle parti, deve essere verificata dal giudice in sede di contestazione dell’efficacia della clausola.
Una diversa interpretazione, che si limitasse a stabilire (siccome si è verificato nel caso di specie) che la mancata previsione del diritto di recesso del consumatore in caso di consentito unilaterale aumento del prezzo ad iniziativa del professionista comporta per ciò solo la vessatorietà della relativa clausola, sarebbe, invero, contraria alla lettera della norma e ne contrasterebbe la ratio innanzi precisata. 
 
Il Tribunale di Vallo della Lucania non ha fatto corretto uso della norma, avendone ritenuto l’applicabilità indipendentemente dalla verifica di sussistenza sia dell’ipotesi di esclusione, prevista dal 70 comma dell’art. 1469 bis cod. civ., che dell’elemento dell’eccessività, rispetto a quello originario, del prezzo nuovo reclamato e versato alla società B. Gas spa dal resistente Ger mano Di F. .  
L’impugnata sentenza deve, perciò, essere cassata con rinvio al Tribunale di Potenza, che, nel nuovo esame della controversia e nell’interpretazione della clausola pattizia di cui al n. 8 del contratto di somministrazione, dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto: «La disposizione della norma di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. non si applica quando, secondo la previsione di cui al settimo comma del medesimo articolo, le parti abbiano stipulato clausole di indicizzazione in aumento del prezzo del bene o del servizio, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte».  
«In tema di applicabilità della norma di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13, cod. civ., l’incremento eccessivo e non giustificato del prezzo rispetto a quello iniziale in quanto non suppone necessariamente che, nell’economia complessiva del rapporto, ne risulti necessariamente alterato l’aspetto funzionale della adeguatezza delle rispettive prestazioni non incide sulla causa del contratto e non determina lo squilibrio tra le rispettive prestazioni, ma assume la diversa qualificazione di presupposto di legittimazione dell’azione di recesso, per cui gli aumenti del prezzo, autorizzati ad iniziativa unilaterale del professionista, possono essere praticati ad libitum sino alla soglia dell’eccesso, la quale, se non è stata definita in anticipo dalle parti, deve essere verificata dal giudice in sede di contestazione dell’efficacia della clausola».  
Al giudice di rinvio è rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di cassazione (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).  
L’accoglimento del suddetto motivo dell’impugnazione principale assorbe l’esame degli altri due mezzi di doglianza della società ricorrente, la quale aveva prospettato, in via logicamente subordinata al mancato accoglimento della prima censura, sia la violazione delle norme di cui agli art. 1469 bis terzo comma, e 1469 ter, primo comma, cod. civ. ed il vizio di motivazione sul punto (criticando la statuizione del giudice d’appello secondo cui sarebbe preclusa ogni indagine di merito relativa all’accertamento in concreto della vessatorietà di una clausola quando essa rientri nel catalogo della cd. lista grigia dell’art. 1469 bis cod. civ.); sia la violazione delle norme di cui agli art. 14181424 e 1469 quinquies cod. civ. (criticando l’affermazione del giudice d’appello secondo cui essa società avrebbe implicitamente riconosciuto la vessatorietà della clausola contrattuale in questione).  
Con l’unico motivo dell’impugnazione condizionata deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 1362 e ss., 1453 e ss., 1469 bis e ss. c.c. nonché l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia Germano Di F. , premesso che la sua domanda subordinata di risoluzione del contratto per inadempimento della società B. Gas spa non era stata esaminata dal giudice del merito, che ne aveva logicamente accolto l’altra proposta in via principale, chiede che questa Corte, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in accoglimento del ricorso incidentale, voglia condannare la società medesima al rimborso della somma reclamata, con interessi e rivalutazione, vinte le spese dell’intero giudizio.  
Il ricorso incidentale è inammissibile.  
Sulla questione, che il ricorrente incidentale propone con l’impugnazione in questa sede, il giudice di secondo non aveva deciso in senso sfavorevole alla parte vittoriosa in appello, avendola ritenuta assorbita, sicché essa ben potrà essere riproposta al giudice del rinvio.  
Costituisce, infatti, principio pacifico nella giu­risprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 14382/2003; Cass., n. 1084872006; Cass., n. 12153/2006; Cass., n. 7103/98) che nel giudizio di cassazione è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso incidentale condizionato, allorché esso proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che tali questioni riprendono efficacia e vigore con la cassazione della sentenza di merito e possono essere riproposte dinanzi al giudice di rinvio.  

                                                                                       PQM  

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale e ne dichiara assorbiti gli altri due; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Potenza

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