Corte di Cassazione n° 15884/2010 – insidia stradale – appello – produzione di nuovi documenti – 06.07.2010 –

è regola di diritto, ormai pacifica a seguito della pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 8203/2005, quella secondo cui nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. va interpretato nel senso che esso fissa, sul piano generale, il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – a meno che la loro formazione non sia successiva; la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo; le parti abbiano dimostrato di non averli potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile; il giudice li abbia ritenuti indispensabili per la decisione”.                

                                                         CORTE DI CASSAZIONE 

                                                         TERZA SEZIONE CIVILE

                                              SENTENZA N° 15884 DEL  6 luglio 2010

 

(Pres. – Rel. Trifone)     

                                                     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO   

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza quivi denunciata, così provvedeva sul gravame avverso la decisione di primo grado del tribunale della stessa città: – confermava la condanna del Comune di omissis a risarcire i danni derivanti dalle lesioni che aveva subito C. G., la quale, trasportata a bordo di un motociclo (di proprietà di M. C., guidato da V. C. ed assicurato r.c.a. con la Tirrena Assicurazioni spa) rovinava a causa dell’impatto del mezzo con un tombino fuoriuscente dal piano della strada, posto alla fine di una rampa rialzata alla destra della carreggiata e sostanzialmente coperto alla vista; – rigettava la domanda di manleva proposta nei confronti dell’impresa individuale di M. D. C., cui il Comune assumeva di avere affidato la manutenzione della strada; – escludeva la responsabilità degli altri convenuti in causa (proprietario, guidatore ed assicuratore del motoveicolo), dei quali, in via subordinata, la infortunata aveva chiesto la condanna in solido con domanda ex art. 18 della legge n. 990 del 1969; – dichiarava inammissibili gli appelli incidentali proposti da M. e V. C. e dalla Tirrena Assicurazioni spa. 
I giudici dell’appello consideravano che il tombino fuoriuscente (che successivamente il Comune aveva provveduto a pareggiare al livello del piano stradale) non poteva essere scorto da chi percorreva quel tratto di strada, che il motoveicolo procedeva a velocità moderata;
che la conducente aveva perso il controllo del mezzo a seguito dell’impatto con il suddetto ostacolo;
che la presenza a bordo del mezzo di due persone non aveva avuto alcuna incidenza causale in ordine al sinistro. Ritenevano, inoltre, non provato l’affidamento della manutenzione della strada all’impresa di M. C., essendo stata prodotta soltanto in appello la prova documentale del relativo negozio pattizio. 
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso principale il Comune di omissis, che ha affidato l’impugnazione a due mezzi di doglianza. Hanno resistito con controricorso C. G., M. D. C. e V. C.. M. D. C. e V. C. hanno proposto impugnazione incidentale condizionata ed hanno anche presentato memoria. 
Non ha svolto difese in questa sede M. C., che non risulta avere conferito mandato al difensore Avvocato E. M., che tuttavia lo indica come tale nella memoria presentata per conto di V. C..   

                                                       MOTIVI DELLA DECISIONE   

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.). 
Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2043 e 2051 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. nonché la erronea valutazione delle prove circa la fondatezza della domanda ed il riconoscimento della responsabilità di esso ricorrente – il Comune di omissis critica la sentenza di secondo grado nelle parti in cui il giudice del merito: – malamente interpretando la deposizione del teste C. (il quale aveva dichiarato che il tombino “si notava soltanto se si prestava attenzione”), aveva ritenuto, invece, che esso non poteva essere scorto da che percorreva la strada; – non aveva attribuito rilevanza causale al fatto che la caduta dal motoveicolo poteva anche essere attribuita alla perdita di equilibrio del guidatore per la presenza sul mezzo di altra persona. 
La censura non può essere accolta. 
Anzitutto, nel caso di specie il giudice del merito ha fatto certamente buon governo della legge ravvisando nel descritto ostacolo sulla strada, non visibile e non facilmente evitabile da chi la percorreva, la tipica fattispecie della situazione di pericolo occulto, che ricorre, in particolare, quando lo stato dei luoghi è caratterizzato dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità soggettiva del pericolo medesimo. 
Quanto, poi, al preteso vizio di motivazione sulla sussistenza del requisito della non visibilità e sulla rilevanza causale della condotta colpevole del guidatore, è appena il caso di ribadire, secondo il pacifico indirizza di questa Corte, che costituisce principio del tutto pacifico che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). 
Ne consegue che il vizio di motivazione può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. 
Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon uso anche della logica, non solo laddove, considerata la deposizione resa ed il collocamento del tombino alla fine di una rampa rialzata, ne ha dedotto la normale sua non visibilità; ma anche nel considerare che la ridotta velocità del mezzo, segno della prudente condotta di guida, faceva presumere anche che non vi fosse stata la ipotizzata perdita di equilibrio del guidatore. 
Con il secondo mezzo – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 184 e 345 cod. proc. civ. – il Comune ricorrente sostiene che, essendo ammissibile in appello la produzione di prove precostituite, quale quella in oggetto del contratto di manutenzione della strada con l’impresa D. C., il giudice del merito avrebbe dovuto accogliere la sua domanda di manleva. 
Anche detta censura non è fondata, poiché il giudice di secondo grado si è attenuta alla regola di diritto, ormai pacifica a seguito della pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 8203/2005, secondo cui nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. va interpretato nel senso che esso fissa, sul piano generale, il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – a meno che la loro formazione non sia successiva; la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo; le parti abbiano dimostrato di non averli potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile; il giudice li abbia ritenuti indispensabili per la decisione. 
Il ricorso principale, pertanto, è rigettato. 
L’esame dei ricorsi incidentali, entrambi proposti subordinatamente all’accoglimento dell’impugnazione principale, resta, di conseguenza assorbito. 
La particolarità del caso deciso nel rapporto tra il Comune e V. C., in ordine al quale la sentenza di secondo grado aveva sostanzialmente dato atto dell’intervenuto giudicato, e la relativa novità della sentenza S. U. n. 8203/2005 di questa Corte al momento dell’introduzione del ricorso principale in questa sede, nel rapporto tra il ricorrente principale e l’impresa D. C., costituiscono giusti motivi per compensare interamente tra le suddette parti le spese del giudizio di legittimità. 
In virtù del principio della soccombenza, invece, il Comune di omissis è condannato a pagare a C. G. le spese di questo giudizio nella misura liquidata in dispositivo.   

                                                                       P.Q.M.   

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale  dichiara assorbiti i ricorsi incidentali condizionati; condanna il ricorrente principale Comune di omissis a pagare a C. G. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 2.000,00, di cui euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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