Corte Costituzionale n. 43 Ordinanza – Circolazione stradale – Reato di guida sotto l’influenza dell’alcool – 15.03.2013 –

Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Circolazione stradale – Reato di guida sotto l’influenza dell’alcool – Pene sostitutive – Possibilita’ per il giudice dell’esecuzione di sostituire le pene irrevocabilmente inflitte dell’arresto e dell’ammenda con il lavoro di pubblica utilita’ – Mancata previsione – Asserita ingiustificata e irragionevole disparita’ di trattamento – Asserita violazione del principio della finalita’ rieducativa della pena – Manifesta infondatezza della questione. – Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), art. 186, comma 9-bis, aggiunto dall’art. 33, comma 1, lettera d), della legge 29 luglio 2010, n. 120. – Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. (GU n.12 del 20

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente:Franco GALLO;

Giudici :Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe  TESAURO,  Paolo

  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo

  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio

  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,

ha pronunciato la seguente

 

                              ORDINANZA

 

    nel giudizio di legittimita’  costituzionale  dell’articolo  186,comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovocodice della strada), aggiunto dall’articolo 33, comma 1, lettera d),della legge 29 luglio  2010,  n.  120  (Disposizioni  in  materia  disicurezza stradale), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento nel procedimento penale a carico  di  N.G. con ordinanza dell’11 giugno 2012, iscritta al n.  193  del  registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2012.

    Visto l’atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013  il  Giudice relatore Giuseppe Frigo.

    Ritenuto che, con ordinanza dell’11 giugno 2012, il  Giudice  per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento ha  sollevato,  in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione, questione di legittimita’  costituzionale  dell’articolo  186,  comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285  (Nuovo  codice della strada), aggiunto dall’art. 33,  comma  1,  lettera  d),  della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in  materia  di  sicurezza stradale), nella parte in  cui  non  prevede  che  anche  il  giudice dell’esecuzione possa sostituire con il lavoro di  pubblica  utilita’ le pene dell’arresto e dell’ammenda inflitte per i reati previsti dal medesimo art. 186, fuori dei casi indicati dal comma 2-bis, quando il condannato ne  faccia  richiesta  prima  dell’inizio  dell’esecuzione della pena e il punto non abbia gia’ formato oggetto di  esame  e  di decisione da parte del giudice della cognizione;

    che il rimettente riferisce di essere  investito,  quale  giudice dell’esecuzione, dell’istanza proposta da una persona condannata, con decreto  penale  divenuto  irrevocabile   a   seguito   di   rinuncia all’opposizione, alla  pena  di  seimila  euro  di  ammenda  (di  cui cinquemila in sostituzione di venti giorni di arresto), per il  reato di guida sotto l’influenza dell’alcool (art. 186, commi 2, lettera b, e 2-sexies, cod. strada);

    che  il  condannato  ha  chiesto  che  la  pena  inflittagli  sia sostituita, ai sensi della  norma  censurata,  con  la  sanzione  del lavoro  di  pubblica  utilita’,  producendo   la   dichiarazione   di disponibilita’ e  il  programma  di  lavoro  dell’ente  che  dovrebbe beneficiare delle proprie prestazioni (indicato nella  Lega  italiana per la lotta contro l’Aids);

    che  l’istante  ha,  altresi’,  precisato  di  non  aver   potuto formulare la richiesta di sostituzione  nel  corso  del  giudizio  di cognizione, per difetto di positivi riscontri da  parte  degli  altri centri di assistenza e di volontariato all’epoca contattati;

    che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  l’istanza  non   sarebbe suscettibile  di   accoglimento,   dovendosi   escludere,   in   base all’univoco tenore letterale dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, che la sostituzione  richiesta  possa  essere  disposta  dal  giudice dell’esecuzione  in  un  momento  successivo  alla   formazione   del giudicato;

    che, per questo verso, la norma denunciata si  porrebbe  tuttavia in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;

    che il lavoro di pubblica utilita’  costituirebbe,  infatti,  una pena «meno afflittiva, piu’  socialmente  utile  ed  economica,  piu’ moralmente accettabile e soprattutto piu’ in linea  con  la  funzione rieducativa»  rispetto  alle   pene   tradizionali   dell’arresto   e dell’ammenda;

    che  la  norma  censurata  riconnette,   inoltre,   al   regolare svolgimento  dell’attivita’  lavorativa  gratuita  in  favore   della collettivita’ una serie di vantaggi (estinzione del reato,  riduzione a meta’ del  periodo  di  sospensione  della  patente,  revoca  della confisca del veicolo), atti a consentire un «piu’ rapido  ed  agevole reinserimento  dei  condannati   nella   normale   vita   sociale   e lavorativa»;

    che il lavoro sostitutivo e i  benefici  in  questione  sarebbero strettamente collegati alla  natura  dei  reati  cui  afferiscono  (i diversi  casi  di  guida  sotto  l’influenza  dell’alcool)   e   alla personalita’ dei loro autori;

    che la misura prevista dalla norma denunciata – al pari di quella analoga delineata dall’art. 187, comma 8-bis, cod. strada per i  casi di  guida  sotto   l’influsso   di   sostanze   stupefacenti   –   si differenzierebbe, dunque, nettamente sia dalle  sanzioni  sostitutive delle pene detentive brevi, previste dagli artt. 53 e seguenti  della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), tra  le quali non e’ compreso il lavoro di pubblica utilita’;

sia dalle altre ipotesi nelle quali e’ applicabile il lavoro  di  pubblica  utilita’, senza pero’ che vi si colleghino l’estinzione del reato e  gli  altri vantaggi dianzi ricordati (quali  quelle  contemplate  dall’art.  73, comma 5-bis, del decreto del Presidente della  Repubblica  9  ottobre 1990, n. 309, recante il «Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione, cura e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza»;

dall’art. 54 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»; dall’art. 224-bis cod.  strada e dall’art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, recante «Misure  urgenti  in  materia  di  discriminazione  razziale, etnica e religiosa», convertito, con modificazioni,  dalla  legge  25 giugno 1993, n. 205);

    che le considerazioni sulla cui base le norme ora indicate –  che pure limitano l’applicazione del lavoro  di  pubblica  utilita’  alla fase di cognizione – sono state ritenute costituzionalmente legittime non sarebbero, pertanto, estensibili alla  norma  oggi  sottoposta  a scrutinio;

    che, per altro verso, sebbene la norma permetta  la  sostituzione anche senza  la  richiesta  dell’imputato,  essendo  sufficiente  che questi non si opponga, sarebbe, di fatto, improbabile che il  giudice si attivi in tale direzione in assenza di una specifica richiesta;

    che per  «provvedere  in  modo  efficace»  il  giudice  dovrebbe, infatti, conoscere  l’ente  beneficiario  delle  prestazioni;  essere certo della sua disponibilita’ o dell’esistenza  di  una  convenzione tra esso e il Ministro della giustizia o il presidente del tribunale;

sapere dove l’attivita’ lavorativa sara’  svolta  e  la  sua  natura;

assicurarsi, infine,  del  fatto  che  l’imputato  sia  concretamente propenso ad effettuarla;

    che  potrebbe,  peraltro,  accadere  che  l’imputato  e  il   suo difensore non  chiedano  l’applicazione  della  pena  sostitutiva,  o perche’  non  consapevoli,  al  momento  del  giudizio,   della   sua convenienza (la legge non  prevede  un  obbligo  di  informazione  al riguardo da  parte  del  giudice),  ovvero  perche’  –  come  dedotto dall’interessato nel caso di specie – non riescano a trovare un  ente disposto a fruire della prestazione lavorativa gratuita;

    che, a propria volta, il giudice potrebbe – anche  alla  luce  di quanto  dianzi  osservato  –  non  verificare   di   sua   iniziativa l’opportunita’ di sostituire la pena da infliggere con il  lavoro  di pubblica utilita’;

    che, di conseguenza, la norma censurata, non  prevedendo  che  la sostituzione  possa  essere  disposta  anche   in   fase   esecutiva, sottoporrebbe  casi  sostanzialmente   simili   ad   un   trattamento sanzionatorio   irragionevolmente   differenziato,   frustrando    la finalita’  rieducativa  della  pena  cui  e’  ispirata  la   speciale disciplina della quale si discute;

    che  la  questione  di  legittimita’   costituzionale   andrebbe, peraltro, circoscritta ai casi in  cui  l’applicabilita’  del  lavoro sostitutivo non abbia gia’ formato oggetto di esame e di decisione da parte del giudice della cognizione:  in  caso  contrario,  l’imputato avrebbe avuto, infatti, l’onere di impugnare la  decisione  negativa, sicche’ consentire  la  riproposizione  della  richiesta  al  giudice dell’esecuzione contrasterebbe con il principio di intangibilita’ del giudicato;

    che e’ intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

    Considerato che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del Tribunale di Benevento dubita, in riferimento agli articoli 3  e  27, terzo comma, della Costituzione,  della  legittimita’  costituzionale dell’articolo 186, comma 9-bis, del d.lgs. 30  aprile  1992,  n.  285 (Nuovo codice della strada), aggiunto dall’art. 33, comma 1,  lettera d), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni  in  materia  di sicurezza stradale), nella parte in cui non consente anche al giudice dell’esecuzione di sostituire con il lavoro di pubblica  utilita’  le pene dell’arresto e dell’ammenda inflitte per i  reati  previsti  dal medesimo art. 186 (guida sotto l’influenza dell’alcool,  purche’  non ricorra la circostanza aggravante della causazione  di  un  incidente stradale, e rifiuto dell’accertamento di cui ai  commi  3,  4  e  5), qualora  il  condannato  ne  faccia   richiesta   prima   dell’inizio dell’esecuzione della pena e sul punto non si sia  gia’  espresso  il giudice della cognizione;

    che  la  premessa  interpretativa  che  fonda   il   quesito   di costituzionalita’ e’ pienamente condivisibile;

    che dal dato testuale emerge, in  effetti,  univocamente  che  la sostituzione puo’ essere disposta solo finche’ il decreto penale o la sentenza di condanna non siano divenuti irrevocabili e,  dunque,  non ad opera  del  giudice  dell’esecuzione:  come  nota  il  rimettente, infatti, la norma denunciata richiede, ai  fini  della  sostituzione, che non vi sia opposizione «da parte dell’imputato»  (non  anche  del «condannato») e stabilisce, inoltre,  che  il  giudice  demandi  agli organi competenti la verifica sull’effettivo svolgimento  del  lavoro di pubblica utilita’ «con il decreto penale o con la sentenza» (senza menzionare l’ordinanza del giudice dell’esecuzione);

    che non consta, d’altra  parte,  alcuna  specifica  norma  che  – analogamente a quanto disposto, ad esempio, dagli artt.  671,  672  e 674 cod. proc. pen. – consenta al giudice dell’esecuzione di incidere sul   giudicato   ai   fini   considerati,   sostituendo   una   pena irrevocabilmente inflitta con un’altra;

    che, cio’ posto, la preclusione ora indicata palesemente non lede alcuno dei parametri  costituzionali  invocati  dal  giudice  a  quo, risultando del tutto coerente, sul piano sistematico,  con  il  ruolo che il lavoro di pubblica  utilita’  e’  chiamato  nel  frangente  ad assolvere: quello, cioe’, di pena sostitutiva;

    che analogamente a quanto avviene  per  le  sanzioni  sostitutive previste dagli artt. 53 e seguenti della legge 24 novembre  1981,  n. 689, e per quella stessa del lavoro di pubblica utilita’, prevista in rapporto a taluni reati in  materia  di  stupefacenti  dall’art.  73, comma 5-bis, del  d.P.R.  9  ottobre  1990,  n.  309,  il  potere  di sostituzione  rientra  nel  piu’  generale  potere  discrezionale  di determinazione della  pena  in  concreto  per  il  fatto  oggetto  di giudizio, spettante al giudice che pronuncia il decreto penale  o  la sentenza di condanna;

    che,  come  risulta  dall’impiego  della  voce  verbale   «puo’», l’applicazione della pena sostitutiva in questione  non  costituisce, infatti,  oggetto  di  un  diritto  dell’imputato,  ma  e’   disposta discrezionalmente dal  giudice  sulla  base  di  una  valutazione  di meritevolezza che ha quali parametri i  criteri  enunciati  dall’art. 133 del codice penale –  cosi’  come,  del  resto,  e’  espressamente stabilito dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981 – oltre che  sulla base di una prognosi di positivo svolgimento del lavoro;

    che la situazione non muta, sotto il profilo considerato, per  il solo fatto che, nell’ipotesi oggetto  di  scrutinio,  il  legislatore abbia annesso particolari benefici  alla  regolare  esecuzione  della pena sostitutiva;

    che l’interesse dell’autore del reato ad essere ammesso al lavoro sostitutivo andra’, dunque, fatto valere e apprezzato nell’ambito del giudizio di cognizione, senza che possa  ravvisarsi  alcuna  esigenza costituzionale di estendere  il  relativo  potere  anche  al  giudice dell’esecuzione, oltre e contro il limite del giudicato (abbia o  non abbia il punto formato oggetto di specifico esame in sede cognitiva);

    che, nell’ipotesi in questione, non  ricorrono,  infatti,  quelle situazioni eccezionali che hanno indotto il legislatore a prefigurare possibili modifiche,  in  sede  esecutiva,  delle  determinazioni  in ordine alla pena irrevocabilmente adottate in sede cognitiva: com’e’, in specie, per la  prevista  applicabilita’,  da  parte  del  giudice dell’esecuzione, della disciplina del concorso formale  e  del  reato continuato  (art.  671  cod.  proc.  pen.),  finalizzata  ad  evitare irragionevoli sperequazioni fra chi e’ stato giudicato  in  un  unico processo per i reati in concorso formale o in continuazione e chi  e’ stato invece giudicato in processi distinti;

    che non e’ probante, in senso contrario, l’argomento, svolto  dal rimettente a sostegno della denunciata violazione dell’art. 3  Cost., in base al quale la mancata applicazione della misura sostitutiva  in sede di cognizione potrebbe essere dipesa da ragioni  contingenti,  e segnatamente  dal  fatto  che  l’imputato  non  abbia  richiesto   la sostituzione nel corso del giudizio in quanto allora non  consapevole della sua convenienza, o per non essere riuscito a reperire, in  quel momento, un ente disposto  ad  avvalersi  della  propria  prestazione lavorativa (cosi’ come sostenuto dal condannato nel caso oggetto  del procedimento principale);

    che, a prescindere da ogni altra  possibile  obiezione  –  e,  in particolare, da quella che il riferimento  all’eventuale  carenza  di consapevolezza circa la convenienza  della  sostituzione  equivale  a negazione della funzione della  difesa  tecnica  –  e’  dirimente  il rilievo che le deduzioni del giudice a quo non risultano coerenti con il regime normativo della sostituzione;

    che, come lo stesso rimettente riconosce, il lavoro  di  pubblica utilita’  previsto  dalla  norma  censurata  puo’  essere,   infatti, applicato anche d’ufficio dal giudice, indipendentemente da qualunque richiesta  dell’imputato:  condizione  necessaria  e  sufficiente  e’ soltanto che quest’ultimo non manifesti la propria opposizione;

    che, correlativamente, in base al prevalente  orientamento  della giurisprudenza di legittimita’, nel caso in cui l’imputato non si sia opposto o abbia formulato espressa istanza di sostituzione, la  legge non gli impone alcun  onere  di  individuazione  delle  modalita’  di esecuzione   della   misura,   trattandosi   di   compito   demandato istituzionalmente al giudice;

    che, in particolare, la legge non richiede che l’imputato indichi l’ente presso il quale intende svolgere l’attivita’  lavorativa,  ne’ che dimostri la concreta disponibilita’ di quest’ultimo ad  avvalersi delle proprie prestazioni;

    che la norma censurata rinvia, infatti, per la  disciplina  della misura,  all’art.  54  del  d.lgs.  28  agosto  2000,  n.  274,   con conseguente applicabilita’ del decreto ministeriale  26  marzo  2001, adottato dal Ministro  della  giustizia  ai  sensi  della  norma  ora citata, il quale prevede che sia appunto il  giudice  a  individuare, con  la  sentenza  di  condanna,  il  tipo  di   attivita’,   nonche’ l’amministrazione, l’ente o l’organizzazione presso il  quale  questa deve essere svolta, avvalendosi dell’elenco degli enti  convenzionati (art. 3);

    che il medesimo decreto ministeriale stabilisce, altresi’, che le apposite  convenzioni,  stipulate  dagli  enti  interessati  con   il Ministro della giustizia o, per sua delega,  con  il  presidente  del tribunale, debbano indicare «specificamente le attivita’ in cui  puo’ consistere  il  lavoro  di  pubblica  utilita’»,  oltre  ai  soggetti incaricati di coordinare la prestazione lavorativa del  condannato  e di impartire a quest’ultimo le relative istruzioni (art. 2);

    che cade, con cio’, anche l’ulteriore argomento  del  rimettente, relativo alle asserite remore del giudice ad attivarsi in assenza  di una istanza dell’interessato, corredata da uno  specifico  «programma di lavoro»: argomento che si traduce, peraltro,  nell’allegazione  di una mera circostanza di fatto, estranea al contenuto precettivo della disposizione denunciata;

    che quanto, infine, alla asserita violazione dell’art. 27,  terzo comma,  Cost.,  non  e’  dubbio  che  il  legislatore  annetta   alla prestazione del lavoro di pubblica utilita’ previsto dalla  norma  in esame un particolare finalismo  rieducativo,  correlato  alla  natura degli illeciti penali cui la misura  accede,  come  si  desume  tanto dalla   delimitazione   del   settore   nel   quale    deve    essere prioritariamente   svolta   l’attivita’   lavorativa   (sicurezza   e educazione stradale), quanto  dai  benefici  riconnessi  al  proficuo svolgimento della stessa (estinzione del reato, riduzione a meta’ del periodo di sospensione della patente  e  revoca  della  confisca  del veicolo sequestrato);

    che  cio’  non  toglie,  tuttavia,   che   l’individuazione   del trattamento sanzionatorio piu’ congruo nel caso concreto, anche nella prospettiva della rieducazione  del  condannato,  e  segnatamente  la valutazione  dell’opportunita’  di  sostituire  con  la   misura   in questione le pene inflitte per il singolo fatto di reato – esse  pure tendenti alla rieducazione – resti compito proprio del giudice  della cognizione, senza che possa ritenersi  costituzionalmente  necessario

duplicare la relativa competenza in capo al giudice  dell’esecuzione, a scapito del principio di intangibilita’ del giudicato;

    che, alla luce delle considerazioni che precedono,  la  questione va dunque dichiarata manifestamente infondata.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla Corte costituzionale.

per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

 

    dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di legittimita’  costituzionale  dell’articolo  186,  comma  9-bis,  del decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della strada), aggiunto dall’art. 33, comma 1, lettera d), della  legge  29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza  stradale), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27,  terzo  comma,  della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale di Benevento con l’ordinanza indicata in epigrafe.

    Cosi’ deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,

Palazzo della Consulta, l’11 marzo 2013.

Potrebbero interessarti anche...