Corte Cassazione n° 12431/2010 – mancata indicazione sul retro del segnale stradale dell’ordinanza di apposizione – competenza TAR -20.05.2010. –
La Corte di Cassazione, nel giudizio avente ad oggetto una opposizione avverso un verbale di accertamento elevato per violazione di norme previste dal Codice della Strada, ha stabilito che: “ l’omessa indicazione, sul retro dei segnali stradali delle prescrizioni di cui all’art. 77 reg. C.d.S., comma 7 e degli estremi dell’ordinanza di apposizione non inficia la validita’ del cartello, ma costituisce una mera irregolarita’ che non esime l’utente della strada dall’obbligo di rispettarne le relative prescrizioni e, quindi, non determina l’illegittimita’ del verbale di contestazione dell’inflazione” . La Suprema Corte ha, inoltre precisato che l’illegittimita’ dell’apposizione della relativa segnaletica stradale deve farsi valere davanti al TAR del luogo e non davanti al Giudice di Pace, inerendo la medesima ad un atto amministrativo.
CORTE DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
SENTENZA N° 12431/2010 DEL 20.05.2010
Con ricorso depositato in data 4.9.2003 M. M. proponeva opposizione avverso il verbale di accertamento n. (OMISSIS) elevato dalla Polizia Municipale di (OMISSIS) per violazione dell’art. 7 C.d.S., contestandone la legittimita’ a sensi dell’art. 77 del Regolamento in quanto il cartello di regolamento della sosta risultava sprovvisto degli estremi dell’ordinanza di apposizione del divieto. Il Comune, costituitosi, ne chiedeva il rigetto. Il giudice di pace di (OMISSIS) con sentenza n. 77/05, depositata il 21.1.05, annullava il predetto verbale di accertamento e compensava le spese, rilevando che la mancata riproduzione sul retro del segnale stradale verticale degli estremi dell’ordinanza di apposizione, come previsto dall’art. 77 reg. C.d.S., comma 7, comporta una situazione di illegittimita’ della segnaletica stessa ed esonera l’eventuale contravventore da una qualsiasi responsabilita’ a suo carico. Per la cassazione della decisione ricorre il Comune di (OMISSIS), affidandosi a un solo motivo variamente articolato; deducendo violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorso e’ fondato, sia che si consideri che il ricorrente abbia voluto contestare la validita’ del segnale sia che si consideri che il ricorrente ponga in dubbio la stessa esistenza del provvedimento amministrativo. Sotto il primo aspetto vale osservare che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’ l’omessa indicazione, sul retro dei segnali stradali delle prescrizioni di cui all’art. 77 reg. C.d.S., comma 7 e degli estremi dell’ordinanza di apposizione non inficia la validita’ del cartello, ma costituisce una mera irregolarita’ che non esime l’utente della strada dall’obbligo di rispettarne le relative prescrizioni e, quindi, non determina l’illegittimita’ del verbale di contestazione dell’inflazione (Cass. Civ. 29/03/06 n. 7125; 31.07.07 n. 16884; 18.12.08 n. 29728). Sotto il secondo aspetto vale osservare che esula dalla competenza del giudice ordinario ed e’ propria del giudice amministrativo quella di conoscere dell’illegittimita’ dell’atto amministrativo impositivo del divieto di sosta in un determinato tratto di strada ai sensi del codice della strada. L’eventuale illegittimita’ dell’apposizione della relativa segnaletica stradale avrebbe dovuto, quindi, farsi valere davanti al TAR del luogo, inerendo la medesima ad un atto amministrativo, che in quanto limitativo della circolazione stradale, avrebbe dovuto essere adottato secondo le norme di riferimento. In sintesi, una volta constatata da parte dell’utente l’esistenza del cartello segnaletico che imponeva la prescrizione del divieto di sosta, era obbligo dello stesso di rispettare la prescrizione ivi riportata in forza del disposto dell’art. 38 C.d.S., comma 2. Ne consegue che l’impugnata sentenza va cassata e, non essendo necessarie ulteriori indagini, decidendo nel merito alla proposta opposizione va rigettata con addebito al trasgressore delle spese dei due gradi di giudizio in forza del principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione; condanna l’opponente al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 e cioe’ Euro 500,00 per ciascun grado, di cui Euro 300,00 per onorario e Euro 200,00 per spese. |