Assicurazione della responsabilità civile ex art. 1917 c.c. – Clausole “Claims Made”

Il contratto di assicurazione disciplinato dall’art. 1917 c.c. prevede in capo all’assicuratore l’obbligo di tenere indenne l’assicurato di quanto questi debba pagare ad un terzo in conseguenza di un fatto verificatosi nell’arco temporale di vigenza della copertura assicurativa, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Ne segue che il contratto di assicurazione esplica i suoi effetti per le richieste di risarcimento danni connesse a fatti accaduti durante l’arco temporale che decorre dalla sottoscrizione della polizza sino al termine di cessazione della stessa, come stabilito nel contratto. Ebbene, la citata norma presenta il carattere  della inderogabilità dei commi 3 e 4 sancita dall’art. 1932 c.c. mentre non è tassativo il principio enunciato al comma n° 1 ovvero: “ nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi”.
In questo contesto si innesta la possibilità di prevedere una limitazione della copertura assicurativa ai fatti che si sono verificati, o che sono stati formalmente denunziati alla società di assicurazione, esclusivamente nel periodo di vigenza del contratto.
La menzionata deroga all’art. 1917, comma 1° c.c., si verifica quando nel contratto di assicurazione per la responsabilità civile è inserita una clausola di origine anglosassone, definita “claims made”, con cui la copertura assicurativa è limitata ai soli fatti denunciati esclusivamente durante la vigenza del contratto e non oltre. In presenza di tale clausola, assume rilevanza preliminare la qualificazione del termine “fatto” ai sensi di quanto previsto dalla richiamata disposizione codicistica dell’art. 1917 c.c.; ed, in particolare, se per “fatto” si intende la richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato o se si intende l’evento accaduto durante il tempo dell’assicurazione.
La dicotomia tra le due accezioni del termine “fatto” ha generato un discrimen interpretativo tra dottrina e giurisprudenza. La dottrina afferma che il “fatto” coincide con la richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato e pone a fondamento di tale interpretazione l’art. 2952 c.c. che, ai commi 3 e 4, individua la decorrenza del termine prescrizionale entro il quale l’assicurato deve avanzare la richiesta di indennizzo alla società assicurativa, nella ricezione della richiesta di risarcimento avanzata dal terzo in suo danno.
La giurisprudenza, invece, identifica il “fatto” nell’evento accaduto nel periodo di vigenza del contratto di assicurazione, forgiando tale assunto su un’interpretazione sistematica con cui la Suprema Corte ha escluso la rilevanza dell’art. 2952 c.c. ai fini della interpretazione della locuzione “fatto” di cui all’art. 1917 c.c. e ciò in quanto la ratio dell’art. 2952 c.c. è la prescrizione e non la copertura assicurativa per la responsabilità civile (cfr. Cass. 15.03.2005 n. 5624). Alla luce dell’interpretazione del termine “fatto” come operata dalla giurisprudenza, la clausola “claims made” si presenta più favorevole per il contraente debole (l’assicurato) laddove lo stesso può usufruire della garanzia anche per fatti accaduti durante la vigenza della copertura assicurativa e denunciati successivamente allo spirare del termine fissato in polizza. Tuttavia, è stato evidenziato che, anche in presenza degli effetti favorevoli all’assicurato, tale clausola mantiene ugualmente il carattere della vessatorietà e ciò in quanto il suo inserimento in un contratto aleatorio, quale quello di assicurazione per la responsabilità civile, determina l’asimmetria delle posizioni contrattuali con svantaggio per l’assicurato. Infatti, quest’ultimo potrebbe, comunque, subire il diniego dell’indennizzo richiesto, nel caso in cui si riesca a dimostrare che il principio generatore del “fatto”, che ha cagionato il danno, abbia avuto origine nel periodo antecedente la stipula della polizza, anche se la richiesta di risarcimento sia poi giunta all’assicurato nel periodo di vigenza della polizza stessa. Ancora, sulla natura vessatoria di tale clausola si è espressa, con orientamento concorde, la giurisprudenza, la quale ha stabilito che per individuare la vessatorietà delle clausole di un contratto di assicurazione, bisogna accertare se esse definiscono l’oggetto del contratto, delimitando così l’obbligazione assunta dall’assicuratore, ovvero pongono limitazioni di responsabilità, laddove solo le prime, a norma dell’art. 1341 c.c., non devono essere specificamente approvate per iscritto (Cass. 8.01.1987, n. 22). Ne segue che la clausola “claims made” per spiegare i suoi effetti nel rapporto tra assicurato ed assicuratore deve essere approvata espressamente in forma scritta dall’assicurato.
La ratio di tale previsione normativa è la tutela dell’assicurato, contraente debole, che deve assumere in modo determinato la consapevolezza della limitazione prevista dalla “claims made” e deve essere posto nella piena conoscenza e conoscibilità degli effetti della stessa.
In sintesi, la clausola “claims made” con cui si opera una limitazione della copertura assicurativa è comunque una clausola legittima laddove integra un contratto atipico lecito ai sensi dell’art. 1322 c.c..
Pertanto, acclarata la natura vessatoria della stessa, la mancata sottoscrizione della suddetta clausola da parte dell’assicurato, ne integra la nullità e la conseguente sostituzione di diritto con la previsione codicistica dell’art. 1917, comma 1, c.c., in base al quale l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo. Tra le varie tipologie delle clausole “claims made”, assumono particolare importanza quelle che prevedono la copertura assicurativa anche per “fatti” accaduti prima della sottoscrizione della polizza, sempre che la richiesta di risarcimento avanzata dal danneggiato non sia pervenuta all’assicurato in un momento antecedente alla stipula del contratto assicurativo.
Pertanto, il contratto che prevede questa clausola obbliga l’assicurazione a tenere indenne l’assicurato nel caso sia stata avanzata una richiesta di risarcimento del danno nel periodo in cui il contratto produceva effetti, indipendentemente dal fatto che la condotta colposa dell’assicurato sia antecedente alla conclusione del contratto.In tale ipotesi, il meccanismo del modello “claims made” consente, da un lato la retroattività della garanzia assicurativa a fatti e danni anche antecedenti alla data di stipulazione della polizza, e dall’altro, l’esclusione dalla copertura assicurativa delle richieste di risarcimento pervenute all’assicuratore dopo la scadenza contrattuale, anche nell’ipotesi in cui il fatto e/o danno si siano verificati durante il periodo contrattuale di copertura assicurativa.In ordine a quest’ultimo aspetto non mancano però sentenze di merito che hanno dichiarato la nullità di tale clausola, e ciò in quanto è stato evidenziato che la legge non consente né l’assicurazione retroattiva, né tanto meno l’assicurazione di rischi già verificatisi, ancorché le parti ne ignorino l’esistenza (c.d. rischio putativo). Ne segue che, la clausola “claims made”, laddove consenta di indennizzare rischi già verificatisi al momento della stipula del contratto, risulterebbe nulla ex art. 1895 c.c. (inesistenza del rischio o sua cessazione), in quanto rappresenterebbe l’assicurazione di un rischio putativo o l’indennizzo di danni già verificatisi in precedenza (anche se il relativo risarcimento non è stato ancora richiesto dal danneggiato).In conclusione, si può affermare che la clausola “claims made” realizza comunque le esigenze dell’assicurato laddove offre la possibilità a quest’ultimo di vedersi manlevare o essere indennizzato anche per quei rischi, che si possono manifestare con modalità cronologiche successive rispetto al periodo di vigenza della polizza assicurativa. Tale fenomeno, ad esempio, si manifesta soprattutto nell’ambito della responsabilità civile professionale, laddove l’evento–danno connesso alla condotta colposa dell’assicurato (professionista), il più delle volte, si verifica ben oltre il periodo di vigenza della copertura assicurativa.  Infatti, in tali casi, se la formula assicurativa fosse quella tradizionale, diventerebbe problematico individuare il momento in cui il fatto generatore del danno si sia verificato e conseguentemente determinare così l’efficacia della garanzia. Inoltre il massimale nel contratto a suo tempo stipulato potrebbe rivelarsi insufficiente in un periodo successivo a causa dei mutamenti economici (l’inflazione ad esempio) intervenuti  e dell’ampliamento delle ipotesi risarcitorie.
Così prospettato, questo modello contrattuale può creare, come di fatto crea, non facili problemi interpretativi sulla operatività della garanzia, in fase di sinistro, allorquando l’assicuratore si accorga che la clausola è stata stipulata dall’assicurato colposamente e/o dolosamente consapevole di un rischio già verificatosi ed in attesa della probabile pretesa risarcitoria da parte del terzo danneggiato.Pertanto, per proteggere la “claims made” da questo reale pericolo e far sì che il rischio conservi l’essenziale requisito di essere futuro ed incerto, devono essere previsti in polizza una serie di rafforzamenti circa lo stato del rischio ed in modo particolare dichiarazioni su episodi già accaduti che possono costituire il presupposto per una probabile domanda di risarcimento.
Per l’effetto, in virtù della normativa di legge sulle dichiarazioni precontrattuali (artt. 1892-1893 c.c.), la dichiarazione inveritiera resa con colpa comporterà una riduzione dell’indennizzo dovuto in proporzione alla differenza fra il premio stabilito ed il premio applicato se il vero stato del rischio fosse stato conosciuto (art. 1893 c.c.). Di contro, nel caso della dichiarazione inveritiera resa con dolo o colpa grave, si verificherà l’annullamento del contratto e la reiezione del sinistro (art. 1892 c.c.).
Ciò posto, occorre evidenziare che, sul piano pratico, la responsabilità prevista agli artt. 1892 e 1893, c.c., per le dichiarazioni precontrattuali deve essere comunque comparata in maniera proporzionale al generale obbligo di buona fede imposto a carico dei contraenti, per cui l’eccezione contrattuale circa la violazione della citata normativa andrà sollevata con molta cautela e tenendo conto sempre che l’onore della prova ex art. 2697 c.c. è e resta a carico all’assicuratore. 
 

Dott. Antonio Bucci ( Giurista D’Impresa)
 

Potrebbero interessarti anche...