30.09.09. – L’avvocato – gestire lo studio – collaboratore è davvero un dipendente. –
L’attività dell’avvocato è esclusa dall’Irap se viene svolta usufruendo distanza e computer concessi in comodato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sezione Tributaria, con la sentenza 18973/2009 dello scorso 31 agosto (si veda il Sole 24 Ore del 7 settembre) in accoglimento del ricorso di un avvocato. La Cassazione ha ribadito il principio, già più volte affermato, secondo il quale l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’articolo 49, comma 1, del Dpr.n. 917 del 1986 è escluso dall’applicazione dell’Irap qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione è un accertamento che spetta al giudice di merito e ricorre ogni volta che il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non invece quando sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse, ovvero quando egli impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione o, ancora quando si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. In sostanza non devono pagare l’imposta regionale gli avvocati che lavorano per altri avvocati (e spesso perla loro clientela), del cui ufficio, organizzazione, segreteria, si avvalgano senza esserne proprietari. Sono moltissimi in Italia i professionisti che non hanno una propria organizzazione e che rientrano a pieno titolo nella descrizione di «collaboratori professionali», ovvero titolari di una propria partita Iva e retribuiti con compenso professionale dietro fattura e che, sotto un profilo non già fiscale, ma civilistico, sono da considerarsi veri e propri avvocati “dipendenti” o “semidipendenti”. Se il fisco (grazie alla Cassazione) riesce ad accettare l’esistenza della figura, non si vede perché l’avvocatura non possa fare altrimenti. Nel testo di riforma della legge professionale forense non si è neppure sfiorato l’argomento dell’abolizione dell’articolo 3 della legge professionale del 22 gennaio 1934 n. 36, che è il pro dromo necessario alla creazione di una autonoma figura di avvocato “salariato”, che in Italia preesisteva al fascismo e che tutt’ora esiste nei principali ordinamenti europei (tra cui Francia, Germania e Inghilterra). Senza spingerci in complicate analisi della coerenza del resto della normativa fiscale con la figura dell’avvocato non-autonomamente organizzato, in moltissimi casi, per il riconoscimento del rapporto di subordinazione sarebbe sufficiente adottare i criteri comunemente considerati da un punto di vista giuslavoristico, tra cui appunto la totale o pressoché tale mancanza di strumenti organizzativi e strutture, la circostanza che il sostentamento prevalente arrivi da compensi fatturati allo stesso “cliente” (lo studio legale presso cui l’avvocato è impiegato), la assoluta dipendenza gerarchica dal superiore (titolare dello studio o socio di riferimento nello studio associato), l’adesione a orari di lavoro, periodi di ferie e via dicendo. Il paradosso è che nessuna delle proposte di riforma che si sono susseguite nel tempo, pur tenendo fermo il principio della incompatibilità della professione con altro lavoro dipendente, ha nemmeno mai tentato di introdurre una norma a tutela tanto dell’avvocato titolare quanto del suo collaboratore subordinato, neppure sotto il profilo della creazione di un contratto professionale che si attagli al rapporto e che preveda ad esempio periodi di preavviso in caso di estromissione dallo studio, disciplina delle ipotesi di conflitto e concorrenza tra i professionisti ola previsione di norme deontologiche di comportamento delle due parti nella gestione del rapporto. La riforma oggi in discussione sta incontrando ulteriori e nuove difficoltà, che vertono principalmente su altri temi, quali quelli tariffari, ed è un peccato che il dibattito non si estenda anche a considerare questo aspetto, che è già stato così propriamente esaminato, almeno sotto questo profilo fiscale, dalla Corte di cassazione. di Paola Parigi Fonte: Il Sole 24 Ore |