30.06.2010. – Cassazione: Non è reato la molestia via e-mail – “Non è invasiva come il telefono” –

ROMA – Per la Cassazione, non è configurabile come reato la molestia via e-mail. La conclusione si evince da una sentenza con cui la suprema corte ha annullato senza rinvio, “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, la condanna al pagamento di un’ammenda di 200 euro inflitta a un 41enne dal tribunale di Cassino.
L’uomo era accusato di molestie per aver inviato a una donna, con la posta elettronica, un messaggio contenente “apprezzamenti gravemente lesivi della dignità e dell’integrità personale e professionale” del convivente della destinataria. Il giudice di Cassino aveva considerato anche la specifica situazione come disciplinata dall’articolo 660 del codice penale, relativo al reato di molestie o disturbo alle persone. In particolare, giudicando la molestia via e-mail associabile a quella per “telefono”, dicitura che – nell’interpretazione del giudice – comprende tutti gli “altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza”. Di diverso avviso la Cassazione (prima sezione penale, sentenza n.24510): la posta elettronica “utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, né costituisce applicazione della telefonia, che consiste, invece, nella teletrasmissione in modalità sincrona, di voci o di suoni”.  
Per la suprema corte è sostanziale, rispetto alla comunicazione telefonica, la differenza dell’asincronia di quella via mail. “L’invio di un messaggio di posta elettronica – spiega la Cassazione -, come una lettera spedita tramite il servizio postale, non comporta, a differenza della telefonata, nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo”.  Il telefono, rispetto alla posta elettronica, assume “rilievo proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l’apparecchio telefonico, con conseguente lesione della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita”. Stesso discorso va fatto per gli sms, dato che, ricorda la Cassazione, il destinatario è costretto a “percepirli prima di poterne individuare il mittente”. 
Per la Cassazione, dunque, il “turbamento del soggetto passivo costituisce condizione necessaria ma non sufficiente”. “Per integrare la contravvenzione prevista e punita dall’articolo 660 – argomentano i giudici di via Cavour – devono concorrere alternativamente gli ulteriori elementi circostanziali della condotta del soggetto attivo, tipizzati dalla norma incriminatrice: la pubblicità (o l’apertura al pubblico) del teatro dell’azione ovvero l’utilizzazione del telefono come mezzo del reato”.   

Fonte: repubblica.it

 

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