19.06.08. – Class action, bisogna rifare tutto – Agli addetti ai lavori piace l’idea in sé, ma c’è troppa confusione attorno alla normativa – L’Avvocatura punta a un restyling totale –
Class action, tutto da rifare. Ridimensionare il ruolo delle associazioni dei consumatori, estendere la disciplina alla tutela dei risparmiatori e del danno alla salute dovuto a ragioni ambientali, prevedere esplicitamente la possibilità di avviare azioni collettive nei confronti dello stato e della pubblica amministrazione, chiarire se la legge è retroattiva, riconoscere alle associazioni di avvocati una posizione paritaria rispetto a quelle dei consumatori. Per l’avvocatura, ottenuto il rinvio di sei mesi dell’entrata in vigore della legge, inserito dal governo nella manovra, è arrivato il momento delle proposte. Che vanno nella direzione di un restyling totale della normativa. Perché l’idea in sé piace, ma così com’è, secondo gli addetti ai lavori, la class action è talmente poco definita e confusa che rischia solo di rallentare ancora di più il sistema processuale e creare dei pasticci giurisprudenziali. Per il Consiglio nazionale forense i punti problematici riguardano il raggio d’azione, se cioè le azioni collettive si possano promuovere solo nelle situazioni disciplinate dal codice del consumo o anche, per esempio, in materia bancaria e assicurativa. Poi, se la legittimazione ad agire spetti solo alle associazioni riconosciute. La preoccupazione deontologica del Cnf, in pratica, è che gli avvocati si arricchiscano in modo indiscriminato. «Ci sono molti problemi interpretativi», ha commentato il presidente Guido Alpa, «a partire dall’ambito di applicazione della disciplina, che non è chiaro se rientri solo nelle situazioni previste dal codice del consumo o meno. Non si capisce, cioè, se la normativa possa essere estesa alla tutela dei risparmiatori o del danno alla salute derivante da ragioni ambientali. Va chiarito, poi, se la legge sia retroattiva o meno e se ci possa essere la contemporaneità di più azioni collettive nei confronti dello stesso soggetto. La normativa, in questo senso, non specifica nulla, quindi sembrerebbe che non ci siano limitazioni». «Il Consiglio nazionale», ha concluso Alpa, «rinnova la proposta di costituire un gruppo di lavoro con i ministeri competenti per colmare le lacune. A nostro parere, la class action va estesa anche ad ambiti che non rientrano nel codice del consumo, come l’ambiente e il risparmio. Poi bisogna garantire che i procedimenti siano condotti da giuristi competenti». L’Organismo unitario dell’avvocatura ha presentato settimana scorsa in audizione alla Commissione giustizia della camera un documento con la richiesta di rinvio della class action. Ed entro breve la giunta approverà un testo con le proposte da mettere sul tavolo dell’esecutivo. «Dobbiamo risolvere i problemi tecnici della normativa e poi possiamo partire in modo rigoroso», ha spiegato Andrea Pasqualin, vicepresidente, «innanzitutto non è chiaro l’effettivo raggio d’azione delle azioni collettive, visto che sono state inserite nel codice del consumo. Quindi la perplessità è se abbiano una valenza più ampia o meno. Poi, bisogna definire se sia retroattiva o meno, e cioè se si tratti di un nuovo diritto o meno. Non è chiaro, infine, in quali tempi del processo possa avvenire l’opt in, e cioè il meccanismo processuale che consente di aderire all’azione collettiva a processo in corso». I giovani avvocati dell’Aiga, invece, hanno redatto un documento evidenziando i nodi critici della normativa e le modifiche da apportare. «La class action non dev’essere un monopolio delle associazioni dei consumatori», ha detto il presidente Valter Militi, «che tra l’altro prendono contributi statali e possono agire in concorrenza sleale con lo stato. A questo proposito, bisogna prevedere esplicitamente che le azioni collettive possano essere avviate anche nei confronti della pubblica amministrazione. Poi manca il danno punitivo, che renderebbe attiva la class action». Il documento dell’Aiga, inoltre, propone di riconoscere alle associazioni di avvocati una posizione paritaria rispetto a quella delle associazioni di consumatori iscritte nel registro ministeriale. Evidenzia la criticità di prevedere «una fase conciliativa solo al termine dell’azione giudiziaria collettiva per l’accertamento dell’illiceità della condotta dell’impresa, e la rimessione del quantum del risarcimento all’accordo delle parti in questa sede, con soggezione del singolo a quello che pare essere un vero e proprio arbitrato obbligatorio, ovvero all’esito di un nuovo e individuale procedimento giudiziario». L’Associazione nazionale forense, infine, propone di introdurre meccanismi che aiutino a definire la classe di individui fin dall’inizio, in modo che il soggetto sotto accusa sappia quante persone ha di fronte. «Il meccanismo dell’opt in è troppo generico», ha detto Palma Balsamo, del direttivo dell’Anf, «poi va ridimensionato il ruolo delle associazioni dei consumatori. È importante che agiscano soggetti veramente rappresentativi, bisogna introdurre dei meccanismi di controllo delle associazioni». Gabriele Ventura Fonte : Italia Oggi |