Telefonia – spese di spedizione bolletta telefonica -24.03.06

Il Giudice di Pace di Casoria ha accolto la domanda dell’attore,  dichiarando l’inefficacia della clausola sul contributo per le spese di spedizione della fattura addebitato dal gestore telefonico, nonché ha condannato quest’ultimo alla restituzione delle somme incassate. In particolare, il Giudice adito ha precisato: “ il comma 8 del citato articolo espressamente dispone che: “Le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”, laddove il comma 1 dello stesso articolo testualmente sancisce che: “La fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione“. Il Giudice ha, tra l’altro, affermato la vessatorietà di clausole contrattuali che, stabilendo a carico del contraente debole delle decadenze, abbisognavano, quale clausole particolarmente onerose per l’utente, di una specifica approvazione per iscritto, manchevoli nel caso di specie.                                                            
                                                         REPUBBLICA ITALIANA
                                                  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice di Pace di Casoria, Avv. Vincenzo Richiello, ha pronunciato la seguente SENTENZA
nella causa, iscritta al n. 2124/05 R.G.A.C., avente ad oggetto “restituzione di somme” riservata in decisione alla udienza del 12/10/05 TRA
TIZIO, elett.te dom.to in Casoria (Na) …, presso lo studio degli Avv.ti …, che lo rappresentano e difendono, giusta procura a margine della citazione; -attore-
EFASTWEB S.P.A., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te dom.ta in Napoli alla via …, presso lo studio dell’Avv. …, che la rappresenta e difende, anche disgiuntamente all’Avv. … del foro di Milano, in virtù di procura in calce alla copia notificata della citazione; -convenuta-CONCLUSIONI: come da citazione, scritti difensivi e verbale di causa del 12/10/06, che si intendono integralmente richiamati e trascritti.
                                                     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificato in data 20/1/05, Tizio esponeva di essere titolare dell’utenza telefonica avente numero 081/736xxxx , in Casoria (Na) alla via ….; di aver stipulato con la convenuta Fastweb S.p.A. sulla medesima utenza un contratto telefonico contrassegnato dal codice cliente 041xxxx; di aver riscontrato nel conto telefonico del 31/8/04 n. 128xxxx di €. 136,86 l’addebito di €. 0,75 + Iva per spese di spedizione; che tale addebito era in contrasto con quanto previsto dall’art. 21, comma 8, del D.P.R. del 26.10.72 n. 633 (Legge Iva), in base al quale “le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”; che la Fastweb aveva addebitato bimestralmente l’importo di €. 0,75, quale costo di spedizione della fattura, per un totale annuo di €. 4,50, da ritenere illegittimo. Tanto premesso l’istante conveniva in giudizio la Fastweb S.p.A. per sentir dichiarare la illegittimità del contributo di spese di spedizione in quanto in contrasto con l’art. 21, co. 8 D.P.R. del 26/10/72 n. 633 (L. Iva) e conseguentemente condannare la convenuta alla restituzione delle spese di spedizione della fattura pari ad €. 0,75 ed iva ed al risarcimento dei danni per malafede contrattuale ex art. 2043 c.c., nei limiti della competenza per valore del giudice adito, vinte le spese e competenze di lite, con attribuzione ai difensori anticipatari.Alla prima udienza di comparizione del 16/3/05 si costituiva in giudizio la convenuta Fastweb S.p.A., che impugnava estensivamente la domanda chiedendone il rigetto, con vittoria delle spese e competenze di lite. In via preliminare, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice tributario, atteso che la pretesa avanzata dall’istante aveva riguardo alla restituzione di un tributo già versato all’erario, in quanto le spese postali, addebitate per esplicita previsione contrattuale, erano state correttamente inserite nella base imponibile. Deduceva, pertanto, che era necessario compiere un pre-liminare accertamento sia sulla composizione della base imponibile della fattura, per stabilire se le spese in questione fossero state correttamente inserite, che sulla debenza del tributo, ovvero se sulle stesse dovesse gravare l’imposta sul valore aggiunto. Esponeva altresì che l’addebito al cliente delle spese postali di spedizione delle bollette era stato espressamente previsto dall’art. 15.2 delle condizioni generali di contratto, in conformità all’art. 30 del Regolamento di Servizio, approvato con D.M. del 8/5/97 n. 197, secondo cui ogni spesa, imposta o tassa comunque inerente al contratto di abbonamento era a carico dell’abbonato, salvo che fosse diversamente disposto, con l’inevitabile conseguenza che la richiesta di disapplicazione di tale norma avrebbe comportato la devoluzione della causa al giudice amministrativo. Deduceva, inoltre, l’improponibilità della domanda giudiziale per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, espressamente previsto dall’art. 1, comma 11, della L. 249/97; la decadenza dell’attore dal potere di proporre la domanda, ai sensi dell’art. 16 del D.M. 8/5/97 n. 197 e dell’art. 2.3 della Carta dei servizi Fastweb, parte integrante del contratto in base all’art. 1 delle condizioni generali di contratto, per mancata impugnativa degli importi addebitati in bolletta, con qualsiasi mezzo e confermata tramite lettera raccomandata, entro trenta giorni dalla scadenza della stessa. Nel merito, contestava in toto la domanda, in quanto l’emissione della fattura era da considerare un’attività concettualmente e materialmente diversa dalla sua spedizione, in quanto l’art. 21 L. 633/72 si limitava ad indicare al contribuente il termine per eseguire gli ulteriori adempimenti formali imposti dalla normativa tributaria e finalizzati alla applicazione del tributo. Esponeva altresì che la spedizione della fattura era un’attività occasionale che poteva anche mancare, per cui non poteva rappresentare un elemento perfezionante l’emissione della stessa; che la risoluzione ministeriale del 7/7/78 chiariva che il comma 8 dell’art. 21 riguardava le spese di emissione della fattura nonché in generale le altre spese relative ai conseguenti adempimenti e formalità previsti dalla normativa in materia di iva, quali l’annotazione e conservazione delle fatture; che l’art. 30 del regolamento di servizio concernente le norme e le condizioni di abbonamento al servizio telefonico approvato con il D.M. n. 197/97 prevedeva che ogni spesa, imposta o tassa comunque inerente al contratto di abbonamento fosse a carico dell’abbonato; che, in base all’art. 15.2 delle condizioni generali di contratto, l’invio della fattura in formato cartaceo comportava per il cliente la possibilità del pagamento di un contributo per le spese di spedizione; che pertanto era consentito al cliente di scegliere un’altra forma di comunicazione della fattura, del tutto gratuita, costituita dall’invio in formato elettronico. Concludeva, quindi, che l’art. 21 citato era una norma di carattere tributario e che l’eventuale interpretazione della stessa in senso privatistico contrasterebbe con la legge delega del Parlamento che ha portato alla sua emissione ed in definitiva con gli artt. 41 e 76 della Costituzione.Nel corso del giudizio, senza necessità di assunzione di mezzi di prova, precisate le conclusioni, come in epigrafe trascritte, la causa veniva riservata per la decisione all’udienza del 12/10/05.
                                                        MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va esaminata la questione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla convenuta Fastweb S.p.A., del giudice adito in favore del giudice tributario, vertendo la controversia de qua sul corretto inserimento delle spese postali nella base imponibile della fattura e della conseguente applicazione su di esse dell’imposta sul valore aggiunto.La questione è priva di pregio giuridico e va respinta.Invero, riesce agevole rilevare come la presente causa abbia ad oggetto la lesione di un diritto soggettivo in relazione ad un accordo di natura strettamente privatistica intervenuto tra le parti.In altri termini, nel caso di specie, l’istante non ha inteso affatto instaurare un contraddittorio con la P.A., parte necessaria del processo tributario, bensì ha dedotto in giudizio la pretesa restitutoria di una somma indebitamente richiesta dalla Fastweb S.p.A. ed effettivamente corrisposta alla convenuta.Sempre in via preliminare, va affrontata l’eccezione di improponibilità della domanda, sollevata dalla convenuta Fastweb S.p.A., in quanto la stessa non è stata preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione, espressamente contemplato dall’art. 1, comma 11 della legge n. 249 del 31/7/97, istitutiva dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.Tale eccezione non è condivisibile e pertanto va disattesa.Invero, ritiene questo giudice che, pur volendo tralasciare la delicata questione concernente la costituzionalità di una norma che condiziona la tutela giurisdizionale di un diritto soggettivo al preventivo esperimento di un rimedio stragiudiziale di conciliazione, non possa revocarsi in dubbio come nel caso di specie la disposizione in parola non trovi applicazione, in quanto è notorio che il CO.RE.COM. competente per territorio non sia stato ancora attivato nella Regione Campania.In buona sostanza, occorre rilevare che, in ossequio al disposto di cui all’art. 1, comma 11, della legge citata, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con la delibera n. 182 del 19.06.02, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2002, ha adottato il “regolamento di procedura relativo alle controversie fra organismi di telecomunicazioni ed utenti”, stabilendo all’art.3 che gli utenti che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato o da norme in materia di telecomunicazioni, che intendano agire in giudizio, siano tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Comitato Regionale per le Comunicazioni, competente per territorio. Inoltre, l’art. 12 di tale regolamento prevede testualmente che gli utenti hanno la facoltà di esperire, in alternativa al tentativo di conciliazione presso i Corecom …, un tentativo di conciliazione dinanzi agli organi non giurisdizionali di risoluzione delle controversie in materia di consumo che rispettino i principi sanciti dalla Raccomandazione della Commissione 2001/310/CE. Tali organismi sono identificati con le Camere di Conciliazione presso le Camere di Commercio.Orbene, tenuto conto del tenore letterale di tale ultima disposizione e soprattutto dell’inutilità di proporre un’istanza di conciliazione innanzi ad un organismo assolutamente incompetente in materia, deve ritenersi che, nel territorio in cui non operino ancora i Co.re.com., come nel caso di specie, l’alternativa di proporre il tentativo di conciliazione stragiu-diziale innanzi ad altri organismi non giurisdizionali costituisca solo una mera facoltà per l’utente.In altri termini, l’obbligatorietà della procedura conciliativa viene meno qualora non sussista la possibilità effettiva e concreta di attuarla.D’altro canto, riesce difficile comprendere l’interpretazione, pur data da alcuni operatori del diritto, che l’art. 12 ponga all’utente una scelta tra due rimedi, atteso che l’inesistenza del Co.re.com finirebbe per escludere automaticamente uno strumento di conciliazione, imponendo all’utente l’altra ed unica soluzione di attivare un organismo, quale la Camera di Conciliazione, peraltro del tutto inadeguato ed incompetente a risolvere questioni in materia di telecomunicazioni.Priva di pregio giuridico appare altresì la questione di decadenza dell’attore dal potere di proporre la domanda, ai sensi dell’art. 16 del D.M. 8/5/97 n. 197 e dell’art. 2.3 della Carta dei Servizi Fastweb, per la mancata contestazione degli importi addebitati in bolletta, con qualsiasi mezzo e confermata con lettera raccomandata, entro trenta giorni dalla scadenza della stessa.E’ appena il caso di rilevare che non risulta acquisita agli atti alcuna prova che la carta dei servizi invocata dalla convenuta Fastweb S.p.A. sia stata effettivamente portata a conoscenza dell’utente all’atto della sottoscrizione del contratto né tantomeno considerata la sua importanza risulta riprodotta nella disposizione in questione nella singola bolletta.E’ evidente, quindi, che, nel caso che ne occupa, risulta violata la norma di cui al comma 5 dell’art. 1469 ter c.c. che prevede che nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.Lo stesso comma 3° dell’art. 1469 bis sancisce che si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che hanno per oggetto o per effetto di……….. 10) prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.Inoltre, il secondo comma dell’art. 1469 quinquies conferma che sono inefficaci le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di…………. 3) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.In ogni caso, trattandosi di una clausola che stabilisce a carico del contraente debole delle decadenze, abbisognava, quale clausola particolarmente onerosa per l’utente, di una specifica approvazione per iscritto, manchevole nel caso di specie.In definitiva, considerata l’evidente vessatorietà di tale clausola, va affermata la sua inefficacia, ai sensi dell’art. 1469 quinquies c.c..Alla stregua di tali argomentazioni, va affermata la vessatorietà altresì dell’art. 15.2. delle condizioni generali di contratto secondo cui la fattura sarà inviata in formato cartaceo. In tal caso potrà essere richiesto al cliente il pagamento di un contributo per le spese di spedizione.Inoltre, non può revocarsi in dubbio come tale clausola si ponga in evidente contrasto con l’art. 21 del D.P.R. 633/72, che, nella gerarchia delle fonti, prevale sul regolamento di servizio di cui al D.M. 197/97 e nel caso di specie trova corretta applicazione.In particolare, il comma 8 del citato articolo espressamente dispone che: “Le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”, laddove il comma 1 dello stesso articolo testualmente sancisce che: “La fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione”.Appare evidente, quindi, che l’emissione e spedizione della fattura rappresentino due distinte attività inserite funzionalmente in un unico procedimento e non possano formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo.In buona sostanza, deve ritenersi che la fattura termina il suo iter formativo ed è correttamente emessa solo quando, una volta che sia stata redatta nel rispetto di tutti i requisiti formali e sostanziali, entri nella disponibilità materiale del soggetto destinatario.D’altro canto, una diversa e contraria interpretazione della norma in questione, come peraltro sostenuta dalla Fastweb S.p.A., renderebbe incomprensibile l’applicazione, da parte della stessa società convenuta, della imposta sul valore aggiunto su mere spese vive, quali quelle postali di una bolletta telefonica.In altri termini, è proprio il comportamento concludente tenuto dalla società convenuta di applicare l’iva sulle spese postali di spedizione della fattura ad avvalorare la tesi dell’inquadramento di tali spese nell’ambito dell’art. 21 del D.P.R. 633/72.In conclusione, alla declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 1469 quinquies c.c., delle esaminate clausole predisposte dalla convenuta Fastweb S.p.A., consegue l’effetto restitutorio della somma corrisposta dalla parte attrice pari ad €. 0,75 + iva per un totale complessivo di €. 0,90.Per contro, va respinta la domanda di risarcimento dei danni, formulata da Tizio ,conseguenti al comportamento contrario ai principi di buona fede tenuto dalla convenuta Fastweb S.p.A., in quanto non affatto dimostrata nell’an e nel quantum.Orbene, tenuto conto dei limiti in cui la domanda di Tizio ha trovato accoglimento,si stima equo e conforme a giustizia dichiarare le spese di giudizio compensate per un terzo, mentre per la restante parte, liquidata come in dispositivo, si segue la soccombenza.
                                                                    P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Casoria, definitivamente pronunciando, così provvede:dichiara la propria competenza a conoscere della domanda in atti;dichiara l’inefficacia della clausola sul contributo per le spese di spedizione della fattura addebitato dalla Fastweb S.p.A. a carico di Tizio ;per l’effetto condanna la Fastweb S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., alla restituzione, in favore di Tizio , della somma di €. 0,90;respinge la domanda di risarcimento dei danni formulata da Tizio nei confronti della Fastweb S.p.A.;condanna la Fastweb S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese di lite,che compensate per un terzo, si liquidano, per la restante parte, in complessivi €. 340,00, di cui €. 30,00 per spese, €. 180,00 per diritti, €. 130,00 per onorario, oltre accessori dovuti per legge, con attribuzione ai difensori anticipatari.
Così deciso in Casoria, 16/1/06

Deposita in Cancelleria il 24.03.06 

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