Spese di spedizione bolletta telefonica– appello – difetto di giurisdizione – insussistenza – proponibilità della domanda – 05.02.07. –

Il Tribunale di Nola, confermando la sentenza del Giudice di Pace di Nola, rigetta l’appello proposto dalla Telecom Italia S.p.A…. “non può sostenersi che le spese sopportate per la materiale consegna al cliente della bolletta, (che, non va dimenticato, a norma dell’art.18 del d.m. n.197 del 1997, costituisce fattura), non rientrino nel divieto di cui al successivo comma 8, sol che si consideri che tutte le modifiche appena segnalate sono avvenute nel medesimo contesto, palesando, per stessa volontà del legislatore, il sillogismo tra ‘attrazione’ della fase della consegna, in quella dell’emissione, con conseguente applicazione delle relative spese nel ‘nuovo’ divieto di cui al comma 8 che chiude l’intera disposizione (diversamente da quanto opina parte appellante, è proprio il legislatore, ad aver previsto espressamente che le spese di spedizione attengono a quelle di emissione, a nulla rilevando l’osservazione che la consegna può certamente avvenire con sistemi alternativi rispetto all’inoltro a mezzo posta, non mutando per questo la sostanza ai fini della effettiva “emissione” della fattura)”.   

                                                TRIBUNALE DI NOLA

                                                 II SEZIONE CIVILE

                                               REPUBBLICA ITALIANA

                                        IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Nola in composizione monocratica nella persona del giudice istruttore dott. Francesco Notaro, ha pronunciato, la seguente SENTENZA 
nella causa iscritta al n.7033 del registro generale per gli affari contenziosi dell’anno 2006, avente ad oggetto appello avverso la sentenza n.3004/05, depositata il 20.12.2005, notificata il 28.6.2006, del giudice di pace di Nola, relativa a domanda di ripetizione somme, vertente
TRA
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. giusta procura speciale per notar Mxx di Milano, rep. …. del ……., rappresentato e difeso dagli avv. … e … in forza di procura stesa a margine dell’atto di citazione in appello ed elett.nte dom.to presso lo studio dell’avv. … in Nola … -appellante-
E
Tizia, rappresentata e difesa dagli avv. … e … giusta procura a margine della comparsa di costituzione in appello ed elett.nte dom.ta presso il primo in Nola … -appellata- 
Conclusioni
All’udienza del 30.1.2007 le parti concludevano riportandosi ai propri rispettivi atti, come da conclusioni rese nel relativo verbale da intendersi qui integralmente trascritte.
Motivi in fatto ed in diritto posti a fondamento della decisione.

L’andamento del giudizio di primo grado è così riassunto nel provvedimento impugnato: “Con atto di citazione regolarmente notificato il 19.9.2005, (Tizia) conveniva in giudizio (la Telecom Italia s.p.a.) per ottenere il rimborso di quanto versato quale contributo di spese di spedizione delle fatture nn. 1/04, 2/04, 3/04, 4/04, 5/04, 6/04, 1/05, 2/05 emesse dalla società convenuta…relative all’utenza telefonica contraddistinta dal numero 081 8xxxxxx di cui l’attore è titolare.
Deduceva che tale somma per un totale di euro 2,48 non è dovuta stante il dettato dell’art.21 d.p.r. 633/1972 che stabilisce che “le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo” (così sostituito dall’art.1 d.lgs. 20.2.2004 n.52).
Pertanto chiedeva condannare la convenuta al pagamento di euro 2,48 per le somme indebitamente richieste e versate, oltre il risarcimento del danno da valutarsi ex art.1226 c.c. per violazione degli obblighi previsti dall’art.1175 c.c e dall’art. 2 legge n.281 del ’98.
La società convenuta si costituiva con comparsa di costituzione e risposta, chiedendo il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto e in diritto, eccependo in via pregiudiziale dichiararsi il difetto di giurisdizione dell’adito giudice in favore della giurisdizione tributaria e in via preliminare l’improcedibilità della domanda per omesso tentativo obbligatorio di conciliazione ex artt 3 e 4 della delibera n.182/02 CONS emessa dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni…””.
Il giudice di pace adito, istruita la causa mediante produzione di documenti, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva la domanda e per l’effetto condannava la società convenuta al pagamento della somma di euro 2,48 in favore di parte attrice, oltre interessi dalla domanda al soddisfo e spese della procedura liquidate in dispositivo, con attribuzione la procuratore antistatario.Con atto di citazione notificato a Tizia in data 27.7.2006, la Telecom Italia s.p.a. in persona del legale rappresentante p.t. proponeva appello avverso la predetta sentenza, evidenziando 1) la natura seriale e collettiva della pretesa azionata dalla controparte, con conseguente importanza economica della stessa; lamentando, 2) l’erroneità del rigetto dell’eccezione di improcedibilità della domanda per l’omesso esperimento del tentativo di conciliazione, avendo il giudice rilevato che la controversia non atteneva a diritti derivanti da accordi di diritto privato o da norme in materia di telecomunicazioni, sicché non rientrava in quelle per le quali è necessario il previo tentativo di conciliazione; che per contro questo andava esperito, secondo il disposto di legge, per ogni controversia nascente dal contratto di abbonamento telefonico; che rientravano in detta previsione tutte le questioni relative alle modalità o ai costi della prestazione erogata, o per le quali l’utente lamentava un disservizio; si doleva, inoltre 3) del mancato accoglimento dell’eccezione riguardante l’asserito difetto di giurisdizione per essere la controversia attribuita alla cognizione del giudice tributario; evidenziava che la pretesa aveva ad oggetto la restituzione di una somma indicata in fattura ed inserita nella base imponibile, essendo perciò gravata di iva, sicché era stata richiesta la restituzione di una somma che essa Telecom s.p.a. aveva già versato all’erario; che ciò emergeva da quanto previsto dall’art.15 comma 2 n.3 d.p.r. n.533 del 1972; che, in ragione di ciò, la controversia investiva il preliminare accertamento circa la composizione della base imponibile della fattura e della debenza del tributo, rientrando a pieno titolo nelle giurisdizione del giudice tributario; contestava, ancora 4) nel merito l’accoglimento della domanda, osservando che le spese di “spedizione”, a mente dell’art.21 comma 8 legge iva, non potevano ritenersi rientrare in quelle di “emissione” della fattura; che, infatti, emettere una fattura non significava spedirla, costituendo questa la manifestazione di una attività ulteriore che segue quella di emissione; che sul punto era intervenuto ripetutamente il Ministero delle Finanze, il quale aveva avuto modo di precisare come “il divieto posto dall’art.21, u.c. d.p.r. n.633, nel testo modificato dal d.p.r. n.687 del 1974, non concerne le spese per l’invio a domicilio dei documenti, bensì le spese di emissione della fattura, nonché, in generale, le altre spese relative ai conseguenti adempimenti e formalità previsti dalla normativa in materia di iva, quali ad esempio la annotazione di cui all’art.23 e la conservazione delle fatture di cui all’art.39 del citato d.p.r. n.633 e ss. modificazioni”; che in senso analogo si erano espresse anche le Commissioni tributarie; che ciò era chiaramente dato argomentare dallo stesso tenore letterale della disposizione, atteso che, se il legislatore avesse voluto comprendere le spese di spedizione in quelle di emissione, lo avrebbe fatto espressamente; che, del resto, tanto era in sintonia con il principio generale di cui all’art.1196 c.c. secondo il quale le spese collegate al pagamento sono a carico del debitore; si doleva, infine, 5) dell’erroneità della decisione circa la condanna al risarcimento del danno, non potendo la liquidazione equitativa ex art.1226 c.c. soccorrere in assenza di prova circa l’an del danno stesso, come ritenuto in molteplici occasioni dal giudice di legittimità; chiedeva, pertanto, in accoglimento del proposto appello, che venisse dichiarata l’improcedibilità della domanda o il difetto di giurisdizione del giudice adito in primo grado in favore del giudice tributario, ovvero, nel merito, il rigetto della domanda, con condanna dell’appellato al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

Si costituiva la convenuta, la quale resisteva diffusamente ai motivi di gravame, sostenendo, altresì, la vessatorietà della clausola contenuta all’art.14 delle condizioni generali di abbonamento e chiedeva il rigetto dell’appello, con conseguente conferma della sentenza impugnata, vinte le spese del grado, da attribuirsi al procuratore per dichiarato anticipo.

Tanto premesso, osserva il tribunale che, sulla base dei motivi di impugnazione proposti, l’appello non è suscettibile di positivo apprezzamento e va conseguentemente rigettato.
Afferendo a questione di carattere pregiudiziale, deve, prima di ogni altro, essere esaminato il motivo di gravame con il quale si prospetta la asserita erroneità della decisione circa la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia, per essere la stessa devoluta alla cognizione del giudice tributario.
Il motivo di impugnazione è totalmente destituito di fondamento.
E’ di tutta evidenza che la domanda avanzata in primo grado da parte attrice ha ad oggetto la restituzione di somme che si assumono indebitamente richieste dalla odierna società appellante, sulla scorta della clausola contrattuale contenuta nell’art. 14 delle Condizioni Generali di abbonamento. Sicché la controversia non riguarda in alcun modo il rapporto d’imposta tra sostituto e sostituito, né, per quel che maggiormente conta, la posizione dell’ente impositore, incentrandosi sulla conformità a legge della pattuizione tramite la quale la Telecom Italia s.p.a. fa ricadere sul cliente le spese di spedizione della fattura, mentre la circostanza che queste ‘includano’ parte dell’imposta, è effetto indiretto e del tutto indifferente ai fini dell’attribuzione della giurisdizione.
Del resto come questo tribunale ha già avuto modo di osservare in altra occasione, “La tesi dell’appellante ove condivisa porterebbe alla conclusione paradossale di attrarre nella giurisdizione tributaria tutte le controversie tra privati aventi ad oggetto l’adempimento di un contratto in cui una delle prestazioni sia assoggettata all’imposizione dell’IVA e, dunque, costituisca la base imponibile sulla quale operare detto prelievo” (cfr. trib. Nola, 13 luglio 2006, g.i. Bellini).
Infondato è anche il secondo motivo di appello di carattere pregiudiziale riguardante l’asserita improcedibilità della domanda ex art. 1 comma 11 della legge 31 luglio 1997, n. 249, istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.Infatti questo testualmente dispone che “L’Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro.
Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità.
A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.”.
La disposizione in parola, pur introducendo una condizione di procedibilità della domanda, rinvia, per l’individuazione dell’ambito di operatività e delle modalità di svolgimento del tentativo di composizione stragiudiziale, alla disciplina secondaria, da emanarsi ad opera della stessa Autorità.Con delibera del Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 182/02/CONS del 19 giugno 2002, recante “Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti”, all’allegato A viene affidata la risoluzione stragiudiziale delle controversie agli istituendi sportelli di conciliazione presso i Comitati regionali per le comunicazioni (Co.Re.Com), previsti dall’art. 2, Allegato A della Delibera n. 53/99 del 28 aprile 1999; nello specifico l’art. 5 n. 2 lett. D) del regolamento del 2002 cit., trasferisce ai Corecom funzioni istruttorie nelle seguenti materie previste dalla Legge 249/97: controversie in tema di interconnessione e accesso alle infrastrutture di telecomunicazioni, di cui all’art. 1, comma 6, lett. a) n. 9; controversie tra ente gestore del servizio di telecomunicazioni e utenti privati, di cui all’art. 1, comma 6, lett. a) n. 10.Solo nelle controversie de quibus è espressamente prevista la condizione di procedibilità invocata dall’odierna società appellante.
Nulla autorizza – stante la natura della norma, la quale, influendo sulla tutela concreta dei diritti, non può che essere insuscettibile di interpretazioni analogiche – a ritenere assoggettate al tentativo obbligatorio di conciliazione tutte le controversie in cui sia parte un esercente l’attività di telecomunicazioni, ovvero ogni controversia che deriva, comunque, dal rapporto instaurato per effetto del contratto di abbonamento.
Peraltro, la stessa delibera n. 182/2002 nel prevedere che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione sia effettuata presso i Co.Re.Com. la subordina alla data di effettivo esercizio delle funzioni delegate (art.1, comma 3), di tal che la previsione di legge non può ritenersi vincolante di fronte alla concreta impossibilità di attivare il tentativo di conciliazione per mancata istituzione nella Regione di residenza del cliente dell’organo competente al suo espletamento, circostanza pacificamente non contraddetta dalla difesa di parte appellante.
Infondato è anche il motivo di appello riguardante l’asserita inapplicabilità del disposto di cui all’art.21 comma 8 d.p.r. n.633 del 1972 alle spese sopportate per la “spedizione” della bolletta, in quanto non rientranti in quelle di “emissione” alle quali soltanto farebbe riferimento la norma appena richiamata.
E’ bene premettere che la società appellante fonda le proprie doglianze esclusivamente sul fatto che, a suo avviso, le spese in discorso non atterrebbero a quelle di emissione della fattura, senza formulare alcun ulteriore specifico motivo di impugnazione in riferimento ad altri passaggi, pure contenuti nel provvedimento gravato e sulla scorta dei quali il giudice di prima istanza è pervenuto all’accoglimento della domanda (per completezza si può, altresì, evidenziare che in citazione è contenuto anche un motivo di impugnazione relativo all’asserito accoglimento della domanda di risarcimento avanzata da parte attrice in primo grado, motivo che non verrà esaminato, posto che l’appellante si duole di una statuizione che il giudice di prime cure non ha affatto adottato, avendo respinto la domanda di risarcimento).
Ciò posto, la disposizione sopra richiamata prevede che “Le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”.
Ad avviso di questo tribunale (vds. sempre trib Nola 13.7.2006, g.i. Bellini), la formulazione testuale della norma è tale da abbracciare ogni attività, collegata agli obblighi di fatturazione, ritenuta essenziale per il completamento del procedimento di applicazione del tributo.
Questa si compone, in primo luogo, della compilazione del documento, cioè della sua materiale redazione in due esemplari, recanti l’indicazione della prestazione effettuata, del costo, della misura dell’imposta applicata, delle parti del rapporto, della data; successivamente vi è l’annotazione, che consiste nella registrazione nei libri contabili dell’emittente, con attribuzione di numerazione progressiva, ai sensi dell’art. 23 dello stesso d.p.r., da effettuarsi nei quindici giorni successivi alla compilazione; infine, nella trasmissione di una delle due copie redatte al soggetto che ha beneficiato della prestazione, mediante la sua consegna o spedizione.
Tutti i ‘passaggi’ appena richiamati, proprio secondo il tenore letterale del comma 8 dell’art. 21 cit., assumono rilevanza ai fini del completamento della procedura di emissione, sicché la disposizione in parola si riferisce a tutte le fasi anzidette, vietando che i loro costi siano addebitati al cliente.
La fase della spedizione è strettamente connessa alla materiale redazione della fattura, come è dato ricavare dal comma 1, ultimo periodo dell’art.21 d.p.r. cit., il quale ha previsto che “La fattura si ha per emessa al momento della sua consegna o spedizione all’altra parte…”.
Sul punto si è, infatti, rimarcata la natura recettizia della spedizione della fattura, con la conseguenza che questa è efficace solo nel momento in cui una delle due copie entra effettivamente nella sfera del beneficiario del bene o servizio, acquisendo definitivamente la sua valenza ai fini del prelievo fiscale, anche e proprio in ragione della piena corrispondenza tra la copia in possesso dell’emittente e quella ‘trasmessa’ all’altra parte (sempre trib. Nola 13.7.2006 ha avuto modo di segnalare come “…il divieto di addebito al cliente, di cui al richiamato comma 8 dell’art. 21 DPR 633/1972, non può che comprendere anche i costi di spedizione della fattura di cui qui si discute”, giacché ““La spedizione di copia della fattura alla controparte, infatti, è finalizzata a garantire la corretta applicazione del procedimento di esazione del tributo, e dunque il corretto ed integrale adempimento dell’obbligazione tributaria, sicché va qualificato “adempimento conseguente” intrinsecamente connesso alla emissione, nel senso che integra e perfeziona il relativo procedimento, sicché i suoi costi devono gravare sul soggetto tenuto alla fatturazione, non sul consumatore finale””). Una simile interpretazione, in via risolutiva, è suffragata dall’analisi comparativa tra l’originaria formulazione della norma e quella risultante a seguito dell’emanazione del d.p.r. n.687 del 1974.
In quella sede, infatti, venne introdotto il comma 8, che ha, appunto, previsto il divieto di addebitare al cliente, “a qualsiasi titolo”, le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità.
La norma ovviamente, già da un punto di vista testuale, non può che essere letta in combinazione con gli ulteriori commi di cui si compone, posto che, il comma 1 prevede che “…la fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte, ovvero all’atto della sua trasmissione per via elettronica…”, mentre al comma 4 viene disposto che “…la fattura in formato cartaceo è compilata in duplice esemplare di cui uno consegnato o spedito all’altra parte…”.In origine non era stato previsto che la fattura doveva ritenersi emessa solo con la consegna o spedizione”, ma, per contro, si distingueva – come ancora vorrebbe parte appellante – la fase della emissione, da quella della spedizione, che non erano, pertanto, ‘contestuali’, sebbene andassero completate entrambe nel termine di trenta giorni.La stessa norma segnava significativamente tale scissione anche da un punto di vista letterale, posto che la materiale redazione del documento veniva definita testualmente “emissione”, cui seguiva poi la trasmissione nella sfera di disponibilità della controparte.
Nella successiva formulazione, la norma non parla più di emissione, ma di ‘mera’ “compilazione” materiale del documento; elimina la ‘frattura temporale’ tra la sua redazione e la successiva spedizione e ‘chiude il cerchio’, prevedendo espressamente che l’emissione coincide con il momento in cui la fattura viene inviata e ricevuta dal beneficiario della prestazione o del servizio, costituendo, pertanto, l’attività di confezionamento del documento, quale meteriale “compilazione” dello stesso, esclusivamente attività di carattere preparatorio. Di tal che non può sostenersi che le spese sopportate per la materiale consegna al cliente della bolletta, (che, non va dimenticato, a norma dell’art.18 del d.m. n.197 del 1997, costituisce fattura), non rientrino nel divieto di cui al successivo comma 8, sol che si consideri che tutte le modifiche appena segnalate sono avvenute nel medesimo contesto, palesando, per stessa volontà del legislatore, il sillogismo tra ‘attrazione’ della fase della consegna, in quella dell’emissione, con conseguente applicazione, senza particolari mediazioni interpretative, delle relative spese nel ‘nuovo’ divieto di cui al comma 8 che chiude l’intera disposizione (diversamente da quanto opina parte appellante, è proprio il legislatore, pertanto, secondo l’interpretazione logico-sistematica desumibile dall’intero articolato della norma in parola, ad aver previsto espressamente che le spese di spedizione attengono a quelle di emissione, a nulla rilevando l’osservazione che la consegna può certamente avvenire con sistemi alternativi rispetto all’inoltro a mezzo posta, non mutando per questo la sostanza ai fini della effettiva “emissione” della fattura).Né supporta le tesi dell’appellante il richiamo all’art.1196 c.p.c., posto che, al di là della considerazione assorbente che le spese in parola non attengono alla fase del pagamento, ma agli obblighi tributari dell’emittente, è sempre la lettera dell’art.21 comma 8 cit. a disporre il divieto di porle a carico del beneficiario della prestazione. Da ciò deriva che, avendo la società appellante basato il proprio gravame, nel merito, esclusivamente sulla asserita inapplicabilità del divieto in parola alle spese di spedizione della fattura, lo stesso non può che essere rigettato.Le spese vanno regolate secondo soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 

                                                           P.Q.M.

Il tribunale di Nola in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., nei confronti di Tizia, avverso la sentenza del giudice di pace indicata in epigrafe, ogni motivo come segnalato in motivazione, dichiarato inammissibile, così provvede:
a) rigetta l’appello e per l’effetto conferma integralmente la sentenza impugnata;
b) condanna la società appellante alla refusione delle spese di lite in favore del procuratore antistatario di parte appellata che si liquidano in euro 312,00 per diritti ed euro 350,00 per onorario, oltre spese generali, iva e c.p.a come per legge.
Nola, così deciso il 5 febbraio 2007
Il Giudice Dott. Francesco Notaro 

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