Risarcimento danni – danno non patrimoniale – 20.10.2010. –

Interessante sentenza del Giudice di Pace di Mascalucia, in tema di risarcimento del non patrimoniale. In particolare, il giudicante, partendo  dalle pronunce gemelle n. 26972-26975 del 14.11.2008 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, ha effettuato una attenta analisi della giurisprudenza formatasi successivamente alle suddette pronunce ed alla distinzione tra danno biologico e danno morale, precisando, inoltre, che  la prova del danno  non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato. Mentre per quanto riguarda il danno biologico il mezzo di prova cui si fa normalmente ricorso è l’accertamento medico legale,  pur se non come strumento esclusivo e necessario, per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova documentale, testimoniale e presuntiva.   

                                                    R E P U B B L I C A   I T A L I A N A 

                                                      IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L’avv. Antonio Zarrillo , Giudice di Pace di Mascalucia , ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al  N° 541/2010 R.G. ,
Promossa da-M. Anna T., nata a …. (C.F. ….) et C. Giuseppe, nato a …. (C.F. …, entrambi residenti in Sant’Agata Li Battiati via .., elettivamente domiciliati in Catania …..,  presso lo studio dell’avv. Lombardo Marco che li rappresenta e difende per mandato olografo a margine dell’atto introduttivo di lite                                            
                                                   
                       -Attori-                                                                                                                                                   
CONTRO

MILANO Assicurazioni spa, in persona del legale rappresentante con sede in Milano via Senigallia n. 18/2 ed elettivamente domiciliata in …, presso lo studio dell’avv. S. S. che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta                                                                     
                   -Convenuta-

OGGETTO: Risarcimento danni da circolazione stradale.

                                                        SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato, M. Anna T. e C. Giuseppe,  convenivano  in giudizio,  innanzi a questo Giudice, la  MILANO Assicurazioni spa,  esponendo che il giorno 19.2.2009, alle ore 22,30 in Sant’Agata Li Battiati (CT), l’autovettura Smart targata …., di proprietà di S. R. S. e condotta da P. G., procedeva a velocità elevata sulla via Bellini, in direzione Gravina di Catania-Sant’Agata Li Battiati. Giunta all’altezza del distributore di carburante S.P. che insiste su detta via, invadeva la corsia opposta di marcia della stessa carreggiata sulla quale si trovava l’autovettura Renault Clio targata ….. (ass.ta con la MILANO spa), di proprietà di M. Anna T. e condotta  C. Giuseppe, in attesa di immettersi all’interno del distributore.
Per l’urto subito la Renault,  subiva danni e C. Giuseppe riportava gravi lesioni. -Sul luogo dell’incidente intervenivano i CC, di Gravina di Catania, i quali redigevano rilevamento tecnico-descrittivo del sinistro. -Che a nulla erano valse  le richieste risarcitorie formulate alla Milano Ass.ni  ex art. 149 c.d.s. Chiedevano pertanto, ritenuta e dichiarata la responsabilità del conducente dell’autoveicolo Smart …, garantita dalla Reale Mutua spa, la condanna di essa convenuta al risarcimento nella misura di € 8.866/21 per i danni al mezzo, oltre fermo tecnico e svalutazione monetaria, ed € 4.000/00 per le lesioni. Con vittoria di spese e compensi. 
Si costituiva in giudizio la MILANO Assicurazioni spa, la quale contestava in ogni sua parte l’atto introduttivo di lite e ne chiedeva il rigetto.
Con vittoria di spese e compensi e con condanna degli attori ex art. 96 c.p.c.Ammesse  ed  esitate consulenza medica e tecnica, precisate le conclusioni e depositate note conclusionali e dalla difesa attorea anche nota spese,la causa all’udienza del 20.10.2010  è stata introitata a sentenza. 

                                                          MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente viene evidenziato che è stata regolarmente assolta la condizione di proponibilità dell’azione, avendo gli attori  prodotto la raccomandata recapitata alla MILANO Assicurazioni, che copriva la RCA. dell’autoveicolo Renault Clio  al momento del sinistro, inviata per conoscenza alla Reale Mutua Assicurazioni e proposto l’azione per il risarcimento dei danni dopo il decorso dello spatium deliberandi cogitationisque.
Nel merito, la domanda di cui all’atto introduttivo è parzialmente fondata e in detti termini è meritevole di accoglimento. Sull’an debeatur si rileva che gli elementi di prova emersi dall’espletata istruttoria sono costituiti dal rilevamento tecnico-descrittivo del sinistro stradale stilato dalla Legione Carabinieri Sicilia . I verbali redatti dai pubblici ufficiali fanno fede fino a querela di falso, a norma dell’art. 2700 cod. civ. dei fatti da questi personalmente compiuti, nonché dei fatti avvenuti in presenza dei medesimi, ma non dei fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone , né dei fatti della cui verità questi, si siano convinti in virtù di presunzioni, di personali considerazioni logiche, di apprezzamenti personali, a modalità di accadimento o di indicazione di corpi in movimento (aspetto cinetico della realtà) che esulino dalla diretta e chiara percezione visiva dell’accertatore  ( ex multis Cass. Civ. Sez. III, 29.08.1995 n° 9111 – Cass. Civ. 10.04.1999 n° 3522 – Cass. Civ Sez. I, 03.12.2002 n° 17106 – Cass. Civ. Sez. I, 21.07.2005 n° 15324).  Ed ancora la Corte di Cassazione sez. Civile con sentenza n°21816/2008, ha reiterato che, con riferimento al verbale di accertamento di una violazione del codice della strada: ” l’efficacia di piena prova fino a querela di falso non sussiste ne’ con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, ne’ con riguardo alla menzione di quelle circostanze relative a fatti i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo, e abbiano pertanto potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento”.
L’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico a norma dell’art. 2700 cod. civ., concerne la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato ed i fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza, non anche la veridicità ed esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti né sulle modalità dell’incidente stesso, che vengono riferite (ex pluribus Cass. Civ. Sez. II, 16.04.1987 n 3776 – Cass. Civ. Sez. II, 14.07.1981 n° 4608 – Cass. Civ. Sez. III, 23.08.1978 n° 3951). E’ di tutta evidenza , che avuto riguardo alle contrastanti dichiarazioni rese ai verbalizzanti dagli interessati, è carente un apporto probatorio  certo  tale da far escludere  profili di responsabilità a carico di una delle parti per non aver  né gli attori né la convenuta fornito la prova che il proprio  conducente fece  tutto il possibile per evitare il danno e di avere tenuto una condotta immune  da addebiti  ( ex multis  Cass. Civ. 19.4.94 n. 3726; Cass. 21.2.94 n. 2663).
E’ innegabile che la genesi verificatoria del sinistro sia da ascrivere ad entrambi i conducenti  e segnatamente a C. Giuseppe  per avere eseguito manovra di svolta a sinistra per immettersi nel distributore I.P. e a P. G. M. per  avere invaso, marciando a velocità sostenuta, la corsia opposta. 
Ne consegue che opera a carico dei configgenti, la presunzione di pari responsabilità di cui al secondo comma dell’art.2054 c.c. ai sensi del quale “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria che, ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente, a produrre il danno subito dai singoli veicoli”. Discende dalle superiori considerazioni che  la domanda attrice nei limiti del richiamato art. 2054 comma secondo, è meritevole di accoglimento.Danni alla persona C. Giuseppe Quantificazione del danno
1. Danno biologico da I.T.A. – I.T.P. – I.P.   Ritiene questo decidente  la relazione del dr. Alfio …, motivata congruamente e in maniera del tutto coerente, con le risultanze processuali, sicchè le sue conclusioni vanno condivise.  Il   predetto, infatti, ha accertato la compatibilità dei danni con la dinamica del sinistro, ha  descritto la natura delle lesioni riportate dal periziato, ha riferito sulla evoluzione clinica della malattia che ha comportato un periodo di I.T.A. di gg.10, un periodo di inabilità parziale al 50% di gg.10 e residuati postumi invalidanti nella misura del 2%.  Per la relativa liquidazione occorre fare riferimento alla tabella ex art. 139 del Dlgs. 209/2005, come aggiornata dal Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 27-5-2010, e pertanto  il danno da  I.T.P di gg. 10 al 75% può fissarsi in € 323,70  (€ 32/37 pro-die), quello da I.T.P. gg.10 al 50%  in € 215/80 (€ 21/58 pro-die) e quello da I.P. in € 1.481/10 (anni 28),  per un totale di € 2.020/60.
2. Danno non patrimoniale da sofferenza Prima di procedere alla concreta determinazione, è necessario svolgere alcune considerazioni sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale che verranno adottati, attese anche le non condivisibili, ormai superate  peregrine interpretazioni della difesa della Compagnia di Assicurazione, secondo la quale sussisterebbe duplicazione di risarcimento in caso di  attribuzione congiunta del danno biologico e del danno morale. E’ chiara la pronuncia della Cassazione SU (11-11-2008 n. 26972) che impone una rivisitazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, che non riguardano il danno biologico, inteso come sintesi descrittiva della lesione del diritto alla salute, relativamente al quale le Sezioni Unite hanno confermato l’inquadramento, ormai consolidato, nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., nonché la generalizzata tutela risarcitoria in virtù dell’esplicito riconoscimento normativo (a livello costituzionale e ordinario) del diritto alla salute.
Le novità riguardano invece, come rilevato in recente sentenza del Tribunale di Torino, con argomentazioni pienamente condivisibili,  quegli altri pregiudizi non patrimoniali indicati, con analoghe sintesi descrittive, come danno morale, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale; pregiudizi il cui catalogo, come precisa la Corte, non costituisce numero chiuso.
Sulle considerazioni svolte nella citata sentenza della Suprema Corte, il precitato Tribunale ha  esplicitato le seguenti osservazioni:a) Il danno non patrimoniale, da intendersi nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, è sempre risarcibile qualora l’illecito si configuri come reato (anche solo astrattamente). Al di fuori di questa ipotesi, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale può derivare o da specifica previsione normativa, attraverso la quale possono essere ammessi al risarcimento anche interessi non aventi rango costituzionale di diritti inviolabili; ovvero dall’accertamento della lesione di un diritto inviolabile della persona, ossia di una ingiustizia “costituzionalmente qualificata”.b) E’ stata da tempo superata l’affermazione secondo cui l’unico danno non patrimoniale risarcibile sarebbe quello “morale in senso stretto”, descritto tralaticiamente come lo stato di “patimento interiore” transeunte cagionato dall’illecito. Per un verso infatti, una tale sofferenza non è necessariamente transitoria, ma può protrarsi anche per lungo tempo, e merita ristoro nella sua interezza.
Per altro verso, accanto ad essa può esistere una diversa sofferenza, derivante dalla necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli precedenti o dal “non poter più fare” quello che si faceva prima. Ha quindi poco senso distinguere un danno morale tradizionalmente inteso, da un danno esistenziale consistente in questa seconda tipologia di pregiudizi.
La esasperata “etichettatura” delle varie figure di danno, se può avere una sua utilità dal mero punto di vista descrittivo, non appare funzionale (ed anzi talvolta è controproducente) rispetto all’obiettivo di risarcire il danno alla persona nella sua interezza evitando indebite duplicazioni.c)
La sentenza della Cass. Civ. SU n. 26972/2008, non giustifica in alcun modo letture “abolizioniste” del danno morale, pure prospettate da alcuni primi commentatori. Il passaggio da cui traggono spunto queste letture è quello (contenuto nel paragrafo relativo al danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni), ove la Corte afferma: “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. 
Ma questo passaggio va letto in stretta correlazione con quello precedente, ove si chiarisce cosa debba intendersi per danno morale: “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale.
Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti … senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano state dedotte siffatte conseguenze [cioè quando la sofferenza “diventa malattia”, n.d.a.], si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. 
La Corte non fa che ribadire nel senso che  il risarcimento deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre.
Dunque, il risarcimento del danno morale può costituire una duplicazione del già riconosciuto danno biologico; ma solo quando sia diretto a ristorare il medesimo tipo di pregiudizio (lesione del diritto alla salute). Al di fuori di questa ipotesi, si rinvengono invece, nella predetta sentenza, chiari indici della risarcibilità del c.d. danno morale (o, più esattamente, del ristoro, nell’ambito della generale categoria del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizi sino ad oggi risarciti come danno morale): al paragrafo 2.10 si chiarisce che “la formula <<danno morale>>non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata.
Sofferenza la cui intensità e durata non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.  Al paragrafo 3, la Corte, nel negare cittadinanza a una autonoma categoria di danno c.d. esistenziale, riconosce espressamente che le ragioni storiche sottese alla elaborazione dottrinale di una siffatta categoria non hanno più ragion d’essere oggi, perché i pregiudizi ad essa tradizionalmente ricondotti (non poter fare, dover fare diversamente, etc.) sono risarcibili nell’ambito del danno non patrimoniale (sempre che sussistano i presupposti del reato, ovvero del pregiudizio a diritti inviolabili della persona), senza necessità di dover creare ulteriori categorie.e) La Corte ha ribadito, infine, l’orientamento già espresso in numerose precedenti sentenze in tema di prova del danno: il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato.
Mentre per quanto riguarda il danno biologico il mezzo di prova cui si fa normalmente ricorso è l’accertamento medico legale (previsto dalla vigente normativa, ex art. 138 e 139 C.d.A.), pur se non come strumento esclusivo e necessario; per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova documentale, testimoniale e presuntiva.  Proprio quest’ultima – chiarisce la Corte – “è destinata ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri”; il danneggiato però avrà l’onere di “allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.
Con  sentenza del 13-5-2009, il Tribunale di Catanzaro, ha osservato che prima dell’intervento nomofilattico di Cass. Civ. SU sentenza 11-1-2008, n. 26972, in caso di danno alla salute, alla liquidazione del danno biologico, si aggiungeva, quasi indefettibilmente, la liquidazione del danno morale. «Nell’elaborazione delle c.d. tabelle del danno biologico, avvenuta prima del citato intervento della Cassazione, si era evidentemente tenuto conto di tale circostanza di fatto, cosicché il ristoro completo del danno alla salute, apprezzato sotto l’aspetto dinamico relazionale, avveniva soltanto mediante la liquidazione della posta risarcitoria definito come “danno biologico” e della posta risarcitoria definita come “danno morale”».  Orbene, secondo il giudice estensore, se, “mutato il quadro giurisprudenziale, ci si limitasse a risarcire il pregiudizio all’integrità psicofisica limitandosi ad applicare le tabelle del danno biologico, fintanto che queste non saranno aggiornate tenendo conto della sopravvenuta elaborazione giurisprudenziale, si finirebbe per sottodimensionare il ristoro del danno subito. 
Anche il Tribunale pratese, dopo un lungo excursus sulle sentenze gemelle e sulla presunta portata innovativa di dette sentenze, riconosce come “l’essere rimasto vittima di un evento traumatico, anche di una certa entità (n.d.r. nel caso in specie il 2% di I.P.), imprevisto ed imprevedibile, quale un incidente stradale determini nel soggetto un naturale patimento interiore, una sofferenza anche se temporanea e destinata a risolversi con una certa rapidità (si pensi anche solo allo spavento cagionato dall’evento ed alla paura necessariamente correlata alle sue conseguenze). E’ evidente che l’entità della lesione fisica subita e le modalità di accadimento del sinistro, siano determinanti non tanto al fine di stabilire se vi sia o meno anche una sofferenza interiore quanto al fine di graduare l’entità della liquidazione: tanto più grave è l’offesa tanto maggiori saranno le conseguenze fisiche e quelle “morali” (in termini di sofferenza dell’animo, di preoccupazione), pertanto non può prescindersi da una valutazione del caso concreto”. 
Continua ancora il Tribunale pratese asserendo che “le tabelle sulle micropermanenti, che parlano di solo danno biologico, come previste dal codice delle assicurazioni non possono essere satisfattive dell’effettivo pregiudizio subito dalla vittima, sia facendo riferimento a quanto sin ora esposto ma anche in relazione agli orientamenti della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, e non da ultimo dalla convenzione di Lisbona, ratificata dall’Italia, che affermano che il risarcimento del pregiudizio alla persona deve essere integrale e ristorare tutti i pregiudizi negativi subiti dal valore uomo, non essendo ammissibile un sistema liquidativo limitativo di tali danni e dovendo il giudice applicare al riguardo, la normativa comunitaria disapplicando quella nazionale contrastante, tenendo sempre presente il principio dell’integrale risarcimento del danno non patrimoniale, riconosciuto espressamente dalle stesse pronunce delle sezioni unite.
Per concludere sul punto la Costituzione Europea colloca il danno morale sotto il valore universale della dignità umana (art. II-61) dotata di inviolabilità e garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena (art6. II-107)”. Monetizzando il proprio ragionamento il Tribunale nell’ottica di un “ristoro per equivalente di tale lesione soggettiva indubbiamente esistente anche in caso di lesioni di lieve entità (ribadiamo del 2%, n.d.r.)”, ritiene “che la somma attribuita ai sensi delle succitate tabelle di riferimento debba essere aumentata della misura di € 1.000/00, tenuto conto della tenuità dei postumi permanenti e della breve durata della malattia metatraumatica”.
Non appare quindi temerario sostenere, che le note sentenze, non abbiano declinato i danni, ma li abbiano semplicemente visti sotto una  luce diversa. Le prime pronunce, al di là di qualche sbavatura terminologica, tra danno morale o personalizzazione del danno, si sono ormai incanalate verso un completo ristoro dei pregiudizi subiti dal leso, senza alcuna stima penalizzante del danno.
Va menzionato il Tribunale di Modena, (vd. risoluzione del Tribunale di Modena del 21.01.2009) che ha ritenuto che la decisione delle S.U. non esclude  nè limita la risarcibilità del danno morale, essendo invece richiesto un maggiore sforzo motivazionale e di personalizzazione del risarcimento”. Altri Tribunali, invece, stanno riflettendo sull’opportunità di rimodulare le tabelle risarcitorie.
Un particolare richiamo merita la sentenza n 1315/2009 del 5.10.2009 della  Corte di Appello di Torino Sezione 3° Civile -Consigliere relatore il dott. Umberto SCOTTI.  Sui  principi in tema di onere della prova osserva la Corte “ occorre considerare che in tema di onere della prova le quattro sentenze gemelle 26972/26975 del 2008 sono indubbiamente rimaste nel solco del consolidato indirizzo interpretativo costantemente seguito dalla Corte di Cassazione; la Suprema Corte ha ribadito infatti il suo costante insegnamento secondo il quale è il soggetto richiedente il risarcimento del danno non patrimoniale ad essere gravato dall’onere della prova di aver subito il pregiudizio dedotto (ai sensi della regola generale in tema di fatti costitutivi contenuta nell’art.2697 c.c.).
Il Supremo Collegio, peraltro, ha temperato il rigore del principio, rammentando che a tal fine il danneggiato può giovarsi di ogni mezzo di prova, non ultima la prova presuntiva, ex art.2729 c.c., che come la più recente giurisprudenza non si stanca di ripetere, come un vero e proprio leit-motiv, non può esser vista come uno strumento ancillare e subalterno nella gerarchia delle fonti di prova ma costituisce un mezzo di pari dignità degli altri, il cui campo di esplicazione in tema di prova del danno (e in particolare in tema di reazioni soggettive e psicologiche della persona offesa) risulta invece assai ampio. Si legge infatti nella sentenza delle Sezioni Unite:“Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l’accertamento medico-legale.
Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario.
Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l’accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante,sent. n. 9834/2002).
Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.”Nello stesso senso, e solo per citare alcune importanti e chiare pronunce, espressive dell’orientamento ricordato: Cassazione Civile, sez. III, 3-4-2008 n. 8546; sez. III, 19-1- 2007, n. 1203; sez. Lavoro, 26-3-2008, n. 7871, nonché da ultimo la recentissima Cass. Civ. sez.III°, 13.5.2009 n.11059 (caso “Seveso”) che ha puntualizzato“….. la sentenza è del tutto conforme a diritto dove afferma che il danno non patrimoniale consistente nel patema d’animo e nella sofferenza interna ben può essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell’uno in dipendenza del verificarsi dell’altro secondo criteri di regolarità causale.”
A tale risultato, caratterizzato dalla attribuzione dell’onere probatorio al danneggiato, la Suprema Corte perviene, in modo pressoché necessitato, per l’intento di evitare il riconoscimento di danni punitivi, reputati categoria giuridica incompatibile con il nostro ordinamento, risultato pratico in cui finirebbe con il risolversi il riconoscimento del  fatto stesso della lesione del diritto. Il retro-pensiero dogmatico emerge con chiarezza, anche letterale, in alcune pronunce della Suprema Corte; ad esempio: “Nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro; ne consegue che, pure nelle ipotesi di danno in re ipsa, in cui la presunzione si riferisce solo all’an debeatur (che presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque accidit) e non alla effettiva sussistenza del danno e alla sua entità materiale, permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno per equivalente pecuniario.”(Cassazione civile, sez. II, 12 giugno 2008, n. 15814; conformi sez. II, 27 ottobre 2008, n. 25849;sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20987; sez. III, 4 luglio 2007, n. 15131; sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183; sez. III, 8 novembre 2006, n. 23865). Sui principi in tema di allegazione e domanda del risarcimento del danno non patrimoniale dopo le sentenze delle Sezioni Unite 26972-26975/2008. Sostiene la Corte “ E’ assai difficile, indicare un’altra sentenza che abbia alimentato nella comunità degli “operatori del diritto” la stessa forte attesa della sua emanazione e abbia successivamente generato un così intenso dibattito e pure così vivaci polemiche come le pronunce gemelle n.26972-26975 del 14.11.2008 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.
Molti l’hanno apprezzata per lo sforzo ricostruttivo nella configurazione all’intero istituto del danno non patrimoniale, ricondotto a sistematica unità; molti altri l’hanno interpretata come l’emblema di una svolta restauratrice e conservatrice, repressiva di quella più pregnante tutela dei diritti della personalità insuscettibili di riconduzione ad una logica “reddituale”, prepotentemente richiesta dalla società civile, invitando ad una accanita “resistenza” morale contro il suo messaggio; non è mancato tuttavia, pur nell’ambito di tale schieramento, anche chi ha colto nelle pieghe della pronuncia segni di importanti riconoscimenti di principio.
In una prospettiva più tecnica, molti considerano la sentenza, come una sorta di summa,  in cui si debbano trovare tutte le risposte, come se essa avesse fatto tabula rasa di tutte le esperienze precedenti; altri (e tali voci di perplessità non mancano anche all’interno del Supremo Collegio: cfr, ad esempio, Cassazione, Sez. III, 29191 del 12.12.2008) cercano di sottolinearne la natura di provvedimento pur sempre giurisdizionale, ancorché autorevolissimo, sforzandosi di circoscriverne efficacia e portata, anche al fine di evitare la prospettazione di questioni di legittimità costituzionale, originate dall’enunciazione di un “diritto vivente” pedissequamente plasmato sulla base di una interpretazione letterale e restrittiva di passi della sentenza.
Nell’opera di corretta interpretazione dell’insegnamento delle Sezioni è necessario tener  perdere mai di vista, che la 26972/2008, è pur sempre una sentenza e non una fonte normativa, sicché non si registra alcun fenomeno di jus superveniens.
Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l’art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona, non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l’illecito civile extracontrattuale definito dall’art. 2043 c.c.
Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. In tali ipotesi non emergono, nell’ambito della categoria generale “danno non patrimoniale”, distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. E’ solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito”, e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario nè è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n. 15022/2005 n. 11761/2006, n. 23918/2006, che queste Sezioni unite fanno propri).” Che cosa significa, dal punto di vista strettamente processuale, la derubricazione di una voce di danno, a sintesi descrittiva di un pregiudizio, classificabile nell’ambito del più ampio genus del danno patrimoniale? Al proposito meritano un cenno alcuni interessanti spunti giurisprudenziali. Una pronuncia del 24.11.2008 della Corte di Appello di Perugia, di poco successiva all’intervento delle Sezioni Unite, osserva persuasivamente: “Stando alla nuova impostazione unitaria del danno non patrimoniale dettata dalle Sezioni Unite (Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972), nessuno spazio sembra essere riservato, sul piano liquidatorio alle voci di pregiudizio “degradate”.
Peraltro, tale “degradazione”, se ben si è inteso il senso dell’ “arresto”, rileva unicamente sul piano nominale. E’ da ritenere, invero, dato certo ed inoppugnabile che ai fini liquidatori tutti i pregiudizi devono venire in rilievo, al fine di garantire il risarcimento integrale, essendo stato ribadito che il giudice deve ”procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando anche le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Se pure “la parte del leone” è riservata al danno biologico, al danno biologico stesso è attribuita la “capacità di ricomprendere (con il corredo di una contabilizzazione riferita alle pieghe ripercussionali concretamente determinatesi), il pregiudizio morale e quello esistenziale”. Le Sezioni Unite (Cassazione Civile, SS.UU., 11.11.2008, n. 26972), dunque, non hanno determinato una deminutio di tutela, bensì una visione prospettica di questa diversa.”
Osserva ancora  la Corte che  l’intervento del Legislatore con il Codice delle assicurazioni private (decreto legislativo 7.9.2005, n. 209) che con gli artt. 138 e 139 ha descritto un danno biologico, comprensivo degli aspetti c.d. “dinamici” o “relazionali”,in termini di “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.” Importante novità della disciplina del Codice delle assicurazioni è rappresentata dall’introduzione della tabella unica nazionale per la liquidazione del danno biologico, sia sotto il profilo della previsione dell’incidenza percentuale delle varie menomazioni,sia sotto il profilo del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto alla luce dei coefficienti di variazione in dipendenza dell’età del soggetto leso; tale disciplina è stata dettata sia per le lesioni di non lieve entità superiori ai nove punti percentuali (sia pure con disposizione programmatica ancora priva della indispensabile tabella applicativa),sia per le lesioni di lieve entità (pari o inferiori al 9%), così sostituendo le previsioni e i valori di cui alla legge n.57 del 2001 e successive modifiche, relativamente alle cosiddette “micro permanenti”.
La normativa del Codice fissa con l’art.138 per le macropermanenti e con l’art.139 per le micropermanenti i valori utilizzabili per la liquidazione, contemplando la possibilità di un aumento massimo rispettivamente del 30% per le macropermanenti e del 20% per le micropermanenti (art.138, comma 3, e art.139, comma 3) in presenza di una rilevante incidenza della menomazione su specifici aspetti dinamico-relazionali personali. I limiti legali al risarcimento del danno alla salute previsti dal Codice delle assicurazioni,ut supra quantitativamente differenziati a seconda della natura della lesione (micropermanente o macropermanente), non suscitavano peraltro un particolare interesse, prima delle pronunce delle Sezioni Unite del 2008, sia perché erano collegati al sistema di calcolo del danno affidato a tabelle nazionali (al momento sussistente per le sole c.d. “micropermanenti”), sia e soprattutto perché nessuno aveva sostenuto – e forse nemmeno pensato – che le limitazioni risarcitorie sopra indicate si applicassero anche al danno morale. Da più parti ci si è interrogati, tenuto conto della valenza costituzionale del risarcimento del danno alla persona, alla luce del secondo comma dell’art. 3 della Costituzione e del principio della necessaria integralità del risarcimento, circa il rischio di illegittimità costituzionale dell’introduzione di limitazioni massime al risarcimento del danno alla persona, che non appaiano ragionevolmente giustificate da un interesse pubblico di rilievo costituzionale.
Almeno in linea di principio non sembra da escludersi la sussistenza di un apprezzabile interesse pubblico all’introduzione di un limite legale massimo del risarcimento, al fine di stabilizzare il mercato assicurativo e soprattutto di garantire una certa “uniformità” dei risarcimenti sul territorio nazionale ed una loro minima prevedibilità.
Il riconoscimento astratto dell’ammissibilità dell’introduzione di soglie-limite, di per sé non contrastante con la Costituzione, non significa però che il Legislatore non debba rispettare congrui parametri di ragionevolezza per introdurre le soglie. E’ in tale scenario che matura il sospetto, di incostituzionalità delle norme di cui agli 138 e 139 Codice delle assicurazioni ove le stesse fossero reinterpretate alla luce del “nuovo” art. 2059 c.c., così come ri-concepito dalle Sezioni Unite. Il più logico percorso ermeneutico, che sembra incontrare il favore delle prime risposte da parte della giurisprudenza di merito (cfr in termini vari, ad esempio: Trib. Catanzaro,sez. I civile, sentenza 15 marzo 2009; Tribunale Milano, sez. V civile, del 19 febbraio 2009 n. 233428; Tribunale di Bologna, sez. III, sentenza 29 gennaio 2009; Tribunale Nola, sez. II, 22 gennaio 2009, Tribunale Rovereto, 2 marzo 2009; Tribunale Palermo, sez. III civile, sentenza 3-6-2009), consiste nell’interpretare, in modo costituzionalmente orientato, gli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni nel senso che le soglie limite ivi contemplate (la prima delle quali al momento ancora non operativa) non si riferiscono alle voci (sottovoci o sintesi descrittive) di danno, diverse dal biologico, così selezionando quella che fra le varie interpretazioni possibili della normativa non si pone in rotta di collisione con la Costituzione.Deve ritenersi, pertanto, che l’esclusione della possibilità di liquidare autonomamente la  voce del “danno morale” quale categoria descrittiva, non comporti, tuttavia,  l’irrilevanza di tale sottovoce ai fini della quantificazione del “danno non patrimoniale” subito dalla vittima dell’illecito, al fine di garantire un ristoro “integrale” del pregiudizio sofferto.Tale linea ermeneutica è stata, del resto, fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità successiva alle sentenze gemelle (Cass. 12 dicembre 2008, n. 29191; Cass. 13 gennaio 2009, n. 379; Cass., SS.UU., 14 gennaio 2009, n. 557), che ha affermato che l’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, è bene tutelato dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona,ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, sicché il giudice deve valutare tale voce di danno a fini risarcitori, sia che esso si produca contestualmente al danno alla  salute sia che si realizzi indipendentemente da esso, stante la diversità, l’autonomia e la rilevanza costituzionale del bene protetto. In tempi recentissimi si è registrato un altro pronunciamento della Corte di Cassazione (Sezione III°- sentenza 20-5-2009, n. 11701) sul tema, con cui è stato ribadito il diritto del danneggiato al risarcimento del pregiudizio da sofferenza morale, non assorbito dalla presenza di un pregiudizio biologico medicalmente accertato, da apprezzare equitativamente e senza automaticità proporzionali nel contesto di una valutazione integrata e complessiva del danno non patrimoniale.
La Suprema Corte ha così censurato la sentenza di merito per non aver provveduto ad  un completo ristoro del danno non patrimoniale, componente morale:Nella sentenza dell’11 giugno 2009, n. 13530, la III° sezione civile della Cassazione, dopo aver ricordato che la decisione delle Sezioni Unite pone “un duplice scudo di tutela per i diritti umani fondamentali, sia da illecito aquiliano che da illecito contrattuale, e pertanto tale filonomachia [rectius: nomofilachia] si conforma alla grande tradizione europea del riconoscimento e concreta tutela civile e giurisdizionale dei diritti fondamentali (che la Carta di Nizza ed il Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 152, impongono agli Stati della Unione)”.
La posta del danno morale deve essere dunque comparata a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della Costituzione. 
Al contrario il  danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave, in relazione all’attentato alla dignità morale del minore ed alla compromissione del suo sviluppo interrelazionale e sentimentale. La regula iuris della unitarietà del danno non patrimoniale, affida al giudice un obbligo giuridico di completa ed analitica motivazione giuridica per la ponderazione delle voci di danno giuridicamente rilevanti, tanto più quando vengono in esame varie e contestuali lesioni di diritti umani. Non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale, proprio perchè questo ultimo non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana,di cui tanto si discute per l’autodeterminazione delle scelte di vita e di fine vita.
La prudenza e la coscienza sociale del giudice terrà conto dunque della gravità e della serietà delle lesioni, che hanno decisamente superato la soglia della tolleranza, per colpire beni essenziali della persona di un minore innocente, con una valutazione unitaria coerente e personalizzante.  Questa è la lezione delle Sezioni Unite che tutti i giudici debbono applicare.”
Con sentenza 8 Febbraio-10 Marzo 2010 n. 5770 il Supremo Collegio ha ribadito che “Nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve, in ogni caso, tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento. Al fine della liquidazione del danno non patrimoniale, è appena il caso di ricordare che nella quantificazione del danno morale la valutazione di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, si deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi l’adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico”. Il problema, attuale e scottante, è se operino al riguardo le soglie massime di cui agli artt.138 e 139 del Codice delle assicurazioni (ovviamente per i fatti illeciti soggetti a tale disciplina).
In dottrina si è sostenuto che nel caso di danno alla salute provocato da sinistri stradali, e che abbia avuto esiti permanenti non superiori al 9 per cento, la fissazione della misura del risarcimento ad opera direttamente della legge, con la ricordata circoscritta possibilità di aumentare il relativo importo non oltre il 20%, impone di considerare la sofferenza causata dalle lesioni nella liquidazione del danno biologico, evitando la duplicazione risarcitoria di affiancare alla liquidazione del danno biologico quella del pregiudizio un tempo definito danno morale, suscettibile quindi di valutazione solo come fattore di personalizzazione della liquidazione del danno biologico nell’ambito dell’aumento del 20%. La stessa dottrina (salvo poi dubitare della ragionevolezza costituzionale dell’entità della soglia) ritiene che analoga limitazione varrà anche per i danni con postumi superiori al 9%, non appena sarà emanato il decreto di approvazione della tabella delle invalidità e assicurazioni relativamente alle c.d. macropermanenti, con l’unica differenza della soglia limite fissata ex lege nel 30%.
La Corte non ritiene corretta tale lettura di norme di diritto positivo elaborate in un contesto storico e sistematico che si riferiva al solo danno alla validità biologica medicalmente accertato, e non già al pregiudizio all’integrità morale della persona. Ogni residuo dubbio é peraltro dissipato dalla necessità di adottare una lettura costituzionalmente orientata della normativa del Codice delle assicurazioni che ne assicuri, oltre che l’aderenza alla sua origine storica e funzione sistematica, la compatibilità con i valori costituzionali.
Tale compatibilità sarebbe sicuramente pregiudicata dall’introduzione di un tetto percentuale vincolante al risarcimento dell’integrità morale della persona, fra l’altro irrazionalmente collegato all’entità del danno biologico; vi possono essere lesioni assai lievi che cagionano un forte trauma alla persona che le subisce (si pensi alla ferita non grave, ma impressionante, esemplificata in dottrina), vi possono essere fatti illeciti che provocano un trauma morale molto più consistente di quello fisiologico ( si pensi al caso degli abusi sessuali su cui è intervenuta la sentenza 13530/2009 della Cassazione)”.
A giudizio di questo decidente è innegabile e va affermata la sicura risarcibilità del danno non patrimoniale (sub specie di danno morale) e sono da ritenere non condivisibili  quelle prassi liquidatorie  che non riconoscono  la risarcibilità del morale.
Da qualsiasi angolo di visuale, la pietra miliare del danno non patrimoniale non può che identificarsi nell’imprescindibile stima e liquidazione di ogni pregiudizio patito dal danneggiato alla propria integrità psico-fisica, agli aspetti dinamico relazionali personali oltre al pretium doloris. Il danno non patrimoniale “da sofferenza” consiste nel patimento interiore (temporaneo o no) causato dall’illecito: sia per il turbamento e per i disagi che esso ha in concreto comportato, sia per le privazioni cui ha costretto la vittima.  Come osserva il Tribunale di Torino, ai soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione. Rientrano in questo gruppo i casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p. es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi o con postumi minimi. In questi casi la “sofferenza morale” è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea.
Considerata però la temporaneità del “pregiudizio morale”, si ritiene che la liquidazione debba essere contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico. Rientrano in questo gruppo i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità; ed è normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente, …)  e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti. Anche in questo caso, al pari di quello che precede, il “patimento morale” è il portato di una lesione fisica, pur essendo ontologicamente diverso da essa (e ciò giustifica il riconoscimento di questa voce di danno in aggiunta a quello biologico); anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico.
Va però considerato che, nella normalità dei casi, il primo dei pregiudizi sopra descritti (sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica) può ritenersi provato in via presuntiva, poiché è normale che dalla lesione alla integrità fisica derivi questo tipo di sofferenza; non così il secondo (sofferenza derivante dal non poter fare), che deve essere positivamente dimostrato dando la prova delle attività cui prima si era dediti e che sono oggi precluse. Il danno in oggetto, ove sia limitato alla sofferenza morale derivante dalla lesione, possa essere liquidato in misura variabile da un quarto alla metà del danno biologico; qualora invece siano provati  pregiudizi ulteriori (non poter svolgere specifiche attività cui il danneggiato era effettivamente e con una certa continuità dedito), indicativi di una più  intensa “sofferenza da privazione”, il danno vada liquidato in misura superiore, da un minimo di un terzo a un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico. Rientrano in questo gruppo i casi in cui il “patimento” da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico, il quale può essere minimo o anche del tutto assente; si pensi al danno derivante da una diffamazione; ovvero quello derivante dall’essersi sottoposto a un lungo e penoso ciclo di cure mediche inutili (pur se non dannose). In dette ipotesi la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità del singolo caso.
Nella fattispecie de qua, sussiste la base probatoria essenziale per ipotizzare anche la risarcibilità del danno non patrimoniale da sofferenza morale in applicazione del disposto di cui all’art. 2059 c.c., essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato.
A poca distanza di tempo dalle decisione n. 26972/2008 delle SS.UU. della Cassazione si registra un importante intervento del Legislatore che, seppur in una materia del tutto peculiare, interviene in un settore speciale. Si tratta del D.P.R. 3-3-2009 n. 37- regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell’articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244). L’art. 5 del suaccennato decreto, introduce criteri legali per la determinazione dell’invalidità permanente. La percentuale d’invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, e’ attribuita scegliendo il valore più favorevole tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidità e relative modalità d’uso approvate, in conformità all’articolo 3, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, con il DM 5 febbrai 1992 e successive modificazioni, e il valore determinato in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915.  La percentuale del danno biologico (DB) e’ determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri applicativi di cui agli articoli 138, comma 1, e 139, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni.
La determinazione della percentuale del danno morale (DM) viene effettuata, caso per caso, tenendo conto della entità della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all’evento dannoso, in una misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico. La percentuale di invalidità complessiva (IC), che in ogni caso non puo’ superare la misura del cento per cento, e’ data dalla somma delle percentuali del danno biologico, del danno morale e del valore, se positivo, risultante dalla differenza tra la percentuale di invalidità riferita alla capacità lavorativa e la percentuale del danno biologico: IC= DB+DM+ (IP-DB). Due rilievi sono importanti a giudizio del giudice Giuseppe Buffone:  1°) Il Legislatore “collega” il danno biologico menzionato nel decreto in commento (37/09) a quello di cui al Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/05). 2°) nella determinazione del danno morale si deve tenere conto della “lesione alla dignità della persona”.E’ chiaro, quanto al primo punto, che il Legislatore va introducendo un sistema risarcitorio del danno biologico compatto ed omologato, come disegnato nel d.lgs. 209/05 (artt. 138, 139), il che rende i teoremi del decreto 37/2009 non certo periferici ma emersione, a valle, di una mens legis unitaria a monte. E’ evidente, quanto al secondo punto, che il Legislatore richiama la giurisprudenza che ha dichiarato l’autonomia ontologica del danno morale facendone presidio della dignità umana.  Il Legislatore, almeno stavolta, è assolutamente chiaro poiché ricorre alle formule matematiche. L’invalidità complessiva è uguale a: “DB + DM” (…).
Danno biologico che si cumula al danno morale. Sconfessata, expressis verbis, la tesi della somatizzazione del pretium doloris.  Il ricorso alle “formule matematiche” (DB + DM) ed alle “sigle” (DB, DM) sembra, a giudizio del precitato autore, quasi voler scongiurare il rischio di una Torre di Babele interpretativa ove ogni augure assegna al concetto il significato giuridico che più gli aggrada.  Meritano un richiamo le nuove tabelle milanesi  “2009” per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita del rapporto parentale. “
Le Tabelle milanesi utilizzate prima delle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione dell’11.11.2008 individuavano valori “standard” di liquidazione del c.d. danno biologico, parametrati alla gravità della lesione alla integrità psico-fisica e alla età del danneggiato,prevedendo poi la liquidazione del c.d. “danno morale” in misura variabile tra 1/4 e 1/2 dell’importo liquidato a titolo di danno biologico,nonchè la c.d. personalizzazione del danno biologico, con aumento fino al 30% dei valori “standard”, in riferimento a particolari condizioni soggettive del danneggiato.
A seguito del nuovo indirizzo giurisprudenziale di cui alle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione dell’11.11.2008, l’Osservatorio per la giustizia, civile di Milano ha rilevato l’esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute e ha constatato l’inadeguatezza dei valori monetari finora utilizzati nella liquidazione del c.d. danno biologico a risarcire gli altri profili di danno non patrimoniale. Ha proposto  quindi la liquidazione congiunta:del danno non patrimoniale conseguente a “lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale”, sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari,e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “dolore”, “sofferenza soggettiva”, in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione,vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di:c.d. danno biologico “standard”,c.d. personalizzazione  -per particolari condizioni soggettive-  del danno biologico,c.d. danno morale.Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, il predetto osservatorio ha quindi pensato:a una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva);a una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi  -onde consentire una adeguata “personalizzazione” complessiva della liquidazione-  laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare:sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al “dito del pianista dilettante”),sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo),ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori massimi in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti.
La versione finale delle nuove Tabelle -varata nella riunione dell’Osservatorio del 28 aprile 2009 segue ed innova l’impianto delle precedenti tabelle quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all’integrità psico-fisica, in particolare:individuando il nuovo valore del c.d. “punto” partendo dal valore del “punto” delle Tabelle precedenti 1 (relativo alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato-in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione “medio” anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla “sofferenza soggettiva”-di una percentuale ponderata (dall’1 al 9% di invalidità l’aumento è del 25% fisso, dal 10 al 34 % di invalidità l’aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l’aumento torna ad essere fisso al 50%),così tenendo conto del fatto che, a partire dal 10% di invalidità, in concreto le liquidazioni giurisprudenziali ante 11.11.2009 si sono costantemente attestate intorno ai valori più alti della fascia relativa al c.d. danno morale, secondo le tabelle all’epoca in uso parametrato tra un quarto e la metà del valore di liquidazione del c.d. danno biologico e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione. A seguito del nuovo orientamento giurisprudenziale, l’Osservatorio ha  prospettato poi anche una rivisitazione dei valori in passato liquidati a titolo di c.d. danno biologico e morale temporaneo, anche in questo caso proponendo una liquidazione congiunta dell’intero danno non patrimoniale “temporaneo” derivante da lesione alla persona.
In particolare, sempre tenuto conto dei precedenti degli uffici giudiziari di Milano, ha divisato:per il risarcimento del danno non patrimoniale “temporaneo” complessivo corrispondente a un giorno di invalidità temporanea al 100%,una forbice di valori monetari,da un minimo di euro 88,00 ad un massimo di euro 132,00 (il valore minimo della forbice è stato ottenuto aumentando del 25% il valore base di liquidazione  -rivalutato al 2009 e pari a euro 70,56  finora in uso per la liquidazione del c.d. danno biologico temporaneo-  mentre il valore massimo è stato ottenuto aumentando il valore minimo del 50 %), onde così consentire l’adeguamento del risarcimento alle caratteristiche del caso concreto. Sull’applicazione delle tabelle elaborate del Tribunale di Milano ai fini del risarcimento del pregiudizio non patrimoniale extrabiologico, recentemente,  si è espressa la Corte d’Appello di Catania  con sentenza n. 885 del 20 luglio 2010 : “..può condividersi l’opera ermeneutica della S.C., attraverso la quale, superato ormai, il feticcio preclusivo di cui all’art. 2059 c.c., tuttavia, per un verso, è stato escluso lo snaturamento dell’illecito non patrimoniale, il quale deve conservare natura tipica, e, per altro verso, impedito che, sotto le più varie etichette nominalistiche si possa ottenere ristoro, in assenza di lesione di specifiche posizioni garantite dalla legge, o dai principi costituzionali. Cosicché in aderenza al detto autorevole orientamento giurisprudenziale, se è pur vero che il danno non patrimoniale derivante dalla sofferenza psichica (o per meglio dire morale) causata, quale conseguenza diretta, dalle lesioni fisiche patite costituisce intima componente di queste ultime, non può negarsi, per un verso, che prima del riferito autorevole radicale mutamento d’indirizzo, le tabelle curiali solitamente in uso, tenendo distinti i due profili di danno, per forza  di cose, contenevano il ristoro del “biologico” al c.d. “biologico in senso stretto”, per altro verso, che l’intervento interpretativo della S.C. impone, secondo il suo stesso dettato, che il Giudice qualora si avvalga delle note tabelle dovrà procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Difatti, se vanno scongiurate duplicazioni, del pari, non possono ammettersi menomazioni del principio dell’integrità del risarcimento.
Senza necessità di giungere a non tanto larvate sconfessioni dell’arresto delle SSUU ad opera, peraltro, anche di statuizione della stessa S.C. a sezione semplice ( Cass. 12 dicembre 2008 n. 29191), devesi condividere l’esigenza di far luogo ad adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, il quale tenga conto del pregiudizio patito dal soggetto, oltre che sul piano anatomo-funzionale, su quello della soggettiva sofferenza extrabiologica, dimostrabile anche per via di presunzioni. La detta quantificazione è rimessa all’integrazione equitativa del giudice, il quale, nell’orientarsi può fare riferimento a prassi curiali di questo o quell’ufficio, più o meno diffuse ( le c.d. tabelle), fermo restando che il detto richiamo, perciò solo, non fa diventare normativa la prassi, dalla quale il giudicante può ben discostarsi.
Questa Corte, premesso non esservi obbligo per il giudice di aderire a questa o a quella prassi, tabellare o meno, attualmente in uso,  rilevando solo che la quantificazione sia idonea a risarcire il pregiudizio non patrimoniale extrabiologico, che dall’evento si reputi essere derivato, anche in via presuntiva e non oltre quello, reputa congruo fare applicazione delle tabelle recentemente elaborate, dopo l’arresto delle SSUU,  dall’Osservatorio per la giustizia civile di Milano” .
In tema di danni alle vittime del terrorismo con il D.P.R. 30.10.2009 n° 181 , G.U. 16.12.2009  il Legislatore riafferma , con forza, la valenza ontologica del danno morale quale autonoma categoria di danno in seno al pregiudizio non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. Il richiamato D.P.R. introduce un Regolamento recante i criteri medico-legali per l’accertamento e la determinazione dell’individualità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell’articolo 6 della legge 3 agosto 2004, n. 206. In questo nuovo intervento normativo, il Legislatore non solo continua a tenere distinte le due voci di danno ma addirittura offre una nozione legale di danno morale. Ai sensi dell’art. 1, infatti:a) per danno biologico, si intende la lesione di carattere permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre redditob) per danno morale, si intende il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato. Il D.P.R. 181/2009 è l’ennesima ragionevole riconferma di un principio generale in una materia specifica che il danno morale è danno autonomo, che gode di indipendenza e dignità proprie, per cui non pare adeguata, come afferma il giudice Buffone, una valutazione automatica per indici percentuali che non tenga conto, caso per caso, del tipo di lesione, della natura del danno e delle circostanze dell’illecito.
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 3397 del 28/05/2010 ha statuito che,  il danno non patrimoniale, deve ritenersi risarcibile, non solo nei casi contemplati da apposita previsione di legge, ma anche in caso di lesione dei valori fondamentali della persona, tutelati dalle disposizioni immediatamente precettive della Carta Costituzionale.         Danno non patrimoniale, danno morale, micropermanenti, quantum, risarcimento, rilevanza Cassazione Civ., sez. III, ord. 19816 del 17-9-2010:  “
La parte danneggiata da un comportamento illecito che oggettivamente presenti gli estremi del reato ha diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., i quali debbono essere liquidati in unica somma, da determinarsi tenendo conto di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto (sofferenze fisiche e psichiche; danno alla salute, alla vita di relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.).”         Ritiene questo giudicante che vada riconosciuto siffatto danno non patrimoniale, e  sia comunque necessario procedere ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del medesimo che tenga conto della sofferenza morale, da considerarsi provata in base a semplice interferenza presuntiva, tenuto conto del sentimento normalmente percepito da un soggetto che subisce lesioni personali. In considerazione della diagnosi di contusione gluteo dx; contusione della colonna cervicale, cervicalgia post traumatica e degli esiti di trauma distorsivo al rachide cervicale con rachialgia, contrattura dei muscoli paravertebrali e limitazione funzionale antalgica del capo di medio grado, dei protocolli praticati detto danno può determinarsi in € 500,00 Conclusivamenteritenuta la pari corresponsabilità dei confliggenti, l’obbligazione risarcitoria da porre a carico della convenuta  viene ad ammontare ad € 1.260/30, somma sulla quale  vanno corrisposti gli interessi legali dal fatto al soddisfo.Spese della CTUVanno poste in via definitiva a carico della convenuta metà delle spese della CTU  liquidate in toto in € 320/00  oltre IVA sull’imponibile di € 300/00 e nella metà in € 160/00 oltre IVA sull’imponibile di € 150/00, rimanendo il restante importo a carico di C. Giuseppe.
Danni al mezzo- M. Anna T.  Le conclusioni della C.T.U. appaiono condivisibili perché sufficientemente dettagliate e corrette.  Il C.T.U., infatti, ha riferito sulla compatibilità dei danni con la dinamica del sinistro, ha accertato e descritto la natura delle avarie riportate dall’autoveicolo attoreo, ha indicato il periodo necessario per l’esecuzione dei lavori ed ha opportunamente riscontrato le non condivise osservazioni del p.a. Vassallo.
Cosicché il danno arrecato al veicolo può essere quantificato in € 6.218/00 cui vanno aggiunti  € 300/00 liquidati in via equitativa, a titolo di danno da fermo tecnico, che, come è noto, va indennizzato per l’impossibilità, da parte del  proprietario, di utilizzare il mezzo durante il tempo necessario alla sua riparazione, indipendentemente da una prova specifica in ordine al danno subito, in quanto, anche durante la sosta, questi è tenuto a sopportare le spese di gestione del veicolo che è, altresì, soggetto ad un naturale deprezzamento di valore (Cass. 14.12.2002 n.17963) L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario (Cass. Civ., sez. III, 27.01.2010 n. 1688; conforme: Cass. 9 novembre 2006, n. 23916).
Tale orientamento è peraltro ormai radicato nel Supremo Collegio,  atteso che lo stesso più volte ha avuto modo di statuire  che:”……Il giudice di merito non può ignorare che il danno al mezzo meccanico da sinistro stradale provoca al danneggiato questo ulteriore pregiudizio economico, costituito dalla perdita della disponibilità del mezzo meccanico durante il tempo necessario per le riparazioni, e in presenza di un danno certo, ma non determinato nella sua esatta entità, ha l’obbligo di provvedere alla liquidazione del medesimo in via equitativa, secondo il disposto dell’art. 1226 c.c.” (Cass. civ. 12908/2004). “Il danno da fermo tecnico può essere liquidato in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., indipendentemente dalla prova specifica, dovendosi dare rilievo al fatto che la mancata disponibilità del veicolo è di per sé idonea a provocare al danneggiato un ulteriore pregiudizio economico, certo nella sua esistenza, pur se difficilmente determinabile nella sua precisa entità, essendo indubbio che il danneggiato dovrà affrontare delle spese per muoversi con altri mezzi, e che dovrà comunque sopportare i costi dell’autovettura” (Cassazione civile , sez. III, 21 ottobre 2008, n. 25558).Conclusivamente,ritenuta la pari corresponsabilità dei confliggenti, l’obbligazione risarcitoria da porre a carico della convenuta  viene ad ammontare ad € 3.259/00, somma sulla quale  vanno corrisposti gli interessi legali dal fatto al soddisfo.Spese della CTU Vanno poste in via definitiva a carico della convenuta, metà delle spese della CTU  liquidate in toto n € 300,00  oltre IVA sull’imponibile di € 250/00 e nella metà in €. 150/00 oltre IVA sull’imponibile di € 125/00 rimanendo il restante importo a carico di M. Anna T..Spese del giudizio In considerazione della ritenuta pari corresponsabilità dei collidenti, della natura della controversia, dell’attività difensiva concretamente svolta e dell’importo liquidato, condanna la MILANO Assicurazioni spa al pagamento della metà delle spese del presente giudizio, in favore degli attori che, vengono determinate, in parte qua, nell’importo di € 1.348/00, di cui € 98/80 per spese, € 450/00 per competenze ed € 800/00 per onorari legali, oltre 12,50% per spese generali, IVA e CPA nelle misure di legge e sugli imponibili.  Dichiara compensate la restante metà delle spese di causa.

                                                                        P.Q.M.

Il Giudice di Pace, definitivamente pronunziando nella causa civile n° 541/2010 RG. promossa da M. Anna T. e C. Giuseppe  contro MILANO Assi.ni spa, ogni eccezione e censura disattese, accoglie la domanda nei limiti precisati in parte motiva e, per l’effetto, condanna la convenuta  a corrispondere a C. Giuseppe €. 1.260.3, somma sulla quale  vanno corrisposti gli interessi legali dal fatto al soddisfo e a M. Anna T. € 3.259/00, somma sulla quale  vanno corrisposti gli interessi legali dal fatto al soddisfo. Condanna altresì la convenuta alla  corresponsione in favore degli attori delle  spese processuali  e di consulenze come fissate in parte motiva. 
La sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti ai sensi dell’art. 282 c.p.c. come da ultimo modificato dalla L. n. 534/95. Così deciso in Mascalucia, il 20-10-2010. 
                                                                                                                   
                                                Il Giudice di Pace 
                                               Avv. Antonio Zarrillo         

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