Diffamazione a mezzo stampa – querela – archiviazione – risarcimento danni in sede civile – inammissibilità – 12.11.07.-

Il Giudice di Pace di Pozzuoli, Avv. Italo Bruno, ha emesso una interessante sentenza: “ la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio o a querela di parte non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato, se non quando essa possa considerarsi calunniosa. Al di fuori di tale ipotesi, infatti, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, togliendole efficacia causale e così interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato. Ne consegue che spetta all’attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza dell’innocenza del denunciato;  Il c.d. “danno esistenziale” non è un danno in re ipsa ma, va provato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, anche a mezzo di presunzioni e valutazioni prognostiche”.         

                                                                          REPUBBLICA ITALIANA   

                                                                   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO   

L’Avv. Italo BRUNO,   Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli,   ha pronunciato la seguente   S E N T E N Z A   

nella causa iscritta al n° ../07 R.G. – Affari Contenziosi Civili – avente ad oggetto:   
Risarcimento danni,   T R A   
(…) Gennaro, nato a (…) il (…) ed ivi res.te alla Via (…) n.(…) – c.f. (…) – elett.te dom.to in (…) (NA) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Domenico (…) che lo rapp.ta e difende giusta mandato a margine dell’atto di citazione; ATTORE   
E   
(…) Giuseppe, nato a (…) (NA) il (…) – c.f. (…);   (…) Gennaro, nato a (…) (NA) il (…) – c.f. (…);   (…) Giuseppe, nato a (…) (NA) il (…) – c.f. (…);   (…) Antonio, nato a (…)(NA) il (…) – c.f. (…);   tutti res.ti in (…) (NA) alla Via (…) n.(…);   
(…)T. nato a (…) (NA) il (…) – c.f. (…) – res.te in (…) (NA) alla Via (…) n.(…);   tutti elett.te dom.ti in (…) (NA) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Antonio (…) che li rapp.ta e difende giusta mandati a margine alla comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale; CONVENUTI  
CONCLUSIONI   Per l’attore: accogliere la domanda; condannare i convenuti, in solido, al pagamento in suo favore della somma di € 800,00; vittoria di spese, diritti ed onorari.   
Per i convenuti: rigettare la domanda in quanto inammissibile, improcedibile, infondata in fatto ed in diritto e non provata; accogliere la spiegata domanda riconvenzionale e, per l’effetto, accertata e dichiarata la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., condannare l’attore al pagamento in favore di ciascuno dei convenuti di quella somma ritenuta di giustizia; vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.   

                                                                      SVOLGIMENTO DEL PROCESSO   

(…) Gennaro, con atto di citazione ritualmente notificato il 26-27/10/06 a (…) Giuseppe, (…) Gennaro, (…) Giuseppe, (…) Antonio e (…) Renato, li conveniva innanzi a questo Giudice affinché – accertato il comportamento illecito di essi convenuti – fossero condannati al pagamento di € 800,00, quale spesa sostenuta nel procedimento penale instaurato nei suoi confronti dagli stessi convenuti ed in subordine quale risarcimento danni subiti per l’ingiusta accusa.   
Nell’atto di citazione assumeva:   – che, in data 28/5/01, i convenuti, in proprio e nella qualità di Consiglieri del Consiglio di Amministrazione della Coop. (…), lo denunciavano per diffamazione a mezzo stampa;   
– che, a seguito del procedimento penale instauratosi, recante il n…./01 RG, in data 28/11/02 il P.M. ne richiedeva l’archiviazione;   
– che, avverso la predetta archiviazione, i convenuti si opponevano con atto del 17/1/03;   
– che, a seguito di ciò era stato costretto a difendersi dalle ingiuste accuse, sostenendo spese legali per € 800,00, come da fattura allegata agli atti;   
– che, l’ingiusta accusa era stata provata dalla definitiva sentenza di archiviazione pronunciata dal G.I.P. in data 17/10/03;   
– che, inutilmente, a mezzo racc. del 3/5/04 e 23/7/04 aveva richiesto il rimborso della spesa sostenuta o il ristoro dei danni subiti.   
Instauratosi il procedimento, si costituivano i convenuti che impugnavano la domanda e spiegavano domanda riconvenzionale per lite temeraria, ex art. 96 c.p.c.   Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, non essendo necessaria alcuna istruzione, sulle rassegnate conclusioni, all’udienza del 24/10/07, la causa veniva assegnata a sentenza.   

                                                                        MOTIVI DELLA DECISIONE   

La domanda è infondata e non può essere accolta.   
L’attore fonda la richiesta sulla responsabilità aquiliana che, in capo ai convenuti, si concretizzerebbe nella condotta di aver, dapprima ingiustamente querelato lo stesso attore e, poi, alla richiesta del Pubblico Ministero di archiviazione del procedimento penale (R.G.N…/01), di aver proposto opposizione dinanzi al G.I.P., così causandogli un danno di € 800,00 per spese sostenute nel difendersi dall’ingiusta accusa.   
In subordine, l’attore chiede la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, in via equitativa, per il pregiudizio sofferto.   
A monte della vicenda c’è l’articolo di giornale (Il Notiziario Flegreo del 3/3/01), in cui si riportava il contenuto di un documento-esposto inviato da undici abitanti della Cooperativa (…) contro il Consiglio di Amministrazione della predetta.   
Lamenta l’attore, che la querela presentata, ma ancor più l’opposizione proposta alla richiesta d’archiviazione del P.M., è ingiusta e pretestuosa e che, appunto, ha causato allo stesso, oltre all’esborso della spesa per la difesa in sede penale, la sofferenza di un pregiudizio.   
La prova oggettiva di tanto sarebbe data dal provvedimento del G.I.P. che, all’esito della camera di consiglio, è stato di archiviazione del procedimento penale nato con la presentata querela per diffamazione.   
Orbene, va rilevato che la giurisprudenza unanime ha sempre negato la sussistenza di responsabilità civile (nella specie, aquiliana) sia per il denunziante sia per il querelante nel caso di proscioglimento o di assoluzione, laddove non venga riscontrato dolo o colpa grave nella condotta posta in essere.   
La giurisprudenza di legittimità e di merito è conforme nel ribadire che:   – la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato, se non quando essa possa considerarsi calunniosa.
Al di fuori di tale ipotesi, infatti, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, togliendole efficacia causale e così interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato.
Ne consegue che spetta all’attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza dell’innocenza del denunciato (Cass. civ., Sez. III, 25/05/04, n.10033; App. Roma, Sez. III, 20/2/07);   – la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato, a meno che essa non integri gli estremi del delitto di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale e interrompendo, così, ogni nesso tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato (App. Roma, Sez. III, 06/2/07; Trib. Genova, Sez. II, 26/6/06);   – anche in caso di proscioglimento o di assoluzione dell’imputato, la denuncia di un reato perseguibile a querela di parte non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante…..
Inoltre, la condanna del querelante ex art. 427 cpp, per l’ipotesi di azione penale intrapresa con colpa grave è inammissibile, potendo essere emessa dal Giudice Penale e solo con la sentenza pronunciata nel giudizio cui la querela si riferisce (Trib. Reggio Calabria 15/2/06 n.241).   
Nel caso di specie, va osservato, seguendo il solco della giurisprudenza di legittimità, che “l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del querelante, che non è idonea in sé ad instaurare il processo o ad investire direttamente il p.m., cui in via esclusiva compete l’iniziativa e lo svolgimento dell’azione penale, con conseguente interruzione del nesso causale tra iniziativa privata ed eventuali danni subiti dal querelato” (Cass. Civ. Sez. III, 23/1/02 n. 570).   
Per l’assenza nel nostro sistema dell’azione penale di natura privata, è sempre l’organo pubblico nella sua titolarità (costituzionale) esclusiva dell’azione penale, il dominus dell’instaurazione del procedimento penale, così interrompendo sempre ogni nesso causale tra notizia criminis (querela o denunzia che sia) ed il danno che il querelato abbia avuto a subire.   Di più, aggiunge la giurisprudenza unanime che si condivide completamente in questa sede, la denunzia può esser fonte di responsabilità risarcitoria esclusivamente laddove la denunzia stessa sia calunniosa, poiché realizzata con dolo.   
Prova della calunnia è in ogni caso sempre a carico di colui che chiede, poiché “ … spetta all’attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza dell’innocenza del denunciato” (Cass. civ., Sez. III, 25/05/04, n.10033).   
Nel caso in esame, manca anche il presupposto dato dalla consumazione del delitto di calunnia in capo ai querelanti.   
La prova del dolo (o della colpa grave), infatti, non solo non è stata fornita a questo Giudicante, ma è stata esclusa dal G.I.P. nella sua ordinanza di archiviazione del procedimento penale.   
Infine, c’è da evidenziare che nel nostro ordinamento vige il principio che le spese di un procedimento devono essere regolate nello stesso e non possono essere liquidate da un altro Giudice in un altro procedimento.   
Per quanto concerne la domanda subordinata di richiesta di risarcimento dei danni per il “pregiudizio sofferto”, questo Giudice si è gia espresso, in merito, in altre sue sentenze nel senso che, detto risarcimento non può trovare ingresso nel c.d. “danno esistenziale”, così come definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza:   – danno non patrimoniale, inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona;   – la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante per la persona, risarcibile nelle sue conseguenze non patrimoniali   – un “non fare”, o meglio un non poter più fare, un dover agire altrimenti, un relazionarsi diversamente;   – ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.   
L’essere stato querelato non può avere comportato all’attore una “lesione” tale da essere risarcita nel c.d. “danno esistenziale”.   
Diversamente, ogni “pregiudizio” che dovesse capitare alla persona umana, dovrebbe essere risarcita!   Ogni perdita, anche se non incida sulle capacità di produrre reddito (danno patrimoniale), o sull’integrità psico-fisica (danno biologico), o non costituisca patema d’animo (danno morale), diventerebbe pienamente risarcibile.   
La funzione riparatoria si ha soltanto nei casi in cui si verta in tema di diritti costituzionalmente garantiti o in presenza di beni che ricevano una specifica protezione costituzionale.   
La Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza 11 luglio 2003 n.233 ha così statuito: nell’astratta previsione della norma di cui all’art. 2059 c.c. deve ricomprendersi ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: sia il danno morale soggettivo, inteso come transuente turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia, infine, il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.   
Con la citata sentenza, la Corte Costituzionale ha inteso dare giustizia ai valori della persona ampliando il concetto del danno non patrimoniale, dando l’imprimatur al c.d. danno esistenziale derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona e, non a qualsiasi lesione di qualsivoglia interesse.   Al suddetto insegnamento si sta allineando la recente giurisprudenza della Cassazione che afferma:   – il c.d. danno esistenziale non è una figura autonoma diversa dal danno biologico, ma è necessario, in generale, tenere presente le ricadute sulla qualità della vita derivante dal danno biologico (Cass. 20 aprile 2007 n.9514).   
Già Cass. Sez. III, 31 maggio 2003 n.8827, aveva precisato che «la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. va tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una lesione dell’integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera sofferenza psichica e del patema d’animo) nonché dei pregiudizi, diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto».   
Quindi, il danno esistenziale, diversamente da quello morale, non ha natura meramente emotiva ed interiore ma dev’essere oggettivamente accertabile ed aver determinato “scelte di vita” diverse da “quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso”, “alterandone l’equilibrio e le abitudini di vita”.   
In definitiva, il danno esistenziale si riferisce a “sconvolgimenti” delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate da fatto illecito e si traduce in “cambiamenti peggiorativi permanenti, anche se non sempre definitivi” delle stesse.   
Infine, c’è da rilevare che, il danno esistenziale non è “in re ipsa”. Colui che lamenti un danno esistenziale deve darne prova, a mezzo di documenti, testimonianze, presunzioni. Dal lamentato pregiudizio non deriva automaticamente l’esistenza del danno, ossia questo non è, immancabilmente, ravvisabile a causa della potenzialità lesiva dell’atto illegittimo (Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 24.03.2006 n° 6572).   
Per quanto concerne domanda riconvenzionale dei convenuti, rivolta a conseguire il risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., questo Giudice osserva che i convenuti non hanno dimostrato la mala fede o la colpa grave dell’attore, né hanno dimostrato e quantificato i danni subiti, per cui tale richiesta non può essere accolta.  
 La peculiarità della questione trattata e la soccombenza reciproca, inducono il giudicante a compensare tra le parti le spese del procedimento.   La sentenza è resa ai sensi dell’art. 113 c. 2 c.p.c. ed è esecutiva ex lege.   

                                                                                     P. Q. M.   

Il Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da:   – (…) Gennaro nei confronti di (…) Giuseppe, (…) Gennaro, (…) Giuseppe, (…) Antonio e (…) Renato,   – (…) Giuseppe, (…) Gennaro, (…) Giuseppe, (…) Antonio e (…) Renato nei confronti di (…) Gennaro,   disattesa ogni altra istanza ed eccezione, EQUITATIVAMENTE, così provvede:   
1) rigetta la domanda attrice;   
2) rigetta la domanda riconvenzionale;   
3) dichiara compensate tra le parti le spese del procedimento;   
4) sentenza esecutiva ex lege.   
Così decisa in Pozzuoli e depositata in originale il giorno 12 novembre 2007.   

IL GIUDICE DI PACE   
(Avv. Italo BRUNO)           

DEPOSITATA IN CANCELLERIA   =======IN ORIGINALE=======   
IL GIORNO 12 novembre 2007   IL CANCELLIERE

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