Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile n° 6081 – impianto termico individuale – contributo dovuto per controlli – giurisdizione Giudice ordinaro – 16.03.07. –
Secondo il consolidato orientamento di queste Sezioni Unite, la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata alla stregua del cd. petitum sostanziale. Nel caso di specie, oggetto di contestazione era, esclusivamente, la pretesa di una prestazione pecuniaria da parte dell’ente locale. Le Sezioni Unite, hanno già avuto modo di affermare, di recente, in riferimento alla pretesa di un ente locale circa l’onere economico prevista dalla legge n. 10 del 1991 la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla base del principio, enunciato da Cass. S.U. n.120 del 2001, secondo cui “in tema di corrispettivo dovuto per la fruizione di un pubblico servizio, la posizione del privato, mentre è di interesse legittimo – suscettibile di tutela solo presso il giudice amministrativo – rispetto al provvedimento generale di determinazione della tariffa, assume la consistenza del diritto soggettivo, tutelabile dinanzi ll’autorità giudiziaria ordinaria, per quanto concerne l’accertamento dell’inesistenza del potere dell’ente di pretendere una prestazione pecuniaria di un determinato ammontare” (Cass. S.U. n.25520 del 2006). REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA di CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Rafaele CORONA – Primo Presidente Dott. Salvatore SENESE – Presidente di Sezione Dott. Roberto PREDEN – Presidente di Sezione Dott. Alfredo MENSITIERI – Consigliere Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI – Consigliere Dott. Giulio GRAZIADEI – Consigliere Dott. Bruno DURANTE – Consigliere Dott. Pasquale PICONE – Consigliere Dott. Raffaele BOTTA – Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Ro., via St. Lo. n. (…), presso lo studio dell’Avvocato Ca.Ru., rappresentata e difesa dall’Avvocato Sa. Gu., giusta delega in calce al ricorso; ricorrente contro De.Ni.Gi., elettivamente domiciliato in Ro. via De.Gr. n. (…), presso lo studio dell’Avvocato Ma.As.Bi., rappresentato e difeso dall’Avvocato Fr.Gi., giusta delega a margine del controricorso; controricorrente avverso la sentenza n. 127/05 del giudice di pace di Filadelfia, depositata il 14.06.05; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20.02.07 dal Consigliere Dott. Raffaele BOTTA; udito l’Avvocato Sa.Gu.; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso per il rigetto dell’eccezione dell’inammissibilità del ricorso, rigetto del primo motivo, conferma della giurisdizione del G.O. e rimessione atti a sezione semplice per le ulteriori censure. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La controversia concerne l’azione dì accertamento negativo promossa nei confronti della Provincia di Vibo Valentia dal titolare di un impianto termico individuale per sentir dichiarata non dovuta per il biennio 1999/2000 la somma di Euro 43,38 richiestagli a titolo di contributo imposto dalla L. n. 10/1991 per l’attività dì controllo di detti impianti affidata all’amministrazione provinciale: ciò sulla base dì una supposta correlazione tra esecuzione del controllo e prestazione del contributo, che determinerebbe la non debenza di quest’ultimo nel caso di mancata esecuzione del controllo, asseritamente verificatasi nella specie, essendosi la pretesa verifica risoltasi esclusivamente in un censimento dei dati dell’impianto. La domanda era accolta dall’adito giudice di pace di Firenze con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la Provincia di Vibo Valentia propone ricorso per cassazione con cinque motivi, con il primo dei quali denuncia il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore del giudice amministrativo. Resiste la parte intimata con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va esaminata l’eccezione dì inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte controricorrente per insussistenza del requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.. L’eccezione non è fondata. Il ricorso, infatti, visto nel suo complesso (e tenuto anche conto della semplicità della fattispecie), contiene tutti gli elementi indispensabili perché il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza dovere ricorrere ad altre fonti o atti del processo. Ed invero, secondo il costante orientamento di questa Corte, per soddisfare il requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca l’oggetto di una premessa, autonoma e distinta dai motivi del ricorso, ma è sufficiente che, dal complesso dell’atto, sia possibile acquisire la cognizione prospettata (Cass. nn. 7392 del 2004; 13326 del 2005; 4403 e 8612 del 2006). Superata l’eccezione di inammissibilità, con il primo motivo di ricorso la Pr. ricorrente lamenta che il giudice adito non abbia denegato la propria giurisdizione, in quanto la richiesta formulata dalla parte attrice si risolveva in una sostanziale istanza di annullamento delle delibere (aventi natura di atti amministrativi}, che avevano stabilito l’obbligazione contestata: istanza che avrebbe potuto essere rivolta, giusta gli artt. 4 e 5, L. n. 2248/1865 Allegato “E”, esclusivamente al giudice amministrativo. Il motivo non è fondato. Tenuto conto che, secondo il consolidato orientamento di queste Sezioni Unite, la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata alla stregua del cd. petitum sostanziale (Cass.S.U. nn. 14846 e 10419 del 2006; 6743 e 6421 del 2005) (con la conseguenza che la Corte di cassazione è in materia anche giudice del fatto, dovendo, al fine di identificare il predetto petitum, apprezzare elementi che attengono anche al merito: Cass. S.U. nn. 17461 e 15661 del 2006; 17209 e 261 del 2003), dall’esame della domanda originariamente proposta dall’attuale parte resistente è possibile rilevare che oggetto di contestazione era, esclusivamente, la pretesa di una prestazione pecuniaria da parte dell’ente locale, dall’attore ritenuta non dovuta per la mancata esecuzione delle operazioni di verifica degli impianti prevista dalla legge n. 10 del 1991: verifica, alla quale egli affermava essere correlato l’obbligo di pagamento. Peraltro, queste Sezioni Unite, hanno già avuto modo di affermare, di recente, in riferimento alla pretesa di un ente locale circa l’onere economico prevista dalla legge n. 10 del 1991 la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla base del principio, enunciato da Cass. S.U. n.120 del 2001, secondo cui «in tema di corrispettivo dovuto per la fruizione di un pubblico servizio, la posizione del privato, mentre è di interesse legittimo – suscettibile di tutela solo presso il giudice amministrativo – rispetto al provvedimento generale di determinazione della tariffa, assume la consistenza del diritto soggettivo, tutelabile dinanzi ll’autorità giudiziaria ordinaria, per quanto concerne l’accertamento dell’inesistenza del potere dell’ente di pretendere una prestazione pecuniaria di un determinato montare, venendo in tal caso in contestazione diritti ed obblighi di fonte contrattuale privata e ben potendo il giudice ordinario verificare incidentalmente la legittimità e l’efficacia dei provvedimenti dell’autorità amministrativa determinativi o modificativi della tariffa» (Cass. S.U. n.25520 del 2006). Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato e deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. All’ulteriore esame del ricorso, non osta il fatto che l’impugnazione abbia investito una sentenza del giudice di pace pronunciata secondo equità. Invero, secondo il principio affermato più volte da questa Corte, «le sentenze decise dal giudice di pace secondo equità, ai sensi del secondo comma dell’art. 113 c.p.c, sono impugnabili con ricorso per cassazione, oltre che per i motivi e la violazione previsti dai numeri uno e due dell’art. 360 c.p.c, anche (con riferimento al n. 3 dello stesso articolo) per violazioni della Costituzione, del diritto comunitario, dei principi generali dell’ordinamento e della legge processuale, (con riferimento al n. 4 dell’art. 360 c.p.c), nonché, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia» (Cass. ord. n. 7872 del 2005; 21752, 21612 e 11746 del 2004). Nel caso di specie la questione attiene alla imposizione di un onere economico a carico dei titolari degli impianti termici individuali in ordine al controllo degli impianti medesimi, questione che coinvolge la violazione di principi costituzionali, in particolare: a) dell’art 9 Cost., poiché il controllo sugli impianti termici è funzionale alla tutela dell’ambiente: e sotto questo aspetto il principio di correlazione tra controllo ed onere economico a carico dell’utente, discusso in giudizio, sì palesa attinente ai “principi informatori della materia”. Tanto più, perché, nel caso di specie, oggetto di discussione è la dedotta difformità del controllo effettuato sull’impianto termico dell’utente, rispetto alle modalità dì esecuzione prescritte nell’atto amministrativo che ne costituirebbe la concreta regola iuris; b) dell’art. 97 Cost., poiché l’imposizione di un onere a carico di tutti i titolari degli impianti è funzionale ad assicurare all’ente locale le risorse necessarie per coprire i costi dei controlli, in ossequio al principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Sotto questo aspetto, può essere richiamato il principio affermato da questa Corte, sia pur con riferimento ad una diversa fattispecie (ma che presenta profili di analogia con quella qui in discussione), secondo cui: «Nel giudizio innanzi al giudice di pace, concernente controversia di valore non eccedente i due milioni di Lire (o la somma corrispondente in Euro), la indisponibilità del diritto in questione preclude la pronuncia secondo equità, dovendo la disposizione dell’art. 113 secondo comma, c.p.c essere letta in correlazione con quella dell’art. 114 del codice di rito. Pertanto non può essere decisa dal giudice dì pace secondo equità una causa in materia di somministrazione di acqua potabile da parte del Comune (che abbia assunto la gestione del relativo servizio) la quale, pur rientrando nei suddetti limiti di valore, abbia ad oggetto il diritto dell’ente pubblico territoriale di percepire dall’utente, in base alle norme di apposito regolamento comunale, l’importo corrispondente al consumo minimo, indipendentemente dall’effettivo raggiungimento di detta quantità minima di consumo, e ciò stante l’indisponibilità del diritto del Comune al conseguimento (irrinunciabile, una volta emanato il regolamento che lo preveda) dì detto corrispettivo per la somministrazione dell’acqua, potabile, tale indisponibilità direttamente discendendo dalle finalità di pubblico interesse perseguite dall’Amministrazione, restando a tale riguardo ininfluente che il rapporto con gli utenti sia disciplinato dalle regole privatistiche e, segnatamente, dagli artt. 1559 e ss. c.c. » (Cass. nn. 19531 del 2004; 3348 del 2005). Stabilito ciò occorre valutare il secondo ed il terzo motivo. Con il secondo motivo, l’amministrazione provinciale lamenta la violazione della competenza territoriale del giudice di pace di ViboValentia, località nella quale ha sede la Pr., convenuta nel giudizio, ed ove è collocabile sia il forum contractus sia il forum destinatae solutionis. Con il terzo motivo, l’amministrazione provinciale lamenta la violazione dei principi in materia di introduzione del giudizio, per essere stata proposta la domanda introduttiva con ricorso e non con citazione. Quanto alla competenza territoriale, costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte che essa debba «essere determinata con riferimento alla domanda così come proposta, prescindendo da ogni indagine circa la relativa fondatezza nel merito» (Cass. n. 8950/2006; 7674/2005; 20177/2004; 10966/2003) : nel caso di specie, l’azione svolta dal titolare dell’impianto termico concerne un supposto inadempimento dell’amministralo zione provinciale nella prestazione – esecuzione del controllo dell’impianto – che costituirebbe la base legittimante la pretesa di pagamento cui l’attore si oppone. Sicché sussiste la competenza territoriale del giudice di pace di Firenze, quale giudice del luogo in cui avrebbe dovuto essere eseguita la prestazione che si assume inadempiuta; infatti, come questa Corte ha avuto già modo di affermare «in tema di competenza territoriale, per “obbligazione dedotta in giudizio”, ai sensi dell’art. 20 c.p. c, deve intendersi, in caso di inadempimento, l’obbligazione originaria rimasta inadempiuta o inesattamente adempiuta» (Cass. ord. nn. 15012/2005; 1026/2003). Quanto alla forma della domanda introduttiva del giudizio, la parte ricorrente non dimostra (e nemmeno eccepisce) che la divergenza dal modello legale ha per essa determinato una menomazione in concreto dei diritti della difesa (v. Cass. nn. 15125 del 2000; 365 del 2003; 18201 del 2006). Secondo l’orientamento di questa Corte, «anche a. volere ritenere nullo l’atto introduttivo non conformato secondo il modello legale (ricorso, anziché citazione), occorre tenere conto che tale nullità rientrerebbe pur sempre fra quelle formali di cui all’art. 156 c.p.c, sanabili col raggiungimento dello scopo» (Cass. n. 18201/2006), come nel caso di specie è avvenuto con la costituzione dell’amministrazione provinciale innanzi all’adito giudice di pace e lo svolgimento delle proprie difese. Il secondo ed il terzo motivo sono, dunque, infondati. Fondati appaiono, invece, il quarto e quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di stretta connessione, con i quali, evidenziando la violazione degli artt. 97 e 9 Cost., l’amministrazione provinciale censura la ritenuta esistenza, nel sistema emergente dalle disposizioni di cui all’art. 31, L.n.10 del 1991 e all’art. 11, D.P.R. n. 412 del 1993, di una correlazione (nel senso di rapporto di corrispettività), tra esecuzione del controllo degli impianti da parte dell’ente locale ed onere a carico degli utenti. diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, una siffatta correlazione non sussiste. Nel quadro normativo descritto la debenza del contributo imposto agli utenti degli impianti termici individuali non è correlata (in un rapporto di corrispettività) alla effettiva esecuzione della verifica da parte degli incaricati dell’ente locale, né all’esecuzione di tale verifica secondo determinate ed inderogabili modalità. Lo scopo della disposizione di cui all’art. 31 L. n. 10 del 1991, è quello di imporre agli utenti il dovere dì adottare «misure necessarie per contenere i consumi dì energia, entro i limiti di rendimento previsti dalla normativa vigente in materia», nonché di provvedere «a condurre gli impianti e a disporre tutte le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria secondo le prescrizioni della vigente normativa U.N.I. e C.E.I.» (commi 1 e 2). Ai comuni con più di quarantamila abitanti e alle province per la restante parte del territorio, la norma attribuisce il compito di effettuare «i controlli necessari» e di verificare «con cadenza almeno biennale l’osservanza delle norme relative al rendimento di combustione, anche avvalendosi dì organismi esterni aventi specifica competenza tecnica», e stabilisce che i costi relativi alla esecuzione dei controlli de quibus debbano essere coperti mediante l’imposizione di un «onere a carico degli utenti». La norma, quindi: a) non prevede che i controlli siano effettuati con specifiche modalità, la cui determinazione è evidentemente (e legittimamente) riservata alla autonomia e alla discrezionalità tecnica dell’ente locale, né prevede che siffatti controlli debbano essere effettuati necessariamente su ogni impianto esistente sul territorio di competenza dell’ente medesimo; b) non dispone che l’onere destinato a sopperire ai costi delle operazioni dì controllo sia posto a carico dei soli responsabili (proprietario o terzo che siano) degli impianti effettivamente verificati, bensì prevede l’imposizione di un onere a carico della generalità degli utenti, indipendentemente dal fatto che ciascuno di essi sia stato o meno fatto oggetto di effettiva e concreta esecuzione del controllo. Si tratta di un onere che potrebbe definirsi “paratributario”, imposto agli utenti degli impianti termici individuali in ragione del rischio ambientale, che una cattiva gestione dei medesimi comporta, e dei conseguenti costi che ne possono derivare alla collettività: di qui la necessità che i costi dell’attività dì prevenzione, affidata agli enti locali mediante l’esercizio degli opportuni controlli, gravino sull’intera utenza interessata. La natura paratributa-ria di siffatto onere non consente di utilizzare istituti giuridici che implichino la disponibilità del rapporto giuridico ed esclude la rinunciabilità del diritto dell’ente locale a conseguire il pagamento del predetto contributo: situazione che, come si è visto, costituisce un limite al giudizio secondo equità. La disposizione regolamentare di cui all’art. 11, comma 18, D.P.R. n. 412 del 1993 (come modificato dall’art. 13 comma 1, D.P.R. n. 551 del 1999) conferma quanto sin qui affermato, prevedendo che «ai sensi dell’art. 31 comma 3, della legge 10/1991, i comuni con più di quarantamila abitanti e le province per la restante parte del territorio, in un quadro di azioni che vedano l’Ente locale promuovere la tutela degli interessi degli utenti e dei consumatori, ivi comprese informazione, sensibilizzazione ed assistenza all’utenza, effettuano, con cadenza almeno biennale e con onere a carico degli utenti ed anche avvalendosi di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica, controlli necessari ad accertare l’effettivo stato di manutenzione e di esercizio dell’impianto termico. I risultati dei controlli eseguiti sugli impianti f termici devono essere allegati al libretto di centrale o al libretto di impianto di cui al comma 9, annotando i riferimenti negli spazi appositamente previsti». Anche in questo caso, la norma non pone alcuna correlazione necessaria tra esecuzione effettiva del controllo ed onere a carico dell’utente: anzi, la disposizione del regolamento pone ancor più in evidenza la natura non corrispettiva dell’one-re gravante sull’utenza rispetto all’esecuzione dei controlli, collocando esplicitamente quest’ultimi «in un quadro di azioni che vedano l’Ente locale promuovere la tutela degli interessi degli utenti e dei consumatori». Ed ulteriore conferma di quanto detto emerge dal comma 20 della stessa disposizione del regolamento, il quale, nel prevedere forme semplificate dì controllo degli impianti, stabilisce la necessità inderogabile di provvedere a verifiche a campione, mentre l’onere relativo resta comunque a carico dell’intera platea degli utenti e non grava solo sul campione effettivamente assoggettato al controllo. L’assenza del nesso di corrispettività tra esecuzione del controllo e onere a carico dell’utente conduce a ritenere l’infondatezza dell’opposizione di quest’ultimo al pagamento preteso dall’ente, locale in applicazione degli artt. 31, L. n. 10 del 1991 e 11, D.P.R. n. 412 del 1993. Nel caso di specie, poi, anche un’altra considerazione milita per l’infondatezza dell’opposizione dell’utente al pagamento del contributo, che concerne in concreto il biennio 1999/2000. Nell’esercizio dei propri poteri di autonomia e discrezionalità tecnica, riservatele dalla legge circa le concrete modalità di esecuzione dei i controlli de quibus l’amministrazione provinciale a tanto ha provveduto per il biennio cui il contributo in discussione sì riferisce con la deliberazione di giunta n. 325 del 30 novembre 2000 (prodotta agli atti del giudizio). Con tale delibera – ricordate le precedenti delibere nn. 175 del 19 maggio 1999 e 239 del 26 luglio 1999, con le quali veniva determinato l’onere a carico dell’utenza per le verifiche “a regime” in £.102.000 per impianti di potenza nominale inferiore a 35 KW e in £. 600.000 per impianti di potenza superiore, e ricordato il piano esecutivo allegato alla Co. stipulata con il Consorzio Nazionale Servizi contenete le modalità di esecuzione dei controlli “a regime” – veniva stabilito un piano di controlli parziali per il biennio 19.9.2000, determinando il contributo che sarebbe stato posto a carico dell’utenza. Il piano parziale per il biennio 1999/2000 – rispetto al piano “a regime” che prevedeva come modalità di esecuzione: a) il censimento degli impianti, b) la verifica dell’esistenza dei libretti di impianto, c) la verifica dello stato degli impianti e la rispondenza alle norme vigenti, d) i controlli della combustione – escludeva che per tale biennio venissero eseguiti i controlli della combustione e determinava nella minor somma di £. 84.000 l’onere a carico dell’utenza. Le operazioni svolte in data 5 maggio 2000 dai verificatori incaricati dalla Provincia, come risulta dal modulo prodotto in giudizio, sono state eseguite in conformità a quanto disposto con la ricordata delibera n. 325 del 30 novembre 2000 (la cui legittimità, peraltro, non è stata specificamente contestata dall’opponente, nemmeno al fine dì ottenerne la eventuale disapplicazione). I verificatori, infatti, hanno: a) raccolto i “dati generali” e descritto i “componenti dell’impianto” (censimento); b) accertato l’assenza del libretto di impianto e imposto all’utente di farselo rilasciare (verifica dell’esistenza del libretto di impianto); c) verificato la “rispondenza normativa” dell’impianto compilando le relative voci del modulo, concernenti anche lo stato dell’impianto medesimo (verifica dello stato dell’impianto e della rispondenza alle norme vigenti). Nessuna prova di combustione doveva essere effettuata dai verificatori, essendo tale prova esclusa dalla ricordata deliberazione di Giunta per il biennio 1999/2000. L’esecuzione del controllo in conformità all’atto amministrativo che ne costituisce la concreta regola iuris dimostra ulteriormente la infondatezza dell’opposizione dell’utente al pagamento del contributo (che in ogni caso, per quanto già detto, sarebbe stato, comunque, dovuto), opposizione basata proprio sulla pretesa difformità del controllo rispetto alla predetta regola. Pertanto, debbono essere accolti il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata e, ricorrendone le condizioni, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’opposizione. La particolarità della questione e l’assenza di precedenti specifici costituisce giusto motivo per compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA di CASSAZIONE Rigetta il primo motivo di ricorso, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario; rigetta il secondo ed il terzo motivo di ricorso e accoglie il quarto e il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio |