Corte di Cassazione S.U. n. 7665/2016 – notifiche a mezzo pec – non può essere pronunciata la nullità della notifica se atto ha raggiunto scopo a cui è destinato -18.04.2014. –

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ha stabilito  che anche per le notifiche a mezzo pec si appilca il condiviso e consolidato orientamento giurisprudenza della stessa Corte, secondo cui «il principio, sancito in via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto – la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario» (Cass., sez. lav., n. 13857 del 2014; conf., sez. trib., n. 1184 del 2001 e n. 1548 del 2002). Il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC. La Corte ha, inoltre, precisato che : “ è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE

SEZIONI UNITE

SENTENZA N. 7665 Anno 2016

Presidente: AMOROSO GIOVANNI Relatore: CIRILLO ETTORE

Data pubblicazione: 18/04/2016

 

 

per una serie motivi fatti valere con il ricorso introduttivo e con memoria aggiunta:

a) illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004 in relazione agli articoli 3 e 53 Cost.;

b) violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2 del DPR n. 138 del 1998 – Eccesso di potere per sviamento – violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – eccesso di potere per erroneità dei presupposti;

c) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004 anche in combinato disposto con la determinazione dell’Agenzia del territorio del 16.2.2005 – violazione dell’articolo 7 dello Statuto del contribuente anche in combinato disposto con l’articolo 3 della legge n. 241 del 1990 – carenza di motivazione – motivazione apparente;

d) violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 del RDL n. 662 del 1939 e dell’articolo 61 del DPR n.1142 del 1949;

e) eccesso di potere per sviamento – illogicità manifesta – erroneità dei presupposti sotto altro profilo;

f) violazione dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990 e dell’articolo 10 dello Statuto del contribuente: mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revisione catastale;

g) incompetenza della giunta comunale a formulare la richiesta di revisione del classamento.

h) carenza di istruttoria – eccesso di potere per erroneità dei presupposti – carenza di motivazione – violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004;

i) illegittimità dell’individuazione delle microzone secondo altro profilo – eccesso di potere per erroneità dei presupposti;

j) violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2 del DPR n. 138 del 1998 – eccesso di potere per sviamento – violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – eccesso di potere per erroneità dei presupposti.

3. L’Avvocatura dello Stato ha resistito eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, nonché l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili. Il Comune di Lecce, invece, ha sostenuto la posizione dei ricorrenti nei confronti dell’amministrazione e ha contestato le censure mosse al Comune.

4. Il TAR ha accolto il ricorso (TAR-Puglia, sez. Lecce, 11 luglio 2013, n. 1621). In particolare, in punto di giurisdizione, ha ritenuto che dal combinato disposto delle norme processuali tributarie si evince che gli atti regolamentari e gli atti amministrativi generali in materia fiscale possono essere disapplicati dalla C.t.p. e dalla C.t.r., ma non sono impugnabili davanti alle stesse. Ha condiviso, inoltre, il principio di diritto (Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2004 n. 6353) secondo cui la giurisdizione tributaria è delimitata dall’impugnazione degli atti tipici previsti dall’articolo 19 proc. trib. (D.Lgs. n. 546 del 1992) e, in ogni caso, dal fatto che l’atto impugnato concerna aspetti di carattere esecutivo. Ha osservato che, viceversa, nell’esercizio di un potere discrezionale, per di più a carattere generale, trattandosi di atti a contenuto normativo destinati ad incidere su una pluralità indifferenziata di soggetti, nei confronti degli stessi non vi era giurisdizione del giudice tributario ma di quello amministrativo.

Pertanto, al di fuori dell’area delle controversie riservate alla giurisdizione del giudice tributario, erano impugnabili davanti al giudice amministrativo i regolamenti governativi, ministeriali o di enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere, in quanto concernenti interessi legittimi (Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2001, n. 735; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2001, n. 732).

Ha aggiunto che la giurisdizione del giudice tributario deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura fiscale del rapporto, con la conseguenza che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi tale natura comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali posto dall’articolo 102, secondo comma, Cost. (Corte cost., sentenze n. 141 del 2009, n. 130 e n. 64 del 2008). Inoltre, l’articolo 7 dello Statuto del contribuente secondo cui la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti, comporta, salvo espresse previsioni di legge, una naturale competenza del giudice amministrativo sull’impugnazione di atti amministrativi a contenuto generale o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie, atti (aventi natura provvedimentale) che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la giurisdizione sul rapporto tributario (Cass. 13 luglio 2005, n. 14692). Ha concluso affermando che, nella specie, la questione controversa non attiene all’atto finale impositivo, bensì ai presupposti atti amministrativi, di carattere generale, riguardanti il procedimento di revisione dei classamento degli immobili e l’intera attività di microzonizzazione del territorio leccese, nei confronti dei quali le posizioni dei contribuenti erano d’interesse legittimo.

5. Per la riforma di tale decisione ha proposto appello l’Avvocatura dello Stato invocando, tra l’altro, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato ha accolto tale tesi ritenendo la vertenza devoluta al giudice tributario (Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2014, n. 1903). Il giudice d’appello ha rilevato che l’U. aveva impugnato gli atti amministrativi sopra indicati solo dopo la notificazione dell’avviso di accertamento catastale per revisione e classamento della rendita e quindi dinanzi a un giudice non più fornito di giurisdizione a norma dell’articolo 74 della legge n. 342 del 2000. Ha ritenuto, infatti, che tale norma realizzerebbe due diversi effetti: (a) quello di rendere efficace, lesivo e impugnabile il provvedimento e (b) quello di attribuire la giurisdizione sull’atto in via principale, e non più incidentale, al giudice tributario, togliendola al giudice amministrativo essendo consentito d’impugnare immediatamente, visto l’obbligo di rispettare il termine decadenziale, il provvedimento lesivo, proponendo il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, proc. trib., ossia facendo riferimento alla disposizione che consente al giudice tributario di risolvere «in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio,» Il che significherebbe, per il Consiglio di Stato, che il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, proc. trib., proposto a norma dell’articolo 74 cit., non sarebbe più di mera pregiudizialità, ma aggredirebbe direttamente l’atto presupposto, ossia quello generale di pianificazione in tema di attribuzione o modificazione delle rendite catastali per terreni e fabbricati, senza attendere la mediazione dell’atto impositivo, atteso che non risulta compatibile con il breve termine decadenziale.

6. Raffaele U., Codacons, Adusbef Puglia, Adoc Provinciale di Lecce propongono ricorso ex articoli 360 n.1 cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm. chiedendo che sia affermata la giurisdizione del giudice amministrativo. Osservano che l’articolo 2, comma 3, proc. trib. consente una delibazione meramente incidentale da parte del giudice tributario di atti amministrativi generali, ovverosia di atti costituenti presupposto dell’atto impositivo, per risolvere la vertenza sottoposta alla sua attenzione e relativa al singolo rapporto impositivo tra Stato e contribuente, senza alcuna possibilità di allargamento del potere del giudice tributario di annullamento di atti generali e cogenti, con conseguente violazione del divieto costituzionale di creazione di giudici speciali.

7. L’Agenzia delle entrate e il Ministero dell’economia e delle finanze resistono con controricorso.

L’intimato Comune di Lecce si difende aderendo alle tesi dei ricorrenti. I ricorrenti e l’ente locale si difendono anche con memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorrenti, nella memoria difensiva, eccepiscono preliminarmente la nullità del controricorso erariale per vizi formali della sua notificazione effettuata con PEC, in ragione della asserita violazione delle regole dettate dall’articolo 3-bis, co. 4) – 5), della legge n. 53 del 1994 e dall’articolo 19-bis del provvedimento ministeriale del 16 aprile 2014. L’eccezione non è fondata. Opera, infatti, nella fattispecie l’insegnamento, condiviso e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «il principio, sancito in via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto – la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario» (Cass., sez. lav., n. 13857 del 2014; conf., sez. trib., n. 1184 del 2001 e n. 1548 del 2002). Il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC. Nella specie i ricorrenti non adducono né alcuno specifico pregiudizio al loro diritto di difesa, né l’eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con estensione.doc in luogo del formato.pdf, e quello cartaceo depositato in cancelleria. La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass., sez. trib., n. 26831 del 2014). Ne consegue che è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte.

2. L’intimato Comune di Lecce, nella memoria difensiva, si sofferma sulla propria posizione nel giudizio di legittimità. Sul punto non possono esserci dubbi sul fatto che la sua costituzione, pur effettuata mediante «atto d’intervento ad adiuvandum», altro non sia che un controricorso in adesione alle tesi dei ricorrenti. Infatti, quando il litisconsorte processuale si limita ad aderire alla richiesta della parte ricorrente senza formulare una propria diversa domanda di annullamento totale o parziale della decisione, si è in presenza di una costituzione in giudizio processualmente valida, anche se subordinata alla sorte dell’impugnazione diretta. Né al riguardo è necessaria la proposizione di un ricorso incidentale, atteso che la facoltà di contraddire da parte di chi abbia ricevuto la notifica del ricorso non implica necessariamente l’assunzione di una posizione antitetica a quella del ricorrente, ma comprende anche l’ipotesi di adesione, parziale o totale, alle relative richieste in sintonia con il principio dell’articolo 24 Cost. che garantisce l’esercizio della facoltà di difesa in ogni stato e grado del giudizio. Altrimenti, si negherebbe alla parte portatrice di un interesse convergente o analogo a quello dell’impugnante, che non abbia a sua volta ritenuto di proporre una propria impugnazione, di costituirsi nel giudizio di legittimità e rendere note le proprie posizioni: esigenza, questa, cui è finalizzato il combinato disposto di cui agli articoli 331 e 370 cod. proc. civ. (Cass., sez. II, n. 7564 del 2006).

 3. Il ricorso è fondato. Il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, nel definire all’articolo 2 l’oggetto della giurisdizione tributaria, prima elencava al comma 1 i tributi di riferimento, poi al comma 2 stabiliva che «Sono inoltre soggette alla giurisdizione tributaria le controversie concernenti le sovraimposte e le imposte addizionali nonché le sanzioni amministrative, gli interessi ed altri accessori nelle materie di cui al comma l», infine al comma 3 prevedeva che «Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale». Il successivo articolo 3, comma 37, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 si limitava a modificare il solo comma 1, mentre l’articolo 3, comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 sostituiva l’intero testo dell’articolo 2, che al comma 1 ridisegnava l’oggetto generale della giurisdizione tributaria, inserendo anche «le controversie aventi ad oggetto … le sovrimposte addizionali, le sanzioni amministrative, …, gli interessi e ogni altro accessorio», con disposizione analoga a quella del vecchio testo del comma 2; riscriveva, inoltre, il comma 2 con la previsione che «Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale», con disposizione analoga al vecchio testo del comma 3; riscriveva, infine, il comma 3 nel senso che «Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio». I commi 1 e 2 erano modificati dall’articolo 3 -bis, comma 1, lett. a) – b), del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, lasciando inalterate le parti che qui vengono in riguardo. Lo stesso dicasi per l’articolo 9, comma 1, lett. a), n. 2), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (a decorrere dal 1° gennaio 2016).

4. Sul comma 1 è intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza 5 maggio 2008, n. 130, ne ha dichiarato l’illegittimità, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria. Sul comma 2 è ancora intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza 10 marzo 2008, n. 64, ne ha dichiarato l’illegittimità riguardo al secondo periodo, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e, con sentenza 8 febbraio 2010, n. 39, ha dichiarato l’illegittimità del comma 2, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue. 3. Il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, nel definire all’articolo 7 i poteri dei giudici tributari, al comma 5 stabiliva e stabilisce tuttora che «Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non Io applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente».

Il medesimo decreto legislativo, nel definire all’articolo 19 gli atti impugnabili, stabiliva tra l’altro che «Il ricorso può essere proposto avverso: f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 3» che all’epoca prevedeva che «Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale». Il testo dell’articolo 19 lett. f) non è stato aggiornato per molti anni nonostante il sopravvenuto articolo 3, comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 che portava al comma 2 dell’articolo 2 l’originaria previsione del comma 3 e riscriveva quest’ultimo nel senso che «Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio». Solo di recente la lett. f) dell’articolo 19 è stata adeguata dall’articolo 12, comma 3, lett. a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, nel senso che «Il ricorso può essere proposto avverso: gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2». 5. La legge 21 novembre 2000, n.342, nel regolare all’articolo 74 l’attribuzione e la modificazione delle rendite catastali, stabilisce che «Dall’avvenuta notificazione decorre il termine per proporre il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni». All’epoca dell’entrata in vigore della suddetta disposizione il richiamato comma 3 dell’articolo 2 proc. trib. prevedeva che «Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale». Il testo dell’articolo 74 non è stato mai aggiornato nonostante l’articolo 3, comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che portava al comma 2 dell’articolo 2 l’originaria previsione del comma 3 e riscriveva quest’ultimo nel senso che «Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio». 6. Il senso del perdurante rinvio «all’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni» non è quello di richiamare nella legge 21 novembre 2000, n.342, all’articolo 74, qualsivoglia testo del ridetto del comma 3, anche il più eterogeneo, ma quello di rinviare a tutte modificazioni del processo tributario riguardanti «le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale». Trattasi di materia che – dopo la legge 28 dicembre 2001, n. 448 – è stata portata dal comma 3 al comma 2, così come ha chiarito anche l’intervento sull’articolo 19 lett. f) fatto dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16. Dunque, laddove la legge 21 novembre 2000, n.342, all’articolo 74 stabilisce che «Dall’avvenuta notificazione decorre il termine per proporre il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni», si deve leggere ed intendere “comma 2” per effetto indotto dall’articolo 3, comma 37, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, così raccordandosi anche con l’intervento sull’articolo 19 lett. f) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 fatto dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16.

7. Del resto il nuovo testo dell’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 appare del tutto eccentrico laddove afferma che «Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio» con disposizione che si correla all’articolo 7 laddove al comma 5 stabilisce che «Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente». Dunque, quello che si viene qui a delineare è un sistema coerente che collega l’attribuzione e la modificazione delle rendite catastali (articolo 74 cit.) alla specifica norma processuale tributaria di riferimento (articolo 2, nuovo comma 2, cit.) e la disapplicazione di un regolamento o un atto generale (articolo 7, comma 5, cit.) con la generale cognizione incidentale del giudice tributario (articolo 2, nuovo comma 3, cit.), in piena coerenza logica e giuridica. Ne emerge chiara la distinzione tra le cd. operazioni catastali individuali – devolute alle commissioni tributarie dagli articoli 2, comma 2 (già 3), e 19, lett. f), proc. trib. – e gli atti generali di qualificazione, classificazione etc. – devoluti al giudice amministrativo in sede d’impugnazione diretta e ai giudice tributario solo in via di mera disapplicazione.

8. Nessuna disposizione del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 attribuisce alle commissioni tributarie un potere direttamente incisivo degli atti generali in deroga alla tipica giurisdizione di legittimità costituzionalmente riservata agli organi della giustizia amministrativa. Non vi è spazio – sia nel vecchio contenzioso fiscale di cui al DPR n. 636 del 1972 sia nel processo tributario di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992 – per l’impugnazione di atti che possono coinvolgere un numero indeterminato di soggetti con pronuncia avente efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti (Cass., sez. un., n. 3030 del 2002), atteso che l’azione del contribuente dinanzi alla commissioni tributarie viene ad essere esercitata – ai sensi dell’articolo 19 del menzionato D.Lgs. – mediante l’impugnazione di specifici atti impositivi o di riscossione o di determinati atti di rifiuto (Cass., sez. un., 13793 del 2004). Sicché, senza la “mediazione” rappresentata dall’impugnativa dell’atto impositivo, di riscossione o di diniego, il giudice tributario non può giudicare della legittimità degli atti amministrativi generali, dei quali può conoscere solo incidenter tantum e unicamente ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell’atto amministrativo presupposto dell’atto impugnato (Cass., sez. un., n. 6224 del 2006). La controversia sugli atti amministrativi generali esula pertanto dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, il cui potere di annullamento riguarda soltanto gli atti indicati dall’articolo 19 del precitato D.Lgs. o a questi assimilabili, e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l’articolo 7 dello stesso D.Igs. consente soltanto la disapplicazione, ferma restando l’impugnabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo.

9. Né è sostenibile che, per quanto riguarda gli atti generali di formazione, aggiornamento e adeguamento del catasto l’articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342 voglia derogare al normale riparto della giurisdizione tra giudice tributario e amministrativo. Una volontà di tale genere non ha certamente espresso tale disposizione laddove, per un verso, richiama l’articolo 2, comma 3 (ora 2), del ridetto D.Lgs., atteso che la disposizione richiamata resta nell’ambito dell’ordinaria impugnazione degli esiti fiscalmente rilevanti delle cd. operazioni catastali individuali; per un altro, il nuovo testo del comma 3, regola la risoluzione in via incidentale di ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella giurisdizione delle commissioni tributarie, da cui non è ricavabile una giurisdizione tributaria di legittimità sugli atti amministrativi generali con pronuncia avente efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti pur se territorialmente stabiliti. Dunque, sul piano della giurisdizione, il fatto che al contribuente U. fosse stato già notificato un atto individuale impugnabile autonomamente in forza della legge 21 novembre 2000, n.342 (articolo 74) e del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (articoli 2 e 19) non implica che si fosse di per sé stessa consumata, riguardo agli atti dell’amministrazione sulle cd. microzone del territorio comunale di Lecce, quella giurisdizione generale di legittimità che è costituzionalmente e unicamente riservata agli organi della giustizia amministrativa.

10. Ogni questione sull’interesse ad agire dell’U., di cui pare dubitare la difesa erariale, resta al di fuori dalla delibazione sulla giurisdizione, che è legata invece al petitum sostanziale fatto valere in giudizio e alle regole del processo sulla devoluzione ai vari comparti giurisdizionali. Peraltro, ogni dubbio sul legittimo innesco del giudizio dinanzi al giudice amministrativo è ancor più infondato ove si ponga mente al ruolo rivestito dai soggetti co-ricorrenti, e cioè le articolazioni locali di organizzazioni di tutela radicate sul piano nazionale, cioè Adusbef, Aduc e Codacons. Infatti, ampia giurisprudenza civile, penale e amministrativa ha accertato che il Codacons, per statuto, promuove azioni giudiziarie a tutela degli interessi degli utenti, dei consumatori, dei risparmiatori e dei contribuenti (ex multis Cons. Stato, sez. III, n. 5043 del 2015, § 2.3); analogamente l’Aduc e l’Adusbef operano nell’ambito della difesa dei diritti dei cittadini in quanto utenti e consumatori. Trattandosi di soggetti esponenziali d’interessi diffusi (v. decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), le suddette associazioni mai potrebbero attivare un ricorso dinanzi alla giustizia tributaria, non essendo destinatari di alcun provvedimento rilevante ai fini dell’impugnazione ex legge 21 novembre 2000, n.342 (articolo 74) ed ex decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (articoli 2 e 19). Le suddette, invece, agiscono quali associazioni a tutela d’interessi collettivi e, dunque, la loro domanda di annullamento erga omnes degli atti della P.A. relativi alle microzone del territorio comunale di Lecce non potrebbe che essere diretta al giudice amministrativo, invocandosi proprio quella giurisdizione generale di legittimità che è costituzionalmente riservata al monopolio del comparto costituito dal Tribunale amministrativo regionale e dal Consiglio di Stato.

11. Orbene, quando si procede all’attribuzione di ufficio di un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, l’Agenzia competente deve specificare se il mutamento è dovuto a una risistemazione dei parametri relativi alla microzona in cui si colloca l’unità immobiliare e, nel caso, indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano (ex multis Cass., sez. trib., n. 9629 del 2012), trattandosi di uno dei possibili presupposti del riclassamento (ex multis Cass., sez. trib., n. 11370 del 2012). In particolare quando si tratta di un mutamento di rendita inquadrabile nella revisione del classamento delle unità immobiliari private site in microzone comunali ai sensi dell’articolo 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la ragione giustificativa non è la mera evoluzione del mercato immobiliare, né la mera richiesta del Comune, bensì l’accertamento di una modifica nel valore degli immobili presenti nella microzona, attraverso le procedure previste dal successivo comma 339 ed elaborate con la determinazione direttoriale del 16 febbraio 2005 (G.U. n. 40 del 18 febbraio 2005) cui sono allegate linee guida definite con il concorso delle autonomie locali. Nello specifico, l’intervento è possibile nelle microzone «per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato… e il corrispondente valore medio catastale si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali» (comma 335). Per l’articolo 2, comma 1, del d.p.r. 23 marzo 1998, n. 138, la microzona è una porzione dei territorio comunale, spesso coincidente con l’intero Comune, che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socioeconomici, nonché nella dotazione dei servizi e infrastrutture urbane; in ciascuna microzona le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione prevalenti. Questo insieme di disposizioni ribadisce e presuppone che il singolo classamento debba avvenire mediante l’utilizzo e la modifica del reticolo di microzone, avente portata generale in ambito comunale. Si tratta di atti amministrativi, non dissimili da altri di valenza urbanistica e di natura pianificatoria o programmatoria per la P.A., essendo volti a risolvere specifici problemi tecnico-estimativi posti in astratto dall’ordinamento fiscale e destinati ad operare nei confronti di una generalità indeterminata di destinatari, individuabili solo ex post.

12. Sul piano processuale, dalla natura generale, unitaria e inscindibile del contenuto e degli effetti degli atti amministrativi generali discende sia la mancanza di esigenza di notifica ad almeno uno dei destinatari (non individuabili a priori), sia che il loro annullamento in sede giudiziale determina il venire meno degli effetti nei confronti di tutti i destinatari, compresi quelli rimasti estranei alla controversia (ex muitis Cons. Stato, sez. VI, n. 6153 del 2014). La giurisprudenza amministrativa ha più volte posto in rilievo sia che il dovere generale di riconoscere la rimozione per annullamento di un atto generale o presupposto, con conseguente ripristino ex tunc della situazione giuridica preesistente, prescinde dall’estensione del giudicato ai soggetti che non hanno assunto la qualità di parti nel giudizio (es. Cons. Stato, sez. V, n. 1068 del 2005), sia che il giudicato di annullamento di atti generali o indivisibili si estende a tutti i soggetti interessati, pur non aventi qualità di parte (es. Cons. Stato, sez. VI, n. 211 del 1981 e n. 224 del 1998). È, inoltre, principio consolidato quello secondo cui in terna di prestazioni patrimoniali imposte aventi natura tributaria, ai fini del riparto della giurisdizione occorre distinguere tra l’impugnativa di atti generali (o a contenuto normativo), che fissano i criteri per la determinazione delle prestazioni pecuniarie, e l’impugnazione di concreti provvedimenti con i quali l’amministrazione determina l’ammontare della prestazione e/o ne impone l’esecuzione, atteso che nel primo caso gli atti costituiscono espressione di potestà discrezionale e incidono su posizioni di interesse legittimo tutelabili dinanzi al giudice amministrativo (ex multis Cons. Stato, sez. VI, n. 6353 del 2004), laddove s’impugnino le operazioni dell’amministrazione per denunciarne i vizi tipici previsti dagli articoli 2 e seguenti della legge n. 1034 del 1971 (Cass., sez. un., n. 675 del 2010) e ora dall’articolo 7 del codice del processo amministrativo. Di contro si è ripetutamente affermato che la giurisdizione tributaria ha per oggetto sia Pan che il quantum della pretesa tributaria e comprende anche l’individuazione del soggetto tenuto al versamento dell’imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato, ma non ricorre allorquando non è in discussione l’obbligazione tributaria e neppure il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario; non tutte le controversie nelle quali abbia incidenza una norma fiscale si trasformano in controversie tributarie devolute alle relative commissioni (Cass., sez. un., n. 7256 del 2013). Né rileva la tendenza all’allargamento della giurisdizione tributaria che, iniziato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448, è proseguito con leggi successive e con l’evolversi della giurisprudenza di legittimità. Vale, infatti, il richiamo della Corte costituzionale ai limiti intrinseci a tale giurisdizione non ampliabili ad libitum (sent. n.64 e n.130 del 2008, n.39 del 2010). Mentre è stata riconosciuta sì la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dal fisco, ma solo a condizione che si prospetti una ben individuata pretesa e/o uno specifico pregiudizio rilevante per il contribuente (Cass., sez. trib., n.17010 del 2012, in tema d’interpello) o collegato all’interesse fiscale diretto e immediato di un ente territoriale (Cass., sez. un., n. 15201 del 2015).

13. In conclusione, la circostanza che il 21 dicembre 2012 sia stato notificato all’U. l’avviso di accertamento catastale per revisione del classamento e della rendita non può incidere sulla perdurante giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere dell’impugnazione diversamente diretta all’annullamento degli atti amministrativi generali (che hanno accertato la modifica del valore degli immobili presenti nelle microzone comunali, attraverso le procedure previste dai ridetti commi 335-339 e dalla menzionata determinazione direttoriale del 16 febbraio 2005) e proposta anche da associazioni di categoria dei consumatori e degli utenti per l’interesse collettivo a contestare l’introduzione di un aggravio aggiuntivo alle necessità del vivere e correlato a diritti fondamentali tutelati e riconosciuti dall’ordinamento (cfr. articolo 2, comma 2, cod. cons.) in favore dei consumatori e degli utenti medesimi, fra i quali assoluta preminenza è da riconoscersi ai diritti economici relativi alle necessità del vivere, quali la casa. Dunque resta fuori dal perimetro della giurisdizione amministrativa solo il segmento del ricorso introduttivo riguardante la contestuale impugnazione dell’avviso di accertamento catastale per revisione del classamento e della rendita che è devoluta alle commissioni tributarie quale cognizione riguardo alla mera operazione catastale individuale. Sul punto si rammenta che il principio di autonomia delle singole giurisdizioni in materia di verifica della validità degli atti amministrativi non esclude che il giudice tributario, dinanzi al quale sia stata prospettata l’illegittimità di un atto costituente presupposto di quello impositivo, possa disporre la sospensione del processo, nel caso in cui la medesima questione formi oggetto di uno specifico giudizio pendente dinanzi al giudice amministrativo (Cass., sez. trib., n. 16937 e n. 18992 del 2007; v. Cass., sez. un., n. 6265 del 2006). Qualora poi, indipendentemente dalla sospensione, sia intervenuta al riguardo una pronuncia del giudice amministrativo, la stessa, soprattutto se passata in giudicato, non può non svolgere effetto vincolante nel processo tributario, non ostandovi il dovere potere del giudice tributario, non fornito di giurisdizione in via principale, di verificare in via incidentale la validità degli atti presupposti e di procedere alla loro disapplicazione (ult. cit.), fermo restando che il giudicato di annullamento di atti generali comporta il ripristino ex tunc della situazione giuridica preesistente e si estende a tutti i soggetti interessati (conf. sopra §12).

14. Pertanto, accolto il ricorso nei sensi sopra indicati e cassata l’impugnata sentenza nei limiti ivi precisati, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso introduttivo, ad eccezione dell’impugnazione dell’avviso di accertamento notificato all’U. il 21 dicembre 2012; consequenzialmente le parti devono essere rimesse dinanzi al Consiglio di Stato per la riassunzione dei giudizio nei termini di legge. La novità della questione di giurisdizione e il complesso evolversi della legislazione in materia costituiscono giustificati motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa in relazione la sentenza impugnata, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo nei sensi indicati in motivazione, rimette le parti dinanzi al Consiglio di Stato per la riassunzione del giudizio nei termini di legge, compensa le spese del presente giudizio. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del DPR n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 23 febbraio 2016.

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