CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA N. 8763/2019 – JUVENTUS CONDANNATA AL RISARCIMENTO DEI DANNI SUBITI DA UN TIFOSO COLPITO DA UN PETARDO – RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE DEL CLUB – 29.03.2019

I fatti risalgono al 2004, allorquando, in occasione del match Juventus – Fiorentina, un tifoso bianconero, che si trovava nella curva Nord dello stadio delle Alpi di Torino, dopo il gol vittoria della squadra di casa allo scadere della partita, veniva colpito da un petardo lanciato dal settore ospiti, riportando gravi menomazioni per le quali gli veniva riconosciuta una invalidità del 46%. Per tali motivi, il tifoso adiva l’autorità giudiziaria, deducendo la responsabilità contrattuale della società convenuta che era tenuta agli obblighi di sicurezza nei confronti degli acquirenti del biglietto e, in via subordinata, quella extracontrattuale, ai sensi degli articoli 2050 c.c. o, in via ulteriormente subordinata, ai sensi dell’articolo 2043 c.c, quale esercente attività pericolosa rappresentata dall’organizzazione di una partita di calcio e quale titolare del diritto di superficie, tenuta ad adottare misure di sicurezza. La richiesta di risarcimento, disattesa in primo grado, era stata accolta dal giudice di appello, per il quale sussisteva la responsabilità contrattuale della Juventus, in quanto quest’ultima non aveva dimostrato che l’inesatta esecuzione della prestazione era determinata da impossibilità di adempiere per causa non imputabile. Invero, secondo la Corte d’Appello di Torino la distanza di circa 10 m tra le opposte tifoserie aveva risolto il problema del contatto tra queste e limitato grandemente il rischio di lancio di oggetti tra tifosi posti sullo stesso livello, ma non aveva escluso quello dei lanci in diagonale tra tifosi posti su diversi livelli e tale rischio era concreto e noto, per cui la misura adottata non era sufficiente per proteggere gli spettatori che si trovavano in diversi livelli. Sulla base di queste considerazioni, la Corte territoriale condanna la Juventus a pagare al tifoso quasi 80.000 euro di danni. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società convenuta. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8763 del 29 marzo 2019, ha condiviso la ricostruzione del giudice del gravame, secondo cui la responsabilità contrattuale per lancio di un oggetto in diagonale non rappresenti un fatto nuovo rispetto alla responsabilità contrattuale per lancio di un oggetto esplosivo in generale.

Dott. Simone Glovi

 

CORTE DI CASSAZIONE

3 SEZIONE CIVILE

ORDINANZA N. 8763 DEL 29.03.2019

 

Presidente: OLIVIERI STEFANO

Relatore: POSITANO GABRIELE

Data di pubblicazione: 22.03.2019

ORDINANZA

sul ricorso 10036-2016 proposto da:

JUVENTUS F C SPA , in persona dell’Amministratore Delegato Dott. ALDO MAZZIA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato F.A.M., rappresentata e difesa dall’avvocato M.F. giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato F.C., rappresentato e difeso dall’avvocato A.G. giusta procura in calce al controricorso; – controricorrente –

avverso la sentenza n. 1858/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

 

Rilevato che:

con atto di citazione del 9 novembre 2009 S.C. evocava in giudizio la S.p.A. società Juventus F.C. davanti al Tribunale di Torino deducendo che in occasione della partita Juventus Fiorentina, giocata il 10 novembre 2004, presso lo stadio delle Alpi di Torino, l’attore, tifoso della Juventus, si trovava nella curva Nord dello stadio e che, poco prima della fine della partita, quando la Juventus aveva segnato il goal della vittoria, era stato colpito da un oggetto lanciato dalla tifoseria ospite. Si trattava di un petardo che era esploso, procurandogli seri danni alla mano destra, al volto, all’occhio e all’orecchio destro, in conseguenza dei quali aveva perduto parzialmente l’uso delle prime tre dita della mano, subito un trauma all’occhio destro e una ipoacusia destra. Menomazioni per le quali gli era stata riconosciuta una invalidità civile del 46%. Sulla base di tali elementi deduceva la responsabilità contrattuale della società convenuta che era tenuta agli obblighi di sicurtà nei confronti degli acquirenti del biglietto e, in via subordinata, quella extracontrattuale, ai sensi degli articoli 2050 c.c. o, in via ulteriormente subordinata, ai sensi dell’articolo 2043 c.c, quale esercente attività pericolosa rappresentata dall’organizzazione di una partita di calcio e quale titolare del diritto di superficie, tenuta ad adottare misure di sicurezza. Il danno si riferiva al pregiudizio patrimoniale, quale danno emergente per le spese mediche e per perdita di lavoro e al danno non patrimoniale, sotto il profilo di quello biologico, morale, esistenziale e alla vita di relazione. Il tutto per complessivi euro 200.000;

il Tribunale di Torino con sentenza del 12 gennaio 2013 rigettava la domanda risarcitoria escludendo la responsabilità della convenuta poiché, per l’ipotesi di lancio del petardo la responsabilità contrattuale non sussisteva, attesa l’impossibilità di adempiere l’obbligazione di sicurezza, tenuto conto degli esorbitanti accorgimenti predisposti con l’ausilio delle forze dell’ordine per prevenire le aggressioni. Quanto al fatto storico del ferimento dell’attore, ricorreva solo un labile indizio e la responsabilità ai sensi dell’articolo 2050 c.c. non sussisteva perché la società aveva dimostrato di avere fatto tutto il possibile per evitare l’ingresso e il lancio di oggetti esplodenti. Ai sensi dell’articolo 2043 c.c. non ricorrerebbe la colpa. In ogni caso dalle risultanze processuali emergeva la riconducibilità dei danni alla sola condotta colposa del danneggiato, sotto tale profilo incomprensibile e contraria a buona fede, in quanto lo stesso aveva raccolto il petardo che poi era scoppiato in mano, invece di allontanarsi dopo la caduta del fumogeno. Pertanto, la condotta scorretta dello spettatore costituiva caso fortuito, che escludeva la responsabilità anche ai sensi dell’articolo 1227 c.c;

avverso tale decisione proponeva appello il danneggiato, mentre l’appellata insisteva per la conferma della decisione;

la Corte d’Appello di Torino con sentenza del 22 ottobre 2015, in totale riforma della sentenza impugnata condannava la S.p.A. Juventus a pagare in favore di S.C. l’importo di euro 79.413 oltre interessi e rivalutazione e spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Juventus F.C. S.p.A. affidandosi a sette motivi che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c. Resiste in giudizio con controricorso S.C. Il Procuratore generale conclude per il rigetto del ricorso.

Considerato che:

la Corte territoriale ha accolto il secondo motivo di appello relativo alla responsabilità contrattuale affermando che la S.p.A. Juventus non aveva dimostrato che l’inesatta esecuzione della prestazione era determinata da impossibilità di adempiere per causa non imputabile. Sulla base di una valutazione in fatto, fondata sulle risultanze probatorie, ha rilevato che la distanza di circa 10 m tra le opposte tifoserie aveva risolto il problema del contatto tra queste e limitato grandemente il rischio di lancio di oggetti tra tifosi posti sullo stesso livello, ma non aveva escluso quello dei lanci in diagonale tra tifosi posti su diversi livelli e tale rischio era concreto e noto, per cui la misura adottata non era sufficiente per proteggere gli spettatori che si trovavano in diversi livelli. Le risultanze processuali consentivano di ritenere che l’oggetto esploso aveva raggiunto la curva Nord provocando lesioni al C. il quale aveva allontanato con la mano destra il petardo, perché potenzialmente pericoloso. Secondo la Corte la condotta del tifoso non costituiva causa sopravvenuta sufficiente a provocare da sola le lesioni ed ad escludere il nesso causale, perché -al contrario- la reazione dello spettatore era prevedibile in considerazione del tipo di evento. Ricorrendo il nesso di causalità e mancando la prova della colpa esclusiva del danneggiato, il quale aveva tenuto una condotta istintiva e fisiologica, in difetto di prova della possibilità di una agevole fuga e di allontanare l’oggetto con un calcio (la circostanza avrebbe potuto danneggiare altri tifosi), riteneva sussistente la responsabilità contrattuale, liquidando i danni sulla base delle tabelle di Milano;

con il primo motivo la società lamenta la violazione dell’articolo 2697 c.c. dell’articolo 115, c.p.c, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. In particolare, la Corte avrebbe tratto la propria decisione sulla base di circostanze storiche non allegate, in quanto il fatto costitutivo del lancio di un oggetto esplosivo non trovava riscontro nell’attività istruttoria. Infatti, i testi escussi non avevano riferito nulla riguardo all’esistenza del petardo. Ribadisce che non era stato allegato dall’attore che l’ordigno fosse stato lanciato in diagonale, da un livello superiore e che, comunque, nessuno aveva dichiarato di aver visto arrivare l’oggetto esplosivo. Inoltre, la distanza tra le tifoserie era stata garantita anche con altri strumenti e cioè con la collocazione di un numero sufficiente di doppie bandelle elastiche sui tre anelli. Inoltre, la Corte avrebbe statuito omettendo di considerare un dato documentale rappresentato dal posto assegnato all’infortunato dal titolo di accesso allo stadio. C. avrebbe dovuto trovarsi al secondo livello del settore 102, fila 14, distante circa 73 m dalla tifoseria avversaria;

il motivo si traduce in una censura del fatto, attraverso un presunto errore di diritto. Irritualmente si deduce la violazione dell’articolo 115 c.p.c. poiché in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Sez. 2 – , Sentenza n. 24434 del 30/11/2016, Rv. 642202 – 01). La violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01). Profili, questi, non dedotti in ricorso;

per il resto parte ricorrente pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, ritenendo errata la valutazione della Corte sulla inadeguatezza delle fasce di rispetto predisposte, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di ‘appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità;

in ogni caso non ha allegato di avere sottoposto al giudice di appello i dati fattuali, della diversa posizione dell’attore rispetto al posto assegnato e la esistenza degli altri accorgimenti adottati, comunque presi in esame dalla Corte territoriale;

con il secondo motivo lamenta la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. riguardo all’utilizzo del regime delle presunzioni. In particolare, la Corte territoriale avrebbe dedotto dalla circostanza riferita da alcuni testi che durante la partita ed in occasione del goal cadevano petardi addosso ai tifosi, il fatto che il lancio degli oggetti provenisse dalla tifoseria ospite, con ciò operando una praesumpto de praesumpto;

la censura è infondata poiché la violazione riguarda la valutazione del materiale probatorio e non l’utilizzo illegittimo dell’istituto della presunzione: la Corte territoriale ha riferito che i testimoni hanno descritto la situazione affermando che “durante la partita dalla tifoseria opposta erano ancora arrivati oggetti nella curva Nord e che dopo il goal erano stati lanciati petardi”, che petardi cadevano addosso ai tifosi e che in occasione della rete “si scatenò l’inferno”. Da ciò ha ragionevolmente dedotto che il petardo o fumogeno era giunto dalla tifoseria opposta (“durante la partita dalla tifoseria opposta erano arrivati oggetti”), che tali oggetti erano rappresentati dai petardi (“dopo il gol erano stati lanciati petardi”);

con il terzo motivo lamenta le medesime violazioni oggetto della doglianza precedente, sotto il profilo dell’adozione di nozioni di comune esperienza con riferimento alla distanza percorribile da un lancio in diagonale, al fine di ritenere inadeguata l’ampiezza dell’area di rispetto tra le tifoserie. Analoga censura riguarda il comportamento del C. ritenuto “normale” nel suo tentativo di allontanare immediatamente un oggetto di cui si ignorano le specifiche caratteristiche tecniche e ciò anche con l’uso delle mani. Al contrario le caratteristiche del luogo, la frequentazione dello stadio e l’esistenza di una tifoseria “calda”, avrebbero certamente lasciato presumere la pericolosità dell’ordigno rinvenuto;

è inammissibile la censura relativa al fatto notorio: in tema di prova civile, in sede di legittimità è censurabile per violazione di legge l’assunzione da parte del giudice di merito di una inesatta nozione di fatto notorio – da intendere come fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo – e non anche il concreto esercizio del suo potere discrezionale di ricorrere alla massima di esperienza, che può essere censurato solo per vizio di motivazione (Sez. 5 – , Sentenza n. 5438 del 03/03/2017, Rv. 643456 – 01). Nel caso di specie il vizio è dedotto solo ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. quale inesatta nozione di fatto notorio. Ciò consente di escludere l’ammissibilità della seconda censura con la quale si contesta il potere discrezionale del giudice secondo cui rientrava nelle massime di esperienza la reazione adottata dal C. Quanto al profilo relativo alla distanza percorribile da un lancio diagonale, la censura è infondata, perché la Corte territoriale valuta la congruità della zona di rispetto sulla base delle dichiarazioni rese da un soggetto qualificato, il funzionario della Questura di Torino, M.M., ascoltato in sede penale il quale aveva rilevato che la distanza tra le opposte tifoserie di circa una decina di metri “non ha eliminato del tutto la possibilità di lanci di oggetti in diagonale ovvero tra tifosi posti su diversi livelli, sebbene l’abbia reso più difficile”. Oltre a tale dato probatorio la Corte territoriale aggiunge la circostanza che il rischio di lanci in diagonale era concreto e noto, poiché i testi escussi avevano fatto riferimento agli oggetti che erano arrivati addosso ai tifosi. Pertanto, la valutazione esula da quella della massima di esperienza o del fatto notorio;

per il resto, anche il terzo motivo tende ad una inammissibile rivalutazione del merito della controversia;

con il quarto motivo lamenta la violazione dell’articolo 1227 c.c. e dell’articolo 41 del codice penale riguardo al comportamento tenuto dallo stesso danneggiato, ritenuto normale dalla Corte territoriale e prevedibile;

il motivo è inammissibile poiché si tratta di una valutazione in fatto operata dalla Corte territoriale; sotto altro profilo la censura è inammissibile perché parte ricorrente non ha allegato di avere sottoposto alla Corte territoriale i dati fattuali ai quali fa riferimento. Di essi non vi è menzione nella decisione impugnata, per cui la ricorrente avrebbe dovuto documentare di avere dedotto, ai sensi dell’articolo 1227 c.c. che il C. avrebbe preso parte agli scontri e che si sarebbe spostato fisicamente rispetto all’area dello stadio che corrispondeva al proprio biglietto;

con il quinto motivo lamenta la violazione l’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 101 c.p.c. oltre che dell’articolo 111, secondo comma, Cost, ai sensi dell’articolo 360, n. 4 c.p.c. In particolare la Corte avrebbe deciso sulla base di un elemento fattuale nuovo e cioè quello del lancio in diagonale dell’oggetto pirotecnico. Da ciò deduce l’inidoneità delle misure adottate con riferimento a tale specifico evento, diverso da quello prospettato dall’attore in citazione, con conseguente violazione dell’articolo 112 c.p.c. poiché la circostanza del lancio in diagonale sarebbe emersa esclusivamente dalle risultanze istruttorie. Ricorre, pertanto, un’ipotesi di decisione cd della terza via che, ai sensi dell’articolo 101, secondo comma c.p.c, avrebbe dovuto determinare la regressione del procedimento nella fase precedente;

il motivo è inammissibile poiché la ricorrente avrebbe dovuto allegare e trascrivere l’atto di citazione e rilevare che rispetto all’originaria deduzione ad a quella oggetto della denunzia-querela del C., le circostanze fattuali risultavano del tutto differenti;

in ogni caso è ragionevole la posizione della Corte d’Appello secondo cui la responsabilità contrattuale per lancio di un oggetto in diagonale non rappresenti un fatto nuovo rispetto alla responsabilità contrattuale per lancio di un oggetto esplosivo in generale, in quanto, come osservato dal Procuratore generale, il tema è sempre stato quello cinematico del lancio del petardo;

con il sesto motivo deduce la violazione degli articoli 1218 e 2697 c.c, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. rilevando che la Corte d’Appello, nonostante l’elenco delle misure adottate dalla organizzatrice con la collaborazione delle forze dell’ordine, arrestava la propria indagine sulla sola ampiezza della zona di rispetto, realizzata a separazione dei tifosi ospitati. Ma tale precauzione non costituiva l’unica separazione tra le opposte tifoserie, poiché la distanza era salvaguardata ulteriormente attraverso divisori strutturali, quali il separatore in vetro antisfondamento in plexiglass, la rete metallica e le doppie bandelle elastiche, nonché attraverso il cordone degli agenti di polizia. Tali elementi avevano consentito di assolvere la società calcistica da ogni profilo di responsabilità penale;

il motivo è inammissibile poiché consiste in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio e della idoneità dello stesso a dimostrare l’adozione di tutte le cautele necessarie per evitare la responsabilità contrattuale. Sotto altro profilo, la censura non coglie nel segno poiché l’adozione di una serie di cautele di ordine generale attiene ad una valutazione della complessiva idoneità della struttura, ma non riguarda l’indagine concreta in oggetto, nella quale il profilo decisivo individuato dalla Corte territoriale interessa la pericolosità della limitata zona di suddivisione delle tifoserie rispetto alla possibilità, ricorrente frequentemente nella pratica, di lanci di oggetti e petardi incendiari;

con il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c, l’omesso esame del documento acquisito d’ufficio dalla Corte territoriale relativo alle dichiarazioni rese dal funzionario della Questura. In particolare, il completo esame delle dichiarazioni rese dal funzionario della Questura, il quale riferiva di lancio di oggetti da parte dei tifosi collocati al secondo livello verso quelli posti al primo livello, avrebbe consentito di escludere ogni responsabilità nei confronti del C., che sulla base del biglietto acquistato avrebbe dovuto trovarsi al secondo livello;

il motivo è inammissibile poiché parte ricorrente non ha allegato di aver sottoposto al giudice di merito il dato fattuale relativo all’esatta collocazione del danneggiato all’interno dello stadio ed il suo presunto spostamento rispetto al posto assegnato, poiché di tale questione non vi è traccia nella sentenza impugnata. Per il resto vanno ribadite le considerazioni riferite al quarto e quinto motivo; ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.T.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in C 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma ibis dello stesso articolo 13.

Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 14 giugno 2018.

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