Corte di Cassazione n. 811/2015 – il danno biologico va distinto dal danno morale – 20/01/2015 –

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha ribadito il principio secondo cui il danno morale è del tutto svincolato da quello più propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo.

 

 

 

 

 

 

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CORTE DI CASSAZIONE CIVILE

SEZIONE III – SENTENZA N. 811/2015

Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA

Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

Data pubblicazione: 20/01/2015

SENTENZA

sul ricorso 26968-2008 proposto da:

S. M. C. .., C. D.. .., C.. C. .., elettivamente domiciliati in ROMA, ……, presso lo studio dell’avvocato A. C., rappresentati e difesi  dall’avvocato A. M. giusta procura speciale a margine del ricorso;

Ricorrente

contro

GENERALI ASSICURAZIONI SPA nella qualità di Impresa designata alla gestione dei sinistri a carico del Fondo di garanzia per le Vittime della strada in persona dei legali rappresentanti Dott. DARIO DALLA TORRE e Sig. GIUSEPPE RACCANELLO, elettivamente domiciliata in ROMA, ….. presso lo studio dell’avvocato A. B., rappresentata e difesa dagli avvocati V.P., G. P. giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2089/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/05/2008, R.G.N.

5094/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO

TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato P. T. per delega ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso

per l’inammissibilità;

I FATTI

Domenico C., la moglie Maria Concetta C. e la figlia Carmela convennero dinanzi al Tribunale di Noia le Assicurazioni Generali in qualità di impresa designata per il FGVS, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della morte di Giuseppe C., figlio e fratello degli istanti, investito da una autocisterna rimasta non identificata mentre era alla guida del proprio ciclomotore.

Il giudice di primo grado accolse la domanda, ritenendo l’ignoto camionista responsabile dell’incidente nella misura del 70% e condannando conseguentemente la compagnia assicuratrice al pagamento della complessiva somma di circa 354 mila euro in favore degli attori.

La Corte di appello di Napoli, pronunciando sulle impugnazioni, principale e incidentale, hinc et inde proposte, le accolse entrambe in parte qua, riducendo, da un canto, l’importo risarcitorio ad E. 171.379, liquidando, dall’altro, in favore dei familiari della vittima le spese di lite del primo grado in misura di circa 5500 euro.

La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata dai C. con ricorso sorretto da motivi 3 di censura illustrati da memoria.

Resiste la Assicurazioni Generali s.p.a. con controricorso illustrato a sua volta da memoria.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato quanto al suo terzo motivo.

Con il primo motivo, si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria con erronea valutazione delle risultanze istruttorie.

La censura è inammissibile, volta che essa non risulta in alcun modo corredata dalla sintesi espositiva dei fatti di causa, come previsto dalli art 366 bis c.p.c. applicabile nella specie ratione temporis, essendo stata la sentenza d’appello depositata nel vigore del D.lgs. 40/2006.

L’esposizione del denunciato vizio di motivazione non tiene conto, difatti, di quanto più volte affermato dal giudice di legittimità sul tema della sintesi necessaria per il relativo esame, tema affrontato dalle stesse sezioni unite di questa Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Si è così affermato che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto (cd. “quesito di fatto”) che ne circoscriva puntualmente i limiti,  in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Tale momento di sintesi, formulato in veste di quesito di fatto, nella specie risulta del tutto omesso, in aperta violazione della norma in parola.

Con il secondo motivo, si denuncia mancato riconoscimento del danno biologico iure proprio alla ricorrente S..

Contraddittoria motivazione. Violazione di legge.

La censura è corredata dal seguente quesito di diritto: Accertata la sussistenza di un danno biologico e rilevata l’impossibilità, per qualsiasi motivo (premorienza, incapacità,pazzia, depressione) di procedere ad accertamento medico-legale sulla persona, deve il giudice di merito procedere alla valutazione equitativa del danno?

Il motivo – prima ancora che del tutto infondato nel merito, attesa la chiara definizione legislativa di danno biologico in guisa di lesione medicalmente accertabile è inammissibile in rito.

Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare come il quesito di diritto vada formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire, in concreto, l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) in una richiesta del tutto generica (quale risulta quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno viola – o disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento, sia pur sintetico, ai fatti essenziali di causa, proponendone una alternativa di segno opposto destinata ad una soluzione che, partendo dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, come sottoposta all’esame del giudice di legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cessazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, e che già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in esame.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (ex multis, Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativa tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza di una astratta violazione di legge.

Con il terzo motivo, si denuncia determinazione della misura del danno morale subita dalla vittima in rapporto al danno biologico. Insufficiente e contraddittoria motivazione.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c..

La censura è corredata dalla seguente sintesi espositiva (contenuta al folio 9 del ricorso), da ritenersi tale sul piano contenutistico (nonostante l’assenza di una specifica evidenziazione grafica):

Ricorrono numerosi casi in cui, pur non sussistendo un significativo danno biologico, sussiste invece un rilevante danno morale, ragione per la quale la valutazione del danno morale va operata caso per caso e senza che il danno biologico possa essere un riferimento assoluto. Il caso che occupa rientra tra quelli nei quali il danno morale è altamente significativo anche in presenza di un danno biologico lieve o da liquidarsi in misura lieve.

Il motivo è fondato.

Con esso si chiede al collegio la riaffermazione e la enunciazione di un principio di diritto del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che, con le sentenze a sezioni unite del novembre 2008, ha evidenziato, con specifico riferimento a casi come quello di specie, come il danno derivante dalla da consapevolezza dell’incombere della propria fine sia del tutto svincolato da quello più propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima.

A tali principi non si è attenuta la Corte territoriale, che ha

quantificato il risarcimento di tale voce di danno liquidando

agli aventi diritto una cifra correttamente definita da parte

ricorrente “del tutto irrisoria”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli in altra composizione.

Così deciso in Roma, li 26.5.2014

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