Corte di Cassazione n° 7783/2010 – Interrogatorio formale – le dichiarazioni reticenti equivalgono alla mancata risposta -31.03.2010. –

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha precisato : “Innanzi tutto l’art. 232 c.p.c. in questione statuisce che le ipotesi collegabili al “se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo…”, costituiscono i presupposti perché il giudice, valutati gli altri elementi probatori, possa ritenere, sulla base del suo potere discrezionale, “come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”; è evidente, quindi, che il legislatore, con tale testuale formulazione, ha inteso equiparare, a detti fini probatori, sia l’omessa risposta sia i comportamenti comunque reticenti”. Pertanto, nel caso di specie, le dichiarazioni reticenti, come “non ricordo” devono ritenersi senz’altro equiparabili alla mancata risposta, con conseguente applicazione della suddetta norma.   

                                                            CORTE DI CASSAZIONE   

                                                              III SEZIONE  CIVILE
   

                                                    SENTENZA 31 MARZO 2010, N. 7783           

                                                         SVOLGIMENTO DEL PROCESSO  

Con atto di citazione notificato in data 7 gennaio 1993 la S.. s.r.l. conveniva la Fiat Auto s.p.a. innanzi al Tribunale di Torino per sentirla condannare al pagamento in suo favore della somma Lire 1.491.136.115, anche a titolo di risarcimento danni con rivalutazione monetaria ed interessi legali. 
A sostegno della domanda la S. esponeva: di avere diritto al pagamento di Lire 301.889.920 in relazione alla minor quantità di “particolari” consegnati dalla Fiat rispetto alla previsione contenuta nel contratto di appalto (Alfa Lancia di Pomigliano d’Arco) e di Lire 27.966.560 quanto ai “particolari” non ricevuti in lavorazione nel periodo dicembre 1990-aprile 1992 (appalto S.); che la Fiat si era resa inadempiente all’obbligazione assunta di invitare la S. alle successive gare, con danno di Lire 1.014.479.631; di aver inoltre subito un danno di Lire 86.800.000 per lo scoppio di alcune bilancelle Fiat. 
Si costituiva la convenuta Fiat, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine al pagamento di Lire 27.966.560 (appalto S.). 
Durante la trattazione della controversia la Supersplendor rinunciava alla domanda relativa al danno di Lire 86.800.000 (risarcitole dell’assicuratore) ed insisteva sull’ammissione dell’interrogatorio formale del legale rappresentante Fiat.
In seguito all’entrata in vigore della l. n. 276/1997 la causa veniva trasmessa alla Sezione Stralcio.
 
Con sentenza in data 10 aprile 2000, il Tribunale di Torino respingeva tutte le domande attoree. 
A seguito dell’appello della S. (che, previa ammissione delle istanze istruttorie di interrogatorio formale del legale rappresentante Fiat e, in subordine, del giuramento decisorio, chiedeva condannarsi la Fiat Auto al pagamento di Lire 1.404.336.115, oltre interesse e rivalutazione), costituitasi la Fiat Auto Partecipazione s.p.a. (già Fiat Auto), esperito interrogatorio formale del legale rappresentante Fiat ed espletata consulenza di ufficio, la Corte di Appello di Torino, con la sentenza in esame n. 761 depositata in data 11 maggio 2004, rigettava il gravame, ritenendo, tra l’altro, formatosi il giudicato sull’accertata circostanza della stipulazione di un contratto di transazione (accertato nella lettera 31 maggio 1990 della Supersplendor accettata dalla Fiat). 
Ricorre per cassazione la Supersplendor con quattro motivi; resiste con controricorso la Fiat Partecipazioni s.p.a.
Entrambe le parti hanno depositato memoria e inoltre il difensore della ricorrente Supersplendor ha depositato all’odierna udienza “note di replica” alle conclusioni del P.G.
   

                                                           MOTIVI DELLA DECISIONE
   

Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 232 c.p.c. e relativo difetto di motivazione in quanto la Corte di merito, “dopo aver individuato in modo corretto la natura del contratto di transazione, ha reso un’interpretazione del tutto errata delle sue clausole, non avvedendosi delle molteplici violazioni dell’accordo in cui è incorsa la Fiat Auto”.
Si aggiunge che “in particolare, la sentenza impugnata viola in modo palese l’art. 232 c.p.c., nella parte in cui afferma che la deducente non avrebbe provato l’effettivo svolgimento delle numerose gare d’appalto svolte dalla Fiat nel periodo giugno 1990-aprile 1992 alle quali non è stata inviata a partecipare”.
 
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 210 c.p.c. e relativo difetto di motivazione, in ordine alla relativa istanza istruttoria proposta dalla S.. 
Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1371 c.c., e relativo difetto di motivazione in ordine all’interpretazione dell’accordo in data 31 maggio 1990. 
Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 1362, 1371 c.c., relativo difetto di motivazione, in ordine “all’altro palese profilo di illegittimità che inficia la sentenza impugnata riguarda la decisione resa sull’ulteriore domanda risarcitoria, con la quale la Supersplendor ha denunciato il reiterato inadempimento da parte della Fiat del contratto Alfa Lancia, avente ad oggetto la sverniciatura di parti di automobili. Fondato è il primo motivo di ricorso con conseguente assorbimento delle censure di cui agli altri motivi. 
Censurabile è la decisione in esame là dove, in relazione al dedotto inadempimento di Fiat Auto nei confronti dell’odierna ricorrente, per non aver consentito a quest’ultima, contrariamente agli obblighi assunti, in sede di accordo transattivo, di partecipare a gare di appalto “considerandole affidate”, afferma che “nonostante le considerazioni svolte in proposito da parte appellante (che ruotano tutte attorno alla scarsa attendibilità delle dichiarazioni di ignoranza delle circostanze dedotte a prova per interpello), appare assorbente il rilievo che non è applicabile alla fattispecie il disposto di cui all’art. 232 c.p.c. che presuppone la non presentazione della parte all’udienza fissata per l’interrogatorio formale o il rifiuto di rispondervi senza giustificato motivo e non già una risposta considerata evasiva o non attendibile. Non è quindi applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 232 c.p.c. e conseguentemente l’istituto ivi contemplato, tanto più che sono carenti gli ulteriori elementi di prova nel cui complessivo contesto e alla cui luce la legge impone di valutare la mancata risposta, non assimilabile di per sé ad una mera finta confessione”. 
Tale statuizione è fortemente censurabile. Innanzi tutto l’art. 232 c.p.c. in questione statuisce che le ipotesi collegabili al “se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo…”, costituiscono i presupposti perché il giudice, valutati gli altri elementi probatori, possa ritenere, sulla base del suo potere discrezionale, “come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”; è evidente, quindi, che il legislatore, con tale testuale formulazione, ha inteso equiparare, a detti fini probatori, sia l’omessa risposta sia i comportamenti comunque reticenti. Nella vicenda in esame, la condotta in sede di interrogatorio formale del procuratore speciale dell’odierna resistente (caratterizzata di dichiarazioni tipo “non ricordo”, come si evince dall’impugnata decisione) deve ritenersi senz’altro equiparabile, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, alla mancata risposta, con conseguente applicazione di tale norma al caso di specie e connesso esercizio del potere discrezionale del giudice del merito (e quindi anche della Corte territoriale) in ordine alla rilevanza probatoria di detto comportamento; ha errato, dunque, la Corte d’Appello, sia nel non tener conto di tale disposto normativo, sia nel non valutano compiutamente sul piano probatorio (così come indicato nell’art. 232 c.p.c.). Inoltre, insufficiente e generica è la motivazione nel punto in cui, senza ulteriori specificazioni, si limita ad affermare che l’inapplicabilità del 232 c.p.c. deriva anche dalla carenza di ulteriori elementi probatori. Pertanto, a seguito della cassazione sul punto della sentenza impugnata ed al conseguente rinvio, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: il disposto dell’art. 232 c.p.c., nella parte in cui statuisce che “il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio” è applicabile anche in caso di dichiarazioni che, per il loro tenore evasivo o non attendibile (come nel caso di specie), risultino equiparabili alla “mancata risposta”.   

                                                                        P.Q.M.
   

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa l’impugnata decisione in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.   

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