Corte di Cassazione n° 6481/2010 -contratti – clausole vessatorie – recesso del consumatore -17.03.2010. –
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, avente ad oggetto un contratto tra un professionista ed un consumatore ha precisato: “Il carattere abusivo delle clausole predisposte dal professionista deve essere valutato sia alla luce del principio generale di cui al primo comma del citato art. 1469 bis, per cui vanno ritenute abusive le clausole che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; sia con riferimento alla presunzione di vessatorietà di cui alle fattispecie tipizzate nel terzo comma della citata norma, ed in particolare (per quanto concerne il caso di specie) nei nn. 5, 6 e 7 dell’art. 1469 bis, richiamati dalla ricorrente”.
CORTE DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
SENTENZA DEL 17 marzo 20 10, n° 6481
(Pres. Petti – Rel. Lanzillo)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
R. P., titolare dell’impresa omonima, dichiarandosi cessionario del credito vantato dall’Istituto di moda …, di M.P., nei confronti di E. F., ha convenuto la debitrice davanti al Tribunale di Oristano, chiedendone la condanna al pagamento di L. 8.726.000, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dovute a saldo della quota di iscrizione ad un corso di modellismo sartoriale e industriale della durata di 22 mesi, precisando che – in forza di clausola contrattuale del contratto di iscrizione – l’intero corrispettivo era dovuto anche nel caso di recesso prima del termine e di mancata frequenza dell’intero corso.
La convenuta ha resistito alla domanda, eccependo la prescrizione, quanto alle rate scadute nel 1998, e l’avvenuto pagamento di tutto quanto dovuto per il periodo successivo, nonostante la sopravvenuta impossibilità di frequentare il corso, per il fatto che la … nel 1999, a corso iniziato, ha trasferito la sua sede da Oristano a Cagliari, città da lei difficilmente raggiungibile.
Ha eccepito altresì l’inefficacia ai sensi dell’art. 1469 bis cod. civ. di alcune clausole contrattuali ed ha chiesto, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme pagate dal 1999 in avanti (L. 3.059.000), dopo il trasferimento della sede della scuola, allorché non aveva potuto frequentare il corso.
Con sentenza n. 9/2002 il Tribunale ha dichiarato nullo il procedimento, a causa della nullità della procura a margine dell’atto di citazione. Proposto appello dal P., a cui ha resistito la Ferrua, con sentenza 10 marzo-6 aprile 2005 n. 116, notificata il 29.6.2005, la Corte di appello di Cagliari, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato la F. a pagare la somma di Euro 3.829,53, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda giudiziale ed oltre alle spese dei due gradi del giudizio. Con atto notificato il 13 ottobre 2005 la Ferrua propone sei motivi di ricorso per cassazione.
Il P. non ha depositato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione degli art. 99, 100, 346 e 342 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello ritenuto ammissibile l’impugnazione, sebbene l’appellante non ne avesse specificamente indicato i motivi, quanto alle questioni di merito, ma si fosse limitato a richiamare tutte le domande proposte in primo grado.
1.1. – Il motivo non è fondato.
Il giudice di primo grado non aveva esaminato nel merito le domande proposte dal P., avendo dichiarato nullo l’atto di citazione e l’intero procedimento. L’appello riguardava, pertanto, solo la statuizione di rito, ed il suo accoglimento ha comportato la devoluzione al giudice dell’appello di tutte le questioni di merito dedotte nel giudizio di primo grado, unico requisito essendo che fosse inequivocabilmente manifestata la volontà di riproporne la cognizione, si da evitare la decadenza di cui all’art. 346 cod. proc. civ. A tale scopo è sufficiente anche il mero richiamo a tutte le domande proposte nel giudizio di primo grado (Cass. Civ. Sez. Lav. 1 luglio 2004 n. 12092 in particolare nel § 8.1. della motivazione. Cfr. anche Cass. Civ. Sez. 1, 10 maggio 2000 n. 5938). Ed invero, la specificità dei motivi di appello è richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ. allo scopo di garantire la precisa individuazione delle questioni decise nel giudizio di primo grado che si vogliono devolvere al riesame del giudice di appello, rispetto a quelle non devolute, e di sollecitare l’appellante a chiarire le ragioni del suo dissenso dalla decisione impugnata.
Trattasi di problemi e di esigenze che non si pongono, quando la sentenza impugnata non abbia affatto pronunciato nel merito. In questi casi l’eventuale mancanza di specificità e di chiarezza va valutata, se del caso, con riferimento alle domande proposte in primo grado e non esaminate in quella sede.
2. – Con il secondo, il terzo e il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli art. 99, 112, 132 n. 4 cod. proc. civ., 1469 bis, I e III comma, n. 5, 6, 7 e 11 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, sul rilievo che la Corte di appello ha preso in esame (e respinto) l’eccezione di inefficacia delle clausole n. 6 e 8 delle condizioni generali di contratto solo con riferimento al n. 7 dell’art. 1469 bis, 3 comma, cod. civ., laddove ne era stato denunciato il carattere abusivo anche in relazione al disposto dei nn. 5, 6 e 11 della citata norma. Rileva poi che la motivazione è insufficiente e apodittica anche quanto alla ritenuta inapplicabilità del n. 7 dell’art. 1469 bis, non risultando in alcun modo esplicitate le ragioni su cui il giudice di appello ha fondato la sua decisione; che la clausola n. 6, in base alla quale l’Istituto poteva modificare a suo piacimento i termini e la durata del corso ed anche non iniziarlo, e la clausola n. 8, secondo cui l’allievo rinunciava alla facoltà di recesso e si impegnava a corrispondere la tassa totale di frequenza, nel caso di ritiro dal corso per qualunque motivo, sono da ritenere corrispondenti a quelle dichiarate abusive dall’art. 369 bis, n. 11, 7 e 8 e cod. civ.
3. – I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, sono fondati nei termini che seguono. 3.1. – La sentenza impugnata è effettivamente incorsa in violazione di legge in omessa od insufficiente motivazione, nella parte relativa al carattere abusivo delle clausole n. 6 e n. 8 del contratto intercorso fra le parti.
Quanto alla clausola n. 8, si è limitata ad affermare apoditticamente che la rinuncia alla facoltà di recesso e l’assunzione da parte dell’allieva dell’impegno di corrispondere comunque all’istituto l’intera tassa di frequenza, anche nel caso di recesso anticipato “non rientra nell’ambito della previsione dell’art. 1469 bis, 3° comma n. 7 cod. civ.”.
Trattasi di affermazione che, nella sua assolutezza, non può essere condivisa.
Il carattere abusivo delle clausole predisposte dal professionista deve essere valutato sia alla luce del principio generale di cui al primo comma del citato art. 1469 bis, per cui vanno ritenute abusive le clausole che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; sia con riferimento alla presunzione di vessatorietà di cui alle fattispecie tipizzate nel terzo comma della citata norma, ed in particolare (per quanto concerne il caso di specie) nei nn. 5, 6 e 7 dell’art. 1469 bis, richiamati dalla ricorrente.
Si sarebbe dovuto rilevare, in particolare, che la clausola n. 8 sanziona indiscriminatamente il recesso dell’allievo, sia o non sia assistito da un giustificato motivo, venendo così implicitamente a riservare al professionista – che, in applicazione dei principi generali in materia contrattuale, risponde solo nel caso di recesso colpevole – un trattamento differenziato e migliore, in contrasto con i principi contenuti nei nn. 5 e 7 dell’art. 1469 bis.; per di più senza che l’entità della somma dovuta dall’allievo nel caso di recesso – che viene sostanzialmente ad integrare una penale – trovi riscontro in analoga sanzione a carico del professionista.
3.2. – La Corte di appello ha altresì omesso di esaminare l’eccezione di vessatorietà della clausola n. 6, circa il potere dell’Istituto di modificare le modalità di svolgimento del corso, clausola che assume rilievo in relazione alle eccezioni della ricorrente di non avere potuto completare la frequenza, a causa dello spostamento della sede del corso dal luogo convenuto all’atto della conclusione del contratto. La clausola appare in contrasto con il n. 11 dell’art. 1469 bis, 3° comma, che presume abusive le clausole che consentono al professionista di modificare unilateralmente le caratteristiche del prodotto o del servizio, senza un giustificato motivo, che deve essere indicato nel contratto.
La Corte di appello – motivando nel senso che è da presumere che il corso si dovesse svolgere a Cagliari, poiché a Cagliari era stato concluso il contratto – da un lato non ha dato conto delle ragioni per cui il corso era iniziato e si era svolto per un anno ad Oristano, come affermato dalla ricorrente, prima di essere spostato a Cagliari: circostanza che appare in contrasto con la suddetta presunzione di localizzazione. In secondo luogo è incorsa nella violazione del n. 11 dell’art. 1469 bis, che dichiara abusive le clausole che dispongano modificazioni nella prestazione del servizio senza specificarne i giustificati motivi.
4. – Il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili per difetto di autosufficienza.
La ricorrente lamenta violazioni di legge ed omessa o insufficiente motivazione, nella parte in cui la Corte di appello non ha ammesso le prove testimoniali dedotte a dimostrazione del fatto che l’Istituto … aveva garantito che il corso si sarebbe svolto in Oristano, senza indicare specificamente nel ricorso il tenore dei capitoli di prova non ammessi, sì da consentire a questa Corte di valutarne l’ammissibilità e la rilevanza, in relazione alle questioni controverse. Ed invero, ove il ricorrente denunci in sede di legittimità la mancata ammissione di prove testimoniali nei gradi di merito, ha l’onere di indicare specificamente, trascrivendoli, i capitoli di prova di cui aveva chiesto l’ammissione, sì da consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare: controllo che la Corte di cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. III, 5 giugno 2007 n. 13085; Cass. civ. Sez. III, 19 marzo 2007 n. 6440).
5. – In sintesi, debbono essere accolti, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, con l’annullamento dei corrispondenti capi della sentenza impugnata e con il rinvio della causa alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione, la quale deciderà la controversia uniformandosi ai principi sopra indicati.
6. – Il giudice di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.