Corte di Cassazione n° 5732/2011 – acquisto auto – vizi della cosa venduta – legittimazione ad agire -10.03.2011. –

“la normativa di cui agli artt. 1490-1492 cod. civ. prevede l’obbligo del venditore a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo appezzabile il valore. Ad un tempo, quella normativa, attribuisce al compratore il diritto di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, ovvero, la riduzione del prezzo salvo che per determinati vizi, gli usi escludono la risoluzione. .. Tuttavia, l’art. 1492 cod. civ. prevede nel secondo comma, tra l’altro, un’ipotesi particolare e articolata e, cioè, quella in cui il compratore abbia alienato  la cosa … In queste ipotesi, la norma citata stabilisce che il compratore può chiedere al venditore solo una riduzione del prezzo. Ora avuto riguardo all’ipotesi del compratore che aliena il bene va chiarito che vi sono due compratori e due venditori. Il primo acquirente potrà agire nei confronti del suo immediato venditore, con la limitazione di cui all’art. 1492 secondo comma cod. civ., mentre il secondo acquirente potrà agire nei confronti del secondo venditore, ovvero, primo acquirente, senza alcuna limitazione, purché ricorrano le condizioni volute dagli art. 1493 e segg. cod. civ.. ..”   

                                                                       CORTE DI CASSAZIONE

                                                                          II SEZIONE CIVILE

                                                              SENTENZA N° 5732 DEL 10.03.2011 

                                                                  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

A. C.C. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Verona sezione di Legnano, G.S., per ottenere la risoluzione del contratto di vendita dell’autovettura (…), perché risultata affetta da vizi e la conseguente condanna del convenuto alla restituzione del prezzo e del risarcimento danni ex art. 1494 c.c. per la somma di lire diecimilioni o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia oltre interessi e spese. C.C. esponeva che in data 21 febbraio 1996 aveva acquistato dalla Carrozzeria … un’autovettura usata modello … … per la somma di lire nove milioni e settecentomila; ritirata l’autovettura nel viaggio di ritorno si era accorta che l’auto emetteva dei rumori, onde si era rivolta ai tecnici di fiducia che avevano riscontrato nella stessa una mancanza di allineamento tra l’asse anteriore e posteriore un difettoso funzionamento nel cambio stuccature e verniciature in più punti della carrozzeria: Essa aveva, quindi, tempestivamente denunciato i vizi con raccomandata del 26 febbraio 1996 e fatto redigere delle perizie sull’autovettura che avevano confermato l’esistenza dei vizi sopramenzionati ed aveva poi svolto le riparazioni necessarie a proprie spese all’esito delle quali, tuttavia, l’auto presentava ancora dei problemi di allineamento. 
Si costituiva in giudizio il convenuto S.G. , il quale chiedeva il rigetto della domanda attorea.
Il convenuto assumeva preliminarmente un difetto di legittimazione passiva essendo il proprietario dell’autovettura G.T. , e un difetto di legittimazione attiva in quanto acquirente era B.C.
In ogni caso egli eccepiva la tardività della denunzia dei vizi contestandone l’esistenza e la loro non facile riconoscibilità.
 
Il Tribunale espletata la necessaria istruttoria (ammetteva la prova per testimoni, disponeva consulenza tecnica sull’automobile di proprietà dell’attrice) con sentenza n. 64 del 14-18 marzo 2000, respinte le eccezioni di difetto di legittimazione attiva e di legittimazione passiva, accoglieva la domanda proposta dall’attrice, dichiarava risolto il contratto di compravendita intercorso tra C.C. e la carrozzeria S. G. avente ad oggetto un autovettura … targata (…), condannava parte convenuta a restituire il prezzo dell’autovettura pari a lire 9.700.000 oltre al pagamento degli interessi dalla data della domanda al saldo condannava, altresì, parte convenuta a risarcire il danno subito da parte attrice a seguito della compravendita pari a lire 4.545.757 oltre interessi al tasso legale dalla data della domanda al saldo condannava il convenuto a pagare le spese di lite in favore dell’attrice. B.
Contro la decisione del Tribunale di Verona proponeva appello, con atto del 15 giugno 2000, il soccombente S., il quale chiedeva, vinte le spese del doppio grado, fosse respinta l’avversa domanda, in via preliminare perché legittimato all’azione era il padre della C., tale C.R., qualificandosi acquirente del mezzo nella denunzia dei vizi da lui proposta con lettera del 26 febbraio 1996 e nella successiva richiesta formale del 21 marzo 1996 a mezzo legale e in subordine per essersi verificata la decadenza non essendo efficace la suddetta denunzia per vizi ad opera di un terzo (il padre C.) anche se qualificatosi proprietario e per essere, comunque, maturata la prescrizione rilevabile d’ufficio al tempo della citazione del 18 marzo 1997 non potendosi riconoscersi effetto interruttivo alla missiva citata del 21 marzo 1996 siccome proveniente dal legale del C. e per suo conto, in ulteriore subordine il S. insisteva per il rigetto della domanda risarcitoria essendo errata la sentenza laddove ometteva di disporre la restituzione del veicolo ad esso venditore, pur a fronte della di lui condanna sia a restituire il prezzo e sia a risarcire l’acquirente dei costi sostenuti per riparare il mezzo che per altro essa continuava ad usare da tre anni e si rifiutava di restituire come da lettera del 18 maggio 2000.
 Si costituiva l’appellata C.C., insisteva per il rigetto del gravame riaffermava la propria attiva legittimazione quale intestataria al PRA. del veicolo, escludeva decadenza e prescrizione per essere efficace la denuncia dei vizi anche se fatta da un terzo senza procura, mentre riteneva corretta la condanna al risarcimento del danno nemmeno in se oppugnata in relazione agli accertati vizi anche tenuto conto del fatto che ella non aveva rifiutato la restituzione dell’auto ma, solo, subordinato la stessa al pagamento di quanto dovuto come da sentenza. Chiedeva vinte le ulteriori spese di giudizio. 
LA Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 216 del 3 febbraio 2005, respinge l’appello proposto da G.S. contro C.C., conferma la sentenza del Tribunale di Verona n. 64 del 14-18 marzo 2000, condanna l’appellante a rifondere all’appellata le spese ulteriori del grado. C.
Per la cassazione di tale sentenza della Corte di Appello di Venezia ricorre G.S., per tre motivi affidati ad un atto di ricorso notificato il 27 maggio 2005.
Resiste C.C. con controricorso notificato il 5 luglio 2005.
 

                                                                      MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. Con il primo motivo S. lamenta – come da rubrica – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453-1495 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cpc -. Avrebbe errato la Corte di Appello di Venezia – secondo il ricorrente – a ritenere C.C. legittimata a proporre l’azione di risoluzione del contratto di vendita per i vizi della cosa, fondando il suo convincimento sul dato meramente formale che la stessa risultava intestataria dell’auto al P.R.A.
La Corte di Appello di Venezia avrebbe dovuto, secondo il ricorrente, specificare se la C. sia divenuta proprietaria della cosa successivamente alla stipula del contratto del 21 febbraio 1996, al fine di stabilire se applicare l’art. 1492 cod. civ. secondo il quale: se il compratore ha alienato la cosa può pretendere solo la riduzione del prezzo (e non anche la risoluzione del contratto).
 
1.1. La censura è fondata ed essa va accolta per quanto di ragione. La sentenza della Corte territoriale si limita ad affermare che la C. era proprietaria della vettura in questione al tempo della certificazione rilasciata dal PRA (il 13 giugno 1996) vale a dire avanti la propiziazione della domanda.
Da questa evenienza la stessa Corte ha ritenuto fosse palmare “come unico soggetto legittimato a proporre l’azione fosse la stessa C.C.”. Tuttavia la Corte avrebbe dovuto – e non lo ha fatto – accertare, non tanto a chi appartenesse, in proprietà, l’autoveicolo, ma se la C. fosse l’acquirente dell’autoveicolo per la considerazione assorbente che la azione di che trattasi è concessa all’acquirente e non all’attuale proprietario del bene de quo.
 
1.2. È bene evidenziare che la normativa di cui agli artt. 1490-1492 cod. civ. prevede l’obbligo del venditore a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo appezzabile il valore. Ad un tempo, quella normativa, attribuisce al compratore il diritto di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, ovvero, la riduzione del prezzo salvo che per determinati vizi, gli usi escludono la risoluzione. Sicché, legittimato attivo a proporre, a sua scelta, una delle due azioni di cui si è appena detto, sarà l’acquirente, il quale sarà chiamato a dare prova di essere proprietario al momento in cui propone l’azione.
Legittimato passivo sarà il venditore che potrà esimersi dall’obbligo di garanzia dimostrando di non essere il venditore. Tuttavia, l’art. 1492 cod. civ. prevede nel secondo comma, tra l’altro, un’ipotesi particolare e articolata e, cioè, quella in cui il compratore abbia alienato o trasformato la cosa oppure la cosa sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore. In queste ipotesi, la norma citata stabilisce che il compratore può chiedere al venditore solo una riduzione del prezzo. Ora avuto riguardo all’ipotesi del compratore che aliena il bene va chiarito che vi sono due compratori e due venditori.
Il primo acquirente potrà agire nei confronti del suo immediato venditore, con la limitazione di cui all’art. 1492 secondo comma cod. civ., mentre il secondo acquirente potrà agire nei confronti del secondo venditore, ovvero, primo acquirente, senza alcuna limitazione, purché ricorrano le condizioni volute dagli art. 1493 e segg. cod. civ.. Non vi è dubbio che il secondo acquirente ha, pur sempre, diritto di essere garantito per i vizi della cosa dal suo immediato venditore, senza subire la limitazione di cui all’art. 1492, 2 comma, cod. civ.. Nell’ipotesi in cui, il secondo acquirente, solleva azione nei confronti del primo venditore egli, anche se legittimato a proporre l’azione de qua, si rivolgerebbe ad un soggetto privo di legittimazione passiva.
 
1.3 La lettura orientata della normativa di riferimento consente di ritenere insufficiente e comunque carente su un punto essenziale la motivazione della decisione impugnata nella misura in cui,appunto non ha accertato se la C. fosse l’acquirente del bene in questione. 
2. Con il secondo motivo S. lamenta – come da rubrica – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Avrebbe errato la Corte di Appello di Venezia, secondo il ricorrente, per aver ribadito che non rileva il fatto che la denunzia dei vizi fosse stata inviata da un terzo, vale a dire dal padre dell’acquirente e non dalla legittima proprietaria. In questo modo la Corte territoriale – specifica il ricorrente, avrebbe ribadito erroneamente il principio giuridico secondo il quale la denunzia dei vizi della cosa venduta è un atto che può pervenire da qualsiasi terzo. 
2.1. Il presente motivo rimane assorbito dal primo e comunque l’accoglimento del primo motivo priva di utilità giuridica l’esame di questo secondo motivo tale che si può prescindere dall’esaminarlo. 
2.2. Tuttavia, appare utile evidenziare che – come già si è detto il compratore, giusta la normativa di cui all’art. 1492 cod. civ., nell’ipotesi in cui la cosa venduta presenta dei vizi ha a disposizione, alternativamente, due rimedi: la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Per ottenere questi rimedi, il compratore è soggetto a un onere di denuncia dei vizi e a particolari termini di decadenza e prescrizione (art.1495 c.c.). Il termine per la denuncia è piuttosto breve, soli otto giorni. È un termine di decadenza, che può essere impedito solo se viene compiuto l’atto che elimina la situazione di incertezza; nel nostro caso, solo, se vengono tempestivamente denunciati i vizi annessi alla cosa venduta. Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che il dies a quo, dal quale decorre il termine di decadenza è diverso a seconda che i vizi siano apparenti e occulti, siano obiettivamente riconoscibili o non riconoscibili e non effettivamente riconosciuti al momento della conclusione del contratto. Il termine di cui si dice per i primi, coincide di solito con la consegna della cosa e per i secondi ha inizio dal giorno in cui essi sono divenuti riconoscibili per il compratore.
Tuttavia, in entrambi i casi la decorrenza deve farsi risalire al momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio, non essendo sufficiente il semplice sospetto (Cass. 4 maggio 1965, n.797 e Cass. 30 agosto 2000, n.11452). È, altresì, orientamento di questa Corte espresso in più occasioni, al quale si intende dare continuità, quello secondo cui: per la denuncia non sono richieste particolari formalità (basta anche l’oralità); essa non deve essere in forma analitica o specifica, con precisa indicazione dei difetti riscontrati, ma può anche essere sommaria, salvo precisare in un secondo tempo la natura e l’entità dei vizi (Cass. 9 maggio 1969, n.1602), è perfezionata anche se comunicata a un familiare del venditore o al suo rappresentante (Cass. 27 gennaio 1986, n.539 e 26 ottobre 1960, n.2908). Tuttavia, va escluso che la comunicazione possa essere effettuata da un qualsiasi terzo, senza che fosse legittimato dalla persona interessata.
 
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta – come da rubrica – Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Avrebbe errato la Corte di Appello di Venezia, secondo il ricorrente, per aver omesso qualsiasi pronuncia in merito alla prescrizione dell’azione dal momento che la citazione è stata notificata il 18 marzo 1997 quando la denunzia dei vizi era pervenuta a S. il 28 febbraio 1996. Non potendosi – ritiene il ricorrente – in teoria riconoscere effetto interruttivo alla lettera dell’avv. Stegagni in data 21 marzo 1996 dal momento che era stata inviata per conto di B.C. e non di C.C.. 
3.1. Anche questo ulteriore motivo resta assorbito dal primo, cioè, anche in questa ipotesi l’accoglimento del primo motivo priva di utilità giuridica l’esame di questo terzo motivo tale che si può prescindere dall’esaminarlo. 
3.2. Tuttavia, anche in questo caso, appare opportuno evidenziare che il terzo comma dell’art. 1495 c.c. sostiene che l’azione per far valere la garanzia, sia di risoluzione che di riduzione del prezzo, si prescrive in un anno dal giorno della consegna, in ogni caso, cioè, anche se il vizio non è stato scoperto, o ne è stata fatta tempestivamente la denuncia, o se questa non era necessaria. D’altra parte, la durata e la decorrenza del termine di prescrizione non possono essere modificate, né da clausole contrattuali, né dagli usi. La prescrizione è interrotta da qualunque atto del compratore che, pur diverso dalla domanda giudiziale, valga a costituire in mora il venditore (art. 2943 ultimo comma c.c.): è, altresì, interrotta se il compratore comunica al venditore l’intenzione di far valere il diritto di garanzia (Cass. 10 settembre 1999, n.963). Il giudice non può rilevare di ufficio la prescrizione non opposta (art. 2938 cod. civ.). 
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta – come da rubrica – Motivazione insufficiente e contraddittoria, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Venezia, avrebbe espresso una motivazione insufficiente e contraddittoria laddove ha considerato passata in giudicato la pronuncia di risoluzione della vendita per inadempimento del venditore anche se, il ricorrente, cioè, lo stesso venditore, con l’atto di appello aveva invocato la decadenza e la prescrizione della relativa azione. 
4.1. Anche questa censura rimane assorbita dall’accoglimento del primo motivo. 
4.2. Tuttavia opportuno evidenziare che il compratore della cosa viziata è tutelato – come si è detto – con le azioni edilizie: a) la risoluzione del contratto (azione redibitoria) e b) la riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris), previste dall’art. 1492, comma II, c.c. In particolare, per quel che qui interessa, la risoluzione del contratto comporta, per sua natura, il ripristino della situazione anteriore, così come previsto dall’art. 1493 c.c.: il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare le spese ed i pagamenti legittimamente fatti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa vendutagli.
Il compratore, a sua volta, ai sensi dell’art. 1494 c.c., ha diritto al risarcimento dei danni derivati dai vizi della cosa e anche del danno subito dal medesimo, a meno che il venditore non dimostri di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.
 
In definitiva, va accolto il primo motivo vanno ritenuti assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo. 

                                                                                  P.Q.M. 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti il secondo, il terzo e il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia, altra sezione. 
Depositata in Cancelleria il 10.03.2011 

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