Corte di Cassazione n. 23147/2013 – danno biologico –danno morale e danno esistenziale – tutti risarcibili -11.10.2013.
“Come ha recentemente statuito questa Corte, il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (v. Cass. n. 20292/2012)”.
Cassazione, Sez. III Civile , 11 ottobre 2013, n.23147
(Pres. Russo – est. Carleo)
Svolgimento del processo
Con citazione notificata nel gennaio 1995 M.R.A. , quale trasportato su un’autovettura Renault Espace di proprietà della Sport Center s.n.c., conveniva in giudizio la predetta società ed il suo assicuratore, Assitalia, nonché D.G. , proprietario e conducente di una vettura Ford Escort, ed il suo assicuratore, Lloyd Italico Assicurazioni Spa, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti nel sinistro stradale, verificatosi tra le due vetture l’…, sull’autostrada … all’altezza dello svincolo di immissione nella tangenziale (omissis) .
Veniva chiamato in causa N..M.R. , padre dell’attore, quale conducente dell’auto Renault Espace; interveniva volontariamente in giudizio B.P. , madre dell’attore, anch’essa trasportata sull’auto Renault, al fine di ottenere il risarcimento dei danni, anche da essa subiti a causa del sinistro. Espletate perizie tecniche, il giudizio veniva interrotto per la morte del convenuto G..D. e quindi riassunto nei confronti dei suoi eredi. In esito al giudizio il Tribunale di Milano dichiarava la corresponsablità in egual misura dei conducenti delle due autovetture; condannava D.R.H. e P.R. , eredi del defunto G..D. e la Lloyd Italico nonché N..M.R. , la Snc Sport Center e l’Assitalia, in solido tra loro, al pagamento, in favore di M.R.A. , della somma di Euro 1.404.227,35 ed, in favore di P..B. , della somma di Euro 109.391,77 oltre interessi al tasso medio ponderato del 5,84% su entrambi gli importi dal sinistro alla data della sentenza, ed oltre interessi legali da questa al saldo, previa detrazione in favore della Lloyd Italico Assicurazioni degli acconti versati all’attore, rivalutati in base agli indici Istat, dai rispettivi versamenti alla sentenza; poneva a carico dei convenuti in solido le spese di lite.
Avverso tale decisione proponeva appello la Lloyd Italico ed al procedimento venivano quindi riuniti quello relativo ad altra impugnazione proposta dalla Lloyd Italico e quello proposto dall’Assitalia. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 4 luglio 2007, in parziale riforma della sentenza, riduceva al massimale assicurato, pari per ciascuna compagnia ad Euro 774.685,35 oltre interessi legali, la statuizione di condanna solidale in favore di M.R.A. e di P..B. ; dichiarava che, tenuto conto della somma di Euro 809.804,42 complessivamente versata dalla Lloyd Italico in favore del M.R. e della B. , questi ultimi null’altro avevano a pretendere dalla suddetta compagnia; tenuto conto delle somme di Euro 1.633.413,96 ed Euro 207.109,91 complessivamente versate agli stessi dall’Assitalia, condannava il M.R. e la B. a restituire alla Spa Ina-Assitalia quanto rispettivamente ricevuto in più del dovuto, oltre interessi legali dalla relativa domanda al saldo; compensava interamente tra le parti le spese di lite del grado d’appello.
Avverso la detta sentenza il M.R. ha quindi proposto ricorso per cassazione, in via principale, articolato in nove motivi. Resistono con controricorso la Toro Assicurazioni Spa, incorporante la Lloyd Italico, e l’Ina Assitalia che hanno proposto a loro volta ricorso incidentale, affidandolo rispettivamente a due e sei motivi; resistono a tali ricorsi incidentali il M.R. e la Toro Assicurazioni.
Ha proposto altresì ricorso la B. , articolandolo in 9 motivi. Resistono con controricorso la Toro Assicurazioni Spa e l’Ina Assitalia che hanno proposto a loro volta ricorso incidentale, affidandolo rispettivamente a due e sei motivi; resistono a tali ricorsi incidentali la B. e la Toro Assicurazioni.
Tutte le parti hanno infine depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e quelli incidentali sono stati riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Procedendo all’esame dei ricorsi, proposti dal M.R. e dalla B. , deve premettersi che i due ricorsi propongono doglianze di analogo contenuto, le quali, per comodità di esposizione, verranno trattate congiuntamente.
Ciò premesso, va osservato che con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2909 cc e 324 e 342 cpc, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello è intervenuta su un capo della sentenza del Tribunale, relativa alla decorrenza degli interessi dall’1.7.1990, che non aveva costituito motivo di impugnazione da parte di alcuno, con la conseguenza che rappresentava un punto rispetto al quale si era ormai formato il giudicato interno.
Con la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art.112 cpc – i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale con riguardo alla decorrenza degli interessi di mora aveva identificato un dies a quo diverso da quello sul quale si era pronunciato il Tribunale, pur trattandosi di un punto della sentenza non censurato con l’appello.
Con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cc e dell’art. 22 legge n.990/1969, i ricorrenti si sono doluti del fatto che la Corte di merito ha attribuito ai danneggiati gli interessi al tasso legale, a titolo di danno ex art. 1224 cc, a far tempo dall’11.9.92 per entrambi, quanto al Lloyd Italico, e dall’11.1993, a favore del M.R. , e dal 19.11.95, a favore della B. , quanto all’Assitalia, date di messa in mora, successive a quelle della prima costituzione in mora, trascurando che nell’ipotesi di mala gestio impropria, come nella specie, sorge a carico dell’assicuratore ed a favore del terzo un’obbligazione, avente come contenuto il pagamento degli interessi e della svalutazione monetaria con decorrenza dalla data di costituzione in mora dell’assicuratore ex art. 22 legge n. 990/69.
Con la quarta doglianza, articolata sotto il profilo del vizio motivazionale, i ricorrenti hanno infine censurato la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento della decorrenza della mora dalla prima lettera di diffida al risarcimento ai sensi dell’art.22 legge n. 990/1969.
I motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura, i quali derivano dal medesimo presupposto, costituito dal fatto che la Corte di merito, nell’accogliere il motivo di impugnazione proposto dalle compagnie di assicurazione, che si erano dolute per il risarcimento ultra massimale riconosciuto dal Tribunale in favore dei due infortunati, riduceva al massimale assicurato, pari per ciascuna compagnia a Euro 774.685,35 oltre gli interessi nella misura legale, dall’11.11.92 al saldo a carico del Lloyd Italico, e dall’11.5.93 e dal 19.11.95 al saldo, rispettivamente a favore del M.R. e della B. , a carico dell’Assitalia (successivamente Ina-Assitalia Spa). In tal modo, la Corte modificava la statuizione del primo giudice, che aveva invece condannato i convenuti, in solido tra loro, al pagamento, in favore di A..M.R. , della somma di Euro 1.404.227,35 ed, in favore di P..B. , della somma di Euro 109.391,77 oltre interessi al tasso medio ponderato del 5,84% su entrambi gli importi dalla data del sinistro, esattamente dall'(OMISSIS) , alla data della sentenza, ed oltre interessi legali da quest’ultima fino al saldo.
Ciò premesso, appare opportuno – e non solo per comodità di esposizione ma anche, e soprattutto, perché si tratta di censure logicamente assorbenti – iniziare dall’esame della terza e quarta doglianza, le quali sono sostanzialmente in linea con il più recente orientamento di questa Corte e meritano pertanto accoglimento.
A riguardo, giova rilevare che il giudice di appello ha iniziato il suo percorso argomentativo partendo dalla premessa che entrambi i danneggiati avevano richiesto, nei confronti delle due compagnie di assicurazione, il risarcimento di tutti i danni, anche oltre il massimale, per il colpevole ritardo con il quale le compagnie si erano attivate per liquidare i danni da loro rispettivamente patiti nel sinistro (così, nelle conclusioni formulate in primo grado, riportate dal giudice d’appello a pag.36 della sentenza impugnata).
Ciò posto, la condanna delle compagnie – così continua la Corte di merito – non poteva essere limitata al semplice massimale di polizza in quanto esse erano state messe in mora ex art. 22 legge n. 990/1969 e non avevano provveduto a mettere a disposizione il rispettivo massimale alla scadenza del termine dei sessanta giorni previsti dalla suddetta norma, pur essendo state poste in grado di determinarsi in ordine all’an ed al quantum della responsabilità dei loro assicurati (così a pag.36 della sentenza di secondo grado).
Ora, pur partendo da una premessa corretta – in quanto la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore nei confronti della parte danneggiata trova titolo in un suo comportamento ingiustificatamente dilatorio, a fronte della richiesta di liquidazione di tutti i danni, anche oltre il massimale, avanzata dal danneggiato – la Corte di merito non ne ha tratto però le dovute conseguenze, trascurando che, alla scadenza del termine di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 22 l’assicuratore è da considerarsi in mora, ove con tale richiesta sia stato posto in grado di determinarsi in ordine all’an e al quantum della somma dovuta.
Né a tal fine occorre una ulteriore espressa domanda di condanna dell’assicuratore al pagamento degli interessi e della rivalutazione ultra massimale perché, qualora il danneggiato abbia agito con azione diretta verso l’assicuratore, domandando il riconoscimento di una somma superiore al massimale (circostanza accertata nella sentenza di secondo grado), si deve ritenere che lo stesso, per ciò solo, abbia chiesto di essere risarcito dell’intero danno subito, anche di quello dovuto alla mora dell’assicuratore.
E ciò, anche in difetto di una esplicita istanza in tal senso, perché l’omissione non può essere ritenuta abdicativa del diritto alla corresponsione di interessi e rivalutazione, essendo in contrasto con l’interesse del danneggiato ad ottenere l’integrale risarcimento.
Invero, è principio di diritto ormai consolidato di questa Corte quello secondo cui la domanda, proposta dalla vittima di un sinistro stradale, di condanna dell’assicuratore del responsabile al risarcimento del danno per mala gestio deve ritenersi implicitamente formulata tutte le volte che la vittima, anche senza fare riferimento alla condotta renitente dell’assicuratore od al superamento del massimale, ne abbia comunque domandato la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione (così Cass. n. 20058/08, n. 21688/09, n. 15397/10, n. 17167/2012).
Alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, deve pertanto concludersi per la fondatezza delle ragioni di doglianza in esame.
Ugualmente fondate sono le ulteriori censure (settimo e ottavo motivo, formulate rispettivamente per violazione dell’art. 1224 cc (il settimo), e per omessa, insufficiente motivazione in ordine al mancato riconoscimento del maggior danno di cui all’art.1224 cc (l’ottavo), con cui i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento del danno da svalutazione monetaria, deducendo che la Corte di merito non aveva ammesso a loro favore, il maggior danno ex art. 1224 co. 2 cc, come invece avrebbe dovuto fare determinandolo sulla scorta del danno subito a causa dell’aumento dei prezzi.
Con la conseguenza che essi, causa il ritardo nel pagamento, non avevano potuto acquistare i beni di cui avevano bisogno e svolgere gli investimenti che, con la disponibilità della somma, avrebbero, secondo criteri di normalità e di concreta possibilità, posto in essere.
Peraltro, la Corte aveva reso a riguardo una motivazione generica e quasi di stile limitandosi ad affermare che non era possibile riconoscere il maggior danno ex art. 1224 cc perché difettava la prova al riguardo non risultando versati agli atti elementi idonei a dimostrare la sussistenza di un danno maggiore di quello ristorato con gli interessi legali.
Entrambe le doglianze, come già osservato, meritano di essere accolte. Ed invero, secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, se la responsabilità da mala gestio impropria, non può comportare la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore per il capitale, rispetto al quale il limite del massimale è insuperabile, può comportarla invece, per interessi e svalutazione. Ne deriva quindi che l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, ove ritardi colposamente il pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento in favore terzo danneggiato, incorrendo così nell’ipotesi di cosiddetto “mala gestio” impropria, è tenuto alla corresponsione, non solo degli interessi sul massimale, ma, anche del maggior danno ex art. 1224, comma secondo, cod. civ. (che può consistere anche nella svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi).
La Corte di appello può quantificare il danno da mala gestio anche sulla base di presunzioni, traendo argomento dalla svalutazione monetaria sopravvenuta nel tempo intercorso fra la data del sinistro e la data del pagamento dell’indennizzo, come reclamano i resistenti, (v. sul punto Cass. n. 10839/2011, Cass. n. 19919/2008).
Al contrario, nel caso di specie, la Corte di merito si è limitata ad argomentare assai genericamente, con una motivazione ai limiti dell’apparenza, disattendo la domanda avanzata a riguardo dai danneggiati ed omettendo il compimento di ogni accertamento volto a verificare la sussistenza della dedotta svalutazione monetaria sopravvenuta nel tempo intercorso fra la data del sinistro e la data del pagamento dell’indennizzo.
Ed è appena il caso di sottolineare come tale omissione non solo inficia la correttezza del ragionamento svolto dalla Corte di merito ma ne determina altresì la sua censurabilità.
Ne deriva la fondatezza delle doglianze trattate.
L’accoglimento dei motivi esaminati comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi contenuti nei ricorsi proposti in via principale, ed in particolare, mettendo in discussione tutti i rapporti economici tra le parti, determina l’assorbimento dei motivi con cui i ricorrenti lamentano che la Corte avrebbe sbagliato quando ha statuito che la B. nulla doveva avere dal Lloyd e che i due infortunati null’altro avessero a pretendere dalla detta compagnia.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata in relazione ai ricorsi ed ai motivi accolti.
Esaurito l’esame dei due ricorsi proposti in via principale, passando al ricorso incidentale, proposto dalla Toro Assicurazioni, va rilevato che la prima censura, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 184 cpc nel testo vigente anteriore alla legge n. 353/90 nonché dell’art.112 cpc in relazione all’art. 360 nn 3 e 5 cpc, si fonda sulla premessa che il M.R. propose la domanda di risarcimento di danno esistenziale solo in sede di precisazione delle conclusioni, quindi tardivamente, e che tale domanda non poteva essere accolta in quanto su di essa non vi era stata accettazione del contraddittorio. Ciò posto, la Corte di Appello avrebbe errato in primo luogo per aver omesso di prendere in considerazione il motivo di gravame relativo alla inammissibilità della domanda; inoltre, avrebbe errato per aver statuito in violazione dell’art. 183 e 184 cpc nel testo vigente anteriormente alla legge n.353/90 deducendo comunque, erroneamente, che in citazione era stata formulata la richiesta di liquidazione di un quid pluris rispetto al danno biologico, qualificato come danno alla vita di relazione, e che tale danno fosse equivalente al danno esistenziale.
Con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt.2056 e 2059 cc, ha lamentato l’erroneità della decisione impugnata per aver autonomamente valutato il danno esistenziale e per aver disposto immotivatamente per il duplice risarcimento del danno morale e del danno esistenziale.
I due motivi possono essere congiuntamente esaminati per la connessione tra le questioni che pongono. A riguardo, con riferimento specifico al primo profilo del primo motivo, con cui è stato dedotta la pretesa violazione dell’art.112 cpc, deve essere dichiarata l’inammissibilità del profilo di doglianza per difetto di autosufficienza del ricorso. Ed invero, la ricorrente ha completamente mancato di riportare, nel ricorso per cassazione, previa trascrizione nei suoi esatti termini, il contenuto della doglianza, che avrebbe costituito il motivo di appello e sul quale la Corte avrebbe omesso di pronunciarsi. Ed è appena il caso di sottolineare che, pur configurando la violazione dell’articolo 112 del cpc un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non comporta che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli.
Passando agli altri profili delle due censure, torna utile far presente che la Corte di merito, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, ha opportunamente precisato che l’attore aveva richiesto tempestivamente il risarcimento di tutti i danni derivanti dal sinistro, e quindi anche il danno non patrimoniale conseguente all’impossibilità di realizzare la sua persona sul piano sessuale, di realizzarsi attraverso la formazione di un nucleo familiare con figli, di continuare l’attività tennistica; e ciò, stante la sua condizione di soggetto costretto a vivere su una sedia a rotelle, (cfr pagg. 30 e 31 della sentenza impugnata).
È dunque chiaro che il pregiudizio indennizzato, costituente conseguenza non patrimoniale di un fatto costituente reato, già era stato introdotto nel thema decidendum. La circostanza che il “danno esistenziale” (che non esiste come autonoma categoria di danno ma che costituisce sintagma ampiamente invalso nella prassi giudiziaria) sia stato domandato solo in sede di conclusioni è, allora, assolutamente irrilevante; quel che rileva è che a quel tipo di pregiudizio fosse stato fatto riferimento in un contesto nel quale era stato richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale, senza limitazioni connesse solo ad alcune e non ad altre conseguenze pregiudizievoli derivatene.
Giova aggiungere che il pregiudizio cui la corte d’appello ha fatto riferimento non costituisce inoltre duplicazione di altra voce di danno, attesa la peculiarità insita nella sua descrizione. Ed invero, come ha recentemente statuito questa Corte, il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (v. Cass. n. 20292/2012).
In definitiva, se non è ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria di “danno esistenziale”, in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. (con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una non consentita duplicazione risarcitoria) mentre qualora si intendesse invece includere nella categoria pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, la stessa sarebbe illegittima (essendo essi irrisarcibili alla stregua del menzionato articolo), quel che rileva, ai fini risarcitori, è che, ove si siano verificati pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi non siano stati già oggetto di apprezzamento e di liquidazione da parte del giudice del merito, a nulla rilevando in senso contrario che quest’ultimo li liquidi sotto la voce di danno non patrimoniale oppure li faccia rientrare secondo la tradizione passata sotto la etichetta “danno esistenziale”. Ed invero, l’erroneità della denominazione adottata, di per sé sola, non fa ovviamente discendere l’illegittimità della loro liquidazione. Le censure sono pertanto infondate. Passando infine al ricorso incidentale proposto dall’Ina Assitalia, va osservato che con la prima doglianza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 cc la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver confermato la corresponsabilità in pari misura dei due conducenti trascurando che secondo la ctu la causa esclusiva dell’evento dannoso era imputabile alla condotta del D. .
Ha quindi concluso il motivo con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se in tema di eventi colposi l’obbligo di prevedere e neutralizzare l’eventuale imprudenza ed inosservanza di leggi commesse da altri trova un limite naturale nella impossibilità materiale e nella capacità di un uomo normale di prevedere ragionevolmente siffatto comportamento e che quindi non può ritenersi responsabile chi non adegui la propria azione sulla condotta altrui quando essa assume caratteri tali da renderla assolutamente imprevedibile”.
La censura è inammissibile per un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, il quesito di diritto risulta formulato in maniera assai generica e non in maniera compiuta ed autosufficiente in modo che dalla sua risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr Sez. Un. 28054/08). In particolare, non contiene la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti all’esame del giudice di merito né tanto meno contiene l’indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato, di cui si chiede, in relazione al caso concreto, l’applicazione (cfr Sez. Un. n. 23732/07).
L’inammissibilità deriva infine dal rilievo che le ragioni di doglianza, formulate dalla ricorrente, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito, mirando ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali e trascurando che a questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Passando ad esaminare le successive censure, va osservato che esse sono state avanzate tutte per vizio motivazionale, avendo la ricorrente lamentato che la motivazione della sentenza sarebbe omessa, insufficiente e contraddittoria in ordine alla valutazione di corresponsabilità paritaria dei due conducenti (2^ doglianza); in ordine alla quantificazione del danno biologico e del danno morale (3^ doglianza); in ordine alla non novità della domanda di richiesta di danno esistenziale (4^ doglianza); in ordine alla non duplicazione liquidatoria di danno in caso di concessione del danno esistenziale (5^ doglianza); in ordine alla condanna al pagamento degli interessi legali per mala gestio impropria (6^ doglianza).
Nessuno di tali motivi è corredato da uno specifico momento di sintesi, onde l’inammissibilità delle relative doglianze. Ed invero, come ha ribadito di recente questa Corte,nel vigore dell’art. 366 bis cpc, in base al capoverso di tale articolo, il ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto – nel confezionamento del relativo motivo – a formulare in riferimento alla anzidetta censura un c.d. quesito di fatto e cioè indicare chiaramente in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A tal fine è necessaria la enunciazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risulti in modo non equivoco. Tale requisito, infine, non può ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo, all’esito di una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente, consenta di comprendere il contenuto ed significato delle censure, posto che la ratio che sottende la disposizione di cui all’art.366 bis cpc è associata alle esigenze deflattivo del filtro di accesso alla Suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere dalla lettura del solo quesito di fatto quale sia l’errore commesso dal giudice del merito Cass. n. 6549/2013). In conclusione alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, vanno accolti i ricorsi proposti da M.R.A. e da B.P. , nei limiti dei motivi sopra indicati; va rigettato il ricorso incidentale proposto da Toro Assicurazioni Spa; va infine dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Ina Assitalia Spa. La sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti dei ricorsi e dei motivi accolti.
Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso incidentale proposto da Toro Assicurazioni Spa; dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Ina Assitalia Spa; accoglie i ricorsi principali proposti da M.R.A. e da B.P. , nei limiti del terzo, del quarto, del settimo e dell’ottavo dei motivi dei due ricorsi principali, in essi assorbiti gli altri motivi di impugnazione; cassa la sentenza impugnata nei limiti dei ricorsi e dei motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.