La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha stabilito che la cartella di pagamento deve indicare, a pena di nullità, la data in cui il ruolo diviene esecutivo. Infatti: “L’art. 12 n. 3 del DPR 602/73 introdotto dall’art. 4 del D.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 che ha sostituito l’originario art. 12 dispone che nel ruolo deve essere indicata “la data in cui il ruolo diviene esecutivo”, oltre al riferimento al precedente atto di accertamento ovvero alla motivazione della pretesa”. Tra l’altro, la mancata indicazione della data in cui il ruolo diviene esecutivo impedisce la verifica il calcolo degli interessi, decorrenti dalla data di consegna del ruolo al concessionario.
CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
SENTENZA 12/11/2010 N. 22997
SVOLGIMENTO DEL PROCESSOLa
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza 17 aprile 2008 ha rigettato l’appello proposto dalla (omissis) s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la validità della cartella esattoriale emessa a seguito di sentenza di reiezione di ricorso avverso avviso di accertamento per IRPEG 1997. La Commissione Regionale ha rilevato che non essendo la cartella un avviso di accertamento, non era necessaria la indicazione di alcun atto presupposto diverso dalla sentenza in forza della quale la cartella stessa era stata emessa. Né era necessaria l’indicazione del saggio di interessi applicato, in quanto disposto con decreto ministeriale, mentre non poteva ritenersi duplicata l’imposta rispetto a quella accertata e poi a quella rimborsata in una prima fase dalla Società, non avendo quest’ultima dimostrato l’identità degli importi. Quanto alle sanzioni i giudici d’appello hanno ritenuto applicabile l’art. 19 1° comma del D.Lgs. 472/97, che prevede l’applicazione delle disposizioni in esso contenute alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non fosse stata irrogata alla data della sua entrata in vigore (1° aprile 1998). La I. L. in liquidazione chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di quattro motivi, sintetizzati da quesiti di diritto.
L’Amministrazione Finanziaria si è tardivamente costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si denuncia violazione degli artt. 12 del DPR 602/73 e 7 della legge n. 212/2000 in relazione all’eccepita nullità del ruolo e della cartella di pagamento per difetto di motivazione, non essendo stato indicato nella cartella il numero dell’avviso di accertamento cui la stessa si riferiva, né la data in cui il ruolo era divenuto esecutivo, come prescritto dall’art. 12 del DPR 60/73, il che impedisce la verifica il calcolo degli interessi, decorrenti dalla data di consegna del ruolo al concessionario, anche in considerazione del fatto che non è stato indicato il saggio di interessi applicato. Si formula pertanto il seguente quesito di diritto: “Se, ai sensi degli artt. 7 legge n. 212/2000 e 12 DPR 602/73, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., debba o meno considerarsi illegittima la sentenza impugnata che ha affermato che è motivato il ruolo/cartella di pagamento – come quello dedotto in giudizio – nel quale sono stati indicati soltanto elementi generici e le somme dovute e, di contro, non sono stati indicati né l’avviso di accertamento dal quale deriva l’iscrizione a ruolo, né il saggio di interesse applicato, né la data di consegna del ruolo stesso”.
Il motivo è parzialmente fondato.
L’art. 12 n. 3 del DPR 602/73 introdotto dall’art. 4 del D.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 che ha sostituito l’originario art. 12 dispone che nel ruolo deve essere indicata “la data in cui il ruolo diviene esecutivo”, oltre al riferimento al precedente atto di accertamento ovvero alla motivazione della pretesa. Nel caso in esame, come ha correttamente rilevato la CTR, la pretesa appare motivata col riferimento alla sentenza della Commissione Provinciale su cui è stata effettuata l’iscrizione a ruolo, mentre il riferimento al calcolo degli interessi non è in alcun modo prescritto dalla menzionata norma, ma appare tuttavia collegato alla data di esecutività del ruolo, che ne consente la verifica. E’ vero infatti che le procedure di formazione del ruolo sono determinate con decreto ministeriale (art. 12 n. 2 cit.) e che gli interessi si computano dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile (art. 2 L. 26 gennaio 1961 n. 29), ma la certezza della data di inizio della esigibilità è data proprio dalla esecutività del ruolo, che va accertata dal giudice di rinvio, previa cassazione sul punto, della sentenza impugnata, ove la stessa appaia deducibile dall’avviso notificato.
Col secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata per vizio di motivazione in ordine al fatto controverso, costituito dalla dimostrazione o meno della duplicazione, ancorché parziale, di importi già restituiti dall’Erario.
Infatti la contribuente ha dimostrato, attraverso il provvedimento di sgravio emesso dall’Ufficio, prodotto all’udienza del 5.12.2006 e disatteso dalla sentenza impugnata, la quale ha confermato integralmente il ruolo e la cartella, di aver già restituito al Fisco nella misura di Euro 258.228,00 oltre interessi, il credito d’imposta in precedenza ottenuto.
La motivazione della sentenza impugnata, che ha ignorato tale documentazione decisiva in ordine ad un parziale duplicazione dell’imposta è dunque viziata in quanto ha omesso di esaminare un elemento potenzialmente idoneo a determinare una decisione diversa. Col terzo motivo si deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 46 del D.lgs. 546/92, nella parte in cui ha respinto l’eccezione della Società circa la duplicazione d’imposta e gli interessi richiesti alla ricorrente, omettendo di dichiarare cessata la materia del contendere “in parte qua”, in forza del provvedimento di sgravio in autotutela emesso dall’Ufficio e prodotto in causa, e decidendo invece il merito della causa senza esaminare il fondamento della doglianza esposta sul punto dall’appellante.
Viene pertanto formulato il seguente quesito di diritto: “Se si debba o meno considerare affetta da nullità, ai sensi dell’art. 46 D.Lgs. 546/92 in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la sentenza nella quale i giudici – come nel caso in giudizio – invece di dichiarare l’estinzione parziale della controversia per cessata materia del contendere, risultando in atti la dimostrazione della duplicazione parziale della pretesa fiscale nonché l’avvenuto annullamento parziale della medesima per effetto del provvedimento di sgravio emesso dall’ufficio, per un importo pari alla pretesa duplicata, oltre interessi, e, dall’Ufficio stesso prodotto in giudizio alla udienza del 5 dicembre 2006, si sono pronunciati in ordine alla fondatezza/infondatezza della doglianza protestata”.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei limiti di cui appresso.
Il richiamo al provvedimento di sgravio in autotutela emesso dall’Ufficio e prodotto in causa, con cui una parte dell’importo portato dall’avviso di accertamento veniva detratto dalla pretesa fiscale doveva essere esaminato dai giudici d’appello in funzione della corrispondenza, quantomeno parziale, all’entità della somma inizialmente rimborsata alla contribuente, poi dalla stessa restituita; non può infatti considerarsi sul punto soddisfacente l’affermazione della Commissione Regionale, priva di approfondimento in ordine a quanto prodotto dalla contribuente e dall’Ufficio, secondo cui gli importi di cui si affermava la duplicazione non corrispondevano. Spetta infatti al giudice di merito, e non a questa Corte di legittimità, l’esame completo della documentazione in atti, che, previa cassazione sul punto della sentenza impugnata, dovrà esser svolta in sede di rinvio.
Col quarto motivo si deduce infine violazione degli artt. 68 del D.lgs. 546/92,3,19,235 e 30 del D.lgs. 472/97 in relazione alla sanzione applicata in violazione delle norme disciplinanti la riscossione frazionata in pendenza di giudizio, che fino all’abrogazione del cit. art. 68 (1 aprile 1998), prevedevano che le sanzioni pecuniarie dovessero “essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo col ricorso per cassazione”, mentre nella specie le pene pecuniarie sono state applicate (nella misura di due terzi di quelle irrogate) dopo la pronuncia di primo grado relativamente a dichiarazione del 1997, cioè nella vigenza del cit. art. 68.
I giudici di merito hanno ritenuto nella specie applicabile l’art. 19 della legge 472/97, collegandolo alla nuova versione dell’art. 68 del D.Lgs. 546/92, ignorando il periodo cui la sanzione si riferiva (“ratione temporis”) e il principio del “favor rei”. Si formula pertanto il seguente quesito di diritto “Se, ai sensi degli artt. 68 D.Lgs. 546/92 (nella versione in vigore fino al 31 marzo 1998 e versione attualmente vigente), 3, 19, 25 e 30 D.lgs. 472/97 in relazione a violazioni commesse nel corso del 1997 – quindi prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 472 cit. – l’Ufficio possa o meno iscrivere a ruolo le sanzioni irrogate a seguito della emissione della pronuncia di primo grado che respinge il ricorso e quindi, se debba o meno considerarsi illegittima, ai sensi degli artt. 68 D.Lgs. 546 cit. 3, 19, 25 e 30 D.lgs. 472 cit. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la sentenza che – come nel caso in giudizio – ha affermato la legittimità della iscrizione a ruolo della pretesa sanzionatoria – e pertanto del ruolo/cartella di pagamento “in parte qua” – a seguito della emissione della pronuncia di primo grado che ha respinto il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento, malgrado si tratti di sanzioni relative a violazioni commesse nel 1997, prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di cui al D.Lgs. 472 cit.”. Il quarto motivo è fondato. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 3, prevedeva: “3. Le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione”. L’art. 29 del D.Lgs. n. 472 del 1997, entrato in vigore il 1° aprile 1998, ha abrogato le parole “e le sanzioni pecuniarie”. L’art. 19 D.Lgs. n. 472 del 1997 che ha riordinato tutte le norme in materia di sanzioni per violazioni di norme tributarie, dispone al comma primo: “1. In caso di ricorso alle commissioni tributarie si applicano le disposizioni dettate dall’art. 68 commi 1 e 2, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 recante disposizioni sul processo tributario”.
La generica indicazione di commissioni tributarie, che si attaglia al precedente ed al nuovo ordinamento, e l’abrogazione per effetto del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 37, del D.P.R. n. 602 del 1973, at. 15, comma 2, che regolava la riscossione frazionata nel precedente ordinamento, fanno concludere che l’art. 68 sia ormai la regola generale in tema di riscossione frazionata (Cass. 4642/2008). Il problema che viene posto nella presente causa non nega tale regola, ma richiama, in virtù del principio di legalità di cui all’art. 3 del D.Lgs. 472/97 che esclude l’assoggettamento a sanzioni in forza di legge entrata in vigore dopo la commissione della violazione, la dizione originaria del cit. art. 68, vigente fino al 1° aprile 1998, (e abrogato da questa data dall’art. 29 comma 1 lett. d) n. 1 del D.lgs. 472/97), secondo cui l’applicazione delle sanzioni, in caso di esecuzione frazionata, può avvenire soltanto dopo “l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile soltanto col ricorso per cassazione”. Indubbiamente quindi, salva e impregiudicata l’applicazione di pene pecuniarie (sostitutive delle sanzioni ex D.lgs. 472/97) a seguito di sentenza definitiva, l’avviso nella specie impugnato, emesso dopo una sentenza di primo grado appellata, non poteva includere le sanzioni nella specie applicate.
In conclusione pertanto, accolto il quarto motivo di ricorso con esclusione delle sanzioni applicate, e accolti parzialmente gli altri motivi nei sensi di cui in motivazione, gli atti, previa parziale cassazione della sentenza impugnata vanno rimessi, per un nuovo esame relativo ai primi tre motivi, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie interamente il quarto motivo di ricorso e per quanto di ragione i primi tre motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della commissione Tributaria Regionale della Lombardia.