Corte di Cassazione n° 19045/2010 – Condominio – i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune solo fino a punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva -03.09.2010. –

“ai sensi del l’art. 1117 c.c., n. 3, i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune solo fino a punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva, e poichè la braga, quale elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura verticale, di pertinenza condominiale, è strutturalmente posta nella diramazione, essa non può rientrare nella proprietà comune condominiale, che è tale perchè serve all’uso (ed al godimento) di tutti i condomini…… la spesa per la riparazione dei canali di scarico dell’edificio in condominio, che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3, sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti”.    

                                                           CORTE DI CASSAZIONE 

                                                         SEZIONE  SECONDA CIVILE   

                                                  SENTENZA DEL 03.09.2010, N. 19045  

                                                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

B.R. e D.G. convenivano in giudizio F.N. esponendo: che l’appartamento di loro proprietà era stato interessato da infiltrazioni di acqua provenienti dalle tubature dell’impianto dell’appartamento soprastante di proprietà della F. la quale si era opposta a far accedere alla propria abitazione un idraulico per l’esecuzione delle necessarie riparazioni; che ciò aveva reso necessario il ricorso ad un procedimento ex art. 700 c.p.c., conclusosi con pronuncia con la quale era stato ordinato alla F. di provvedere all’immediata esecuzione dei lavori atti ad eliminare le infiltrazioni; che i lavori erano stati eseguiti; che era stato possibile stabilire che la perdita aveva avuto origine “nella braga di innesto dello scarico del lavandino della F. alla colonna condominiale”.
Gli attori chiedevano quindi la condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti a causa delle infiltrazioni. La F., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda – sostenendone l’infondatezza – e, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al risarcimento dei danni patiti determinati dalla loro illecita condotta. 
Con sentenza 21/1/2003 l’adito tribunale di Cremona accoglieva la domanda principale – condannando la convenuta a pagare agli attori Euro 971,31 a titolo di risarcimento danni – e rigettava quella incidentale. Avverso la detta sentenza la F. proponeva appello al quale resistevano il B. e la D. 
Con sentenza 19/4/2005 la corte di appello di Brescia rigettava il gravame osservando: che la perdita d’acqua infiltratasi nel soffitto dell’appartamento sottostante era stata determinata dalla rottura della tubazione di scarico nel tratto obliquo creato per convogliare le acque del lavandino della F. alla colonna condominiale; che la distinzione, operata dalla appellante, tra tratto di proprietà esclusiva e tratto costituito da un elemento speciale formante corpo unico con la colonna verticale di proprietà condominiale, non trovava alcun riscontro sul piano tecnico e contrastava con la definizione comunemente data alla “braga” in questione; che quindi correttamente il tribunale aveva affermato l’appartenenza del tratto di tubazione in questione in proprietà esclusiva alla F. ed aveva ravvisato la sussistenza in capo alla stessa della responsabilità per cose in custodia ex articolo 2051 c.c; che la prova della sussistenza del danno subito dagli appellati risultava dagli accertamenti eseguiti dal geometra P. – trasfusi nella relazione del 21/10/1999 – e dalla acquisita documentazione fotografica, oltre che dalla prova testimoniale; che, come emergeva da tali risultanze probatorie, i soffitti e le pareti del servizio igienico e relativo disimpegno dell’appartamento dei coniugi B.- D. erano interessati da evidenti tracce di infiltrazioni d’acqua; che, al contrario di quanto asserito dalla appellante, il condominio non si era accollato l’onere della spesa necessaria per il ripristino dell’appartamento degli appellati; che la quantificazione del danno in Euro 800,00, in linea capitale, pur essendo più ampia rispetto a quella indicata dal geometra P. in L. 1.350,000, era giustificata da vari elementi (nel dettaglio indicati); che giustamente era stata rigettata la domanda riconvenzionale proposta dalla F. tenuto conto della riscontrata legittimità dell’iniziativa giudiziaria intrapresa dai citati coniugi. La cassazione della sentenza della corte di appello di Brescia è stata chiesta da F.N. con ricorso affidato a quattro motivi.
R.B. e D.G. hanno resistito con controricorso. 

                                                         MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo di ricorso la F. denuncia violazione dell’art. 1117 c.c., n. 3, sostenendo che – come affermato nella stessa sentenza impugnata – il punto di rottura della tubazione di scarico è stato individuato nel tratto obliquo che convoglia le acque del lavandino di proprietà di essa ricorrente alla colonna condominiale. La perdita d’acqua è quindi da ascriversi alla rottura di un elemento comune dell’edificio. Infatti la ‘”braga di innesto” tra la colonna di scarico condominiale e l’utenza esclusiva di un singolo condomino costituisce un corpo unico con la colonna condominiale ed è un elemento di esclusiva proprietà del condominio.
La corte di appello ha quindi errato nell’interpretare l’art. 1117 c.c., n. 3. 
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2051 c.c., deducendo che la presunzione di colpa per i danni cagionati dalla cosa in custodia trae giustificazione all’esistenza di un effettivo potere fisico del soggetto sul bene stesso.
Nella specie essa F. non ha mai avuto un potere di intervento sulla parte della tubatura in questione trattandosi di un pezzo da considerarsi un tutt’uno con la braga condominiale. Infatti per poter intervenire è stata necessaria una delibera condominiale. La responsabilità ex art. 2051 c.c., va quindi imputata solo al condominio. 
Con il terzo motivo la F. denuncia vizi di motivazione per aver la corte di appello omesso di esaminare un fatto decisivo, ossia che la parte della tubatura che ha causato il danno appartiene ad un unico blocco costituente la colonna verticale di proprietà condominiale così come provato dalla documentazione prodotta. Il giudice di appello ha omesso di esaminare alcuni elementi probatori quali: le perizie del geometra Bo. e del geometra P. e i verbali di assemblea condominiale del 23/11/1999 e del 25/1/2000. 
La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte – quale più quale meno e sia pur sotto aspetti e profili diversi -la stessa questione relativa alla condominialità o meno della “braga” della colonna di scarico dalla quale sono derivate le infiltrazioni d’acqua nell’appartamento dei coniugi B.- D.. 
Al riguardo va osservato che la soluzione data dalla corte di appello a tale quesito è ineccepibile e conforme ai principi che questa Corte ha avuto modo di affermare – e che il Collegio condivide e fa propri – secondo cui: – ai sensi del l’art. 1117 c.c., n. 3, i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune solo fino a punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva, e poichè la braga, quale elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura verticale, di pertinenza condominiale, è strutturalmente posta nella diramazione, essa non può rientrare nella proprietà comune condominiale, che è tale perchè serve all’uso (ed al godimento) di tutti i condomini; e, nella specie, la braga qualunque sia il punto di rottura della stessa, serve soltanto a convogliare gli scarichi di pertinenza de singolo appartamento, a differenza della colonna verticale che, raccogliendo gli scarichi, di tutti gli appartamenti, serve all’uso di tutti i condomini (sentenza 17 marzo 2005 n. 5792); – in un condominio la presunzione di comproprietà, prevista dall’art. 1117 c.c., n. 3, anche per l’impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell’impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti, e, quindi, che presenta l’attitudine all’uso ed al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva (sentenze 1/1/2001 n. 583; 8.10.1998,n. 9940, in tema di impianto di riscaldamento). – la spesa per la riparazione dei canali di scarico dell’edificio in condominio, che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3, sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti (sentenza 18/12/1995 n. 12894). 
Avuto riguardo ai principi esposti la sentenza impugnata non è incorsa in alcuna violazione di legge e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto con le censure in esame posto che – come ammesso dalla stessa ricorrente – il punto di rottura della tubazione di scarico è stato individuato nel tratto obliquo che convoglia le acque del lavandino di proprietà della F. alla colonna condominiale. 
Va solo aggiunto – con riferimento all’asserita violazione dell’art. 2051 c.c., denunciata con il secondo motivo di ricorso – che la citata norma prevede una forma di responsabilità che ha fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica implicante l’effettiva disponibilità della stessa, da cui discende il potere – dovere di custodirla e di vigilare, affinché non arrechi danni a terzi. La fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa, e, perciò, trova applicazione anche nell’ipotesi (ricorrente nella specie) di cose inerti.
Pertanto, perchè possa configurarsi in concreto la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario.
Ne consegue che il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva (nel caso in esame non offerta) del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nell’eventualità della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento. La corte di merito, che così ha interpretato la norma in questione, non è incorsa in alcuna violazione di legge. Va infine rilevata l’inammissibilità delle critiche mosse in questa sede (con il terzo motivo di ricorso) avente ad oggetto l’asserito omesso (o errato) esame delle prove documentali acquisite (le perizie del geometra Bo. e del geometra P., nonché i verbali di assemblea condominiale del 23/11/1999 e del 25/1/2000). 
Dette critiche non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per la loro evidente incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità. Sotto quest’ultimo aspetto bisogna segnalare che il ricorrente denuncia l’errata interpretazione e valutazione delle indicate prove documentali senza riportarne il contenuto specifico e completo il che non consente di ricostruirne – alla luce esclusivamente di alcune isolate parti – il senso complessivo ed i punti salienti ed importanti.
Ciò impedisce a questa Corte di valutare – sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso – l’incidenza causale del denunciato difetto di motivazione e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dalla ricorrente. 
Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove non esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito vizio di valutazione: tale onere non è stato nella specie rispettato. 
La ricorrente, inoltre, con la tesi concernente gli errori che sarebbero stati commessi dal Giudice di appello nel ricostruire i fatti di causa in relazione alle risultanze probatorie, ha sostanzialmente inteso sostenere che l’impugnata sentenza sarebbe basata su elementi di fatto inesistenti o contrastanti con le risultanze istruttorie. Trattasi all’evidenza della denuncia di travisamento dei fatti contro cui è esperibile solo il rimedio della revocazione.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene (come nella specie) al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo di revocazione e non di ricorso per cassazione importando essa un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2056 e 1223 c.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello non ha applicato correttamente le norme relative al risarcimento del danno extracontrattuale ed all’onere probatorio a carico della parte lesa. La corte di merito ha infatti ritenuto sufficienti le prove relative al danno considerando “verosimile” l’estensione del risarcimento anche ad ulteriori e non provate spese di tinteggiatura dell’immobile dei coniugi B..
I danni risarcibili sono solo quelli direttamente ed immediatamente conseguenti all’inadempimento.
Il danneggiale, inoltre, deve rispondere solo delle conseguenze probabili della sua condotta e non di quelle remote, improbabili o indirette che possano dipendere dal suo operato. Nella specie il presunto danno relativo alla tinteggiatura del soffitto non è stato suffragato da alcun elemento probatorio.
Al riguardo il giudice di appello ha ritenuto risarcibili detti danni meramente verosimili ed ipotetici. Inoltre la motivazione della sentenza impugnata è contraddittoria nella parte in cui ha preso atto della Delib. condominiale 15 gennaio 2002, con la quale erano state ripartite tra i condomini le spese relative alla ricerca ed alla riparazione del guasto idraulico. Anche questo motivo, al pari degli altri, non è fondato posto che, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente e come più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, in ordine all’entità del risarcimento dei danni derivati da fatto illecito, il requisito della prevedibilità del danno, correlato all’elemento psicologico di esso (art. 1225 c.c.), è inapplicabile alla responsabilità extracontrattuale, in quanto non richiamato dall’art. 2056 c.c, avendo scelto il legislatore di non commisurare il risarcimento al grado della colpa (sentenza 30/3/2005 n. 6725).
Pertanto, anche in relazione alla causalità nell’omissione in ordine all’illecito aquiliano, resta applicabile il principio per cui, non avendo l’art. 2056 c.c., richiamato l’art. 1225 c.c., sono risarcibili sia i danni prevedibili che imprevedibili, atteso che le dette particolarità rilevano sul piano della causalità giuridica di cui all’art. 1223 c.c., e non su quello della causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 c.p. (sentenza 31/5/2005 n. 11609). 
Correttamente, quindi la corte di appello ha ritenuto – confermando la decisione del primo giudice – di dover aggiungere, all’importo indicato dal geometra P. per la quantificazione dei danni subiti dai coniugi B., una somma (peraltro molto contenuta) per il “verosimile” ulteriore danno al soffitto del locale soggiorno.
In proposito la corte di merito ha ampiamente giustificato tale decisione facendo espresso riferimento: alla limitala valutazione operata dal professionista relativa solo alle spese di ripritino e tinteggiatura del soffitto del bagno; all’estensione del fenomeno dannoso anche al soffitto locale soggiorno; al perdurare della causa dell’inconveniente anche dopo il sopralluogo del professionista. Si tratta, come appare palese, di una motivazione adeguata e congrua, frutto di un insindacabile valutazione delle risultanze probatorie e sorretta da coerenti argomenti immuni da vizi logici e giuridici. 
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo. 

                                                                         P.Q.M. 

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 600,00 a titolo di onorario ed oltre accessori come per legge. 
Depositata in Cancelleria il 03.09.2010

Potrebbero interessarti anche...