Corte di Cassazione n° 17879/2011 – sinistro stradale -risarcimento danni -quantificazione in via equitativa -31.08.2011. –

La liquidazione equitativa del danno può ritenersi sufficientemente motivata – ed è pertanto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità – allorché il giudice di merito dia l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico seguito; e, specularmente, che essa è invece censurabile quando nella sentenza di merito non si dia conto del criterio utilizzato, o la relativa valutazione risulti incongrua rispetto al caso concreto, o, ancora, la determinazione del danno sia palesemente sproporzionata per difetto o per eccesso. Tanto sulla base dell’elementare considerazione che equità non vuoi dire arbitrio, perché quest’ultimo, non scaturendo da un processo logico-deduttivo, non potrebbe mai essere sorretto da adeguata motivazione”

 

 

 

 

 

 

 

                                                                       CORTE DI CASSAZIONE

                                                                          III SEZIONE CIVILE

 

                                                          SENTENZA N° 17879 DEL 31 AGOSTO 2011

 

(PRES. AMATUCCI – REL. AMENDOLA)

 

 

 

 

 

                                                                   SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

 

 

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

 

Con citazione notificata il 31 marzo 1988 B.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Siracusa MAA Assicurazioni s.p.a., C..C. e R. e M. s.p.a. chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti a seguito di un incidente verificatosi in data (omissis) allorché, tamponato da un’autovettura di proprietà di R. e M. s.p.a., condotta dal C., aveva subito la distorsione del rachide cervicale e una gravissima compromissione del visus, ridotto a 1/20 nell’occhio destro e a 2/10 in quello sinistro.

Si costituì in giudizio la sola società assicuratrice, che contestò l’avversa pretesa.

Con sentenza del 2 febbraio 1998 il giudice adito dichiarò cessata la materia del contendere, sull’assunto che i danni subiti dall’attore fossero già stati risarciti da MAA s.p.a. con la corresponsione della somma di lire 6.000.000. Proposto dal B. gravame, la Corte d’appello di Catania, in data 7 gennaio 2006, in riforma della decisione impugnata, ha condannato Milano Assicurazioni s.p.a., R. e M. s.p.a. e C..C. , in solido tra loro, al pagamento in favore di F..B. della somma di Euro 346.734,89, con gli interessi legali su ciascuno degli importi liquidati per le singole voci di danno, devalutati e via via rivalutati anno per anno, e spese dei due gradi di giudizio.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione Milano Assicurazioni s.p.a., formulando tre motivi e notificando l’atto a F..B., a R. e M. s.p.a. e a C.C..

Resiste con controricorso F..B., che propone altresì ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

 

                                                                      MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza.

1.1 Col primo motivo Milano Assicurazioni s.p.a. denuncia contraddittorietà della motivazione con riferimento alla quantificazione del danno biologico da invalidità permanente. Le critiche si appuntano contro quella parte della sentenza impugnata in cui la Corte d’appello, dopo avere fatto riferimento ai parametri da essa costantemente adottati, ha liquidato per tale voce di pregiudizio la somma di Euro 197.428,00. Rileva l’esponente che l’applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano – che costituiscono, appunto, i criteri normalmente utilizzati dal giudice a quo – produce invece, considerati i punti di invalidità riportati dal B. e l’età di cinquant’anni che lo stesso aveva al momento del sinistro, la somma, di gran lunga inferiore, di Euro 58.799,00. Aggiunge che di tale anomalia il decidente non aveva fornito alcuna giustificazione, il che rendeva particolarmente visibile la contraddizione che vulnerava la sentenza impugnata.

1.2 Con il secondo mezzo l’impugnante lamenta mancanza di motivazione sul medesimo profilo della decisione. Sostiene che, ove si voglia ritenere che, malgrado le espressioni usate, la Corte territoriale si è in realtà discostata dai criteri in uso nel distretto di appartenenza, la sentenza impugnata difetterebbe, in maniera macroscopica, di ogni esplicitazione dei parametri in concreto applicati.

1.3 Col terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché il B. in citazione aveva chiesto la condanna della controparte al pagamento della somma di lire 267.300.000, oltre rivalutazione e interessi, laddove l’importo attribuito, devalutato alla data dell’incidente, era pari a lire 331.443.708, era cioè sensibilmente superiore a quello richiesto. Aggiunge anche che tra le singole voci di danno subite e per il cui ristoro l’infortunato aveva agito in giudizio, non era compreso il danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità lavorativa specifica, che era invece stato erroneamente liquidato dal decidente d’ufficio.

2.1 Con il primo motivo del suo ricorso incidentale condizionato l’intimato denuncia violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., insufficienza, erroneità e contraddittorietà della motivazione su un punto controverso e decisivo costituito dalla effettiva età del B. al momento del sinistro. E invero, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, l’infortunato aveva all’epoca non già 50 anni, ma 40 anni e 8 mesi, come del resto lo stesso giudice a quo aveva dovuto riconoscere nel provvedimento con il quale, dopo il deposito della sentenza, aveva disposto la correzione dell’errore materiale in cui era incorso. Sostiene quindi che l’equivoco in cui era caduta la Corte territoriale aveva influito sulla quantificazione del danno biologico.

2.2 Con il secondo mezzo il B. denuncia la violazione delle medesime norme nonché, ancora una volta, vizi motivazionali, con riferimento alla misura del danno patrimoniale per riduzione della capacità lavorativa specifica. Sostiene che la quantificazione operata dal giudice di merito sarebbe erronea e riduttiva, in quanto parametrata su un’età dell’infortunato diversa da quella effettiva, nonché su un reddito pari a tre volte la pensione sociale, laddove dalla documentazione versata in atti emergeva che il reddito da lavoro dello steso era di gran lunga superiore.

2.2 Con il terzo motivo il ricorrente incidentale lamenta violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., insufficienza, erroneità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla liquidazione del danno da ITA e ITP, non nella misura di giorni 53 cadauno, come da lui richiesto e documentato, ma nella minore misura di giorni 18.

2.3 Con il quarto mezzo deduce violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., insufficienza, contraddittorietà ed erroneità della motivazione con riferimento alla liquidazione del danno morale in misura pari alla metà del danno biologico, piuttosto che nei due terzi di tutti i danni, pur avendo il decidente contraddittoriamente affermato che la lesione era assai grave.

3 Possono essere esaminati insieme, in quanto strettamente connessi, il primo e il secondo motivo del ricorso principale nonché il primo motivo del ricorso incidentale. Le censure con essi proposte sono fondate per le ragioni che seguono.

Questa Corte ha anche in tempi recentissimi ribadito che la liquidazione equitativa del danno può ritenersi sufficientemente motivata – ed è pertanto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità – allorché il giudice di merito dia l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico seguito; e, specularmente, che essa è invece censurabile quando nella sentenza di merito non si dia conto del criterio utilizzato, o la relativa valutazione risulti incongrua rispetto al caso concreto, o, ancora, la determinazione del danno sia palesemente sproporzionata per difetto o per eccesso. Tanto sulla base dell’elementare considerazione che equità non vuoi dire arbitrio, perché quest’ultimo, non scaturendo da un processo logico-deduttivo, non potrebbe mai essere sorretto da adeguata motivazione (confr. Cass. civ. 25 febbraio 2011, n. 12408; Cass. civ. 9 agosto 2007, n. 17492).

4 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale, dopo avere esposto le ragioni del suo dissenso dalla valutazione del giudice di prime cure in ordine alla sussistenza di un nesso eziologico tra la diminuzione del visus lamentata dall’infortunato e l’incidente nel quale lo stesso era rimasto coinvolto, ha equitativamente liquidato, per danno biologico da invalidità permanente, tenuto conto dei parametri da essa costantemente adottati, dell’età dell’attore al momento del sinistro (anni 50), e della percentuale di invalidità permanente accertata dal collegio dei consulenti (pari al 25%), la somma di Euro 197.428,00. Ora, a prescindere dai rilievi svolti dall’impugnante principale in ordine ai risultati – a suo dire, assai più modesti, conseguenti all’applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, che pur sarebbero quelle abitualmente utilizzate dal giudice a quo (tabelle alle quali, è bene ricordarlo, questa Corte ha riconosciuto il rango di parametri di valutazione da utilizzare, pur con gli opportuni adattamenti al caso concreto, in difetto di previsioni normative, al fine di assicurare parità di trattamento nella liquidazione del danno non patrimoniale: confr. Cass. civ. n. 12408 del 2011, cit.) – è innegabile che la scelta decisoria adottata è sorretta da una motivazione meramente apparente che, nulla esplicitando sui passaggi logici del procedimento valutativo del decidente, non ne da alcuna giustificazione razionale controllabile a posteriori.

A tale vulnus, segnalato dalla società assicuratrice, si aggiunge poi quello costituito dal riferimento, come ulteriore elemento di quantificazione del danno biologico, a un’età dell’infortunato difforme da quella effettiva, risultando accertato in causa, dall’ordinanza di correzione stilata in calce alla sentenza impugnata, che F..B. è nato il 14 agosto 1945, e aveva pertanto 40 e non 50 anni al momento del sinistro.

4.1 Quanto sin qui detto comporta che deve ritenersi altresì fondato il secondo motivo del ricorso incidentale, nella parte in cui il ricorrente si duole della liquidazione del danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa, in quanto inficiata dal medesimo errore sull’età dell’infortunato.

Lo stesso motivo non può invece essere accolto laddove con esso si censura il riferimento al triplo della pensione sociale, come criterio equitativo utilizzabile per la quantificazione di tale pregiudizio, in mancanza di prova specifica del reddito percepito dal B.. La deduzione della mancata considerazione della documentazione versata in atti, dalla quale emergerebbe la prova di introiti di gran lunga superiori, è infatti, a tacer d’altro, gravemente carente sotto il profilo dell’autosufficienza, non risultando assolto né l’onere di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovino i documenti in questione; né quello di trascriverne o di riassumerne il contenuto, laddove la mancanza anche di una soltanto di tali, necessarie allegazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303).

5 Infondato è il terzo motivo di ricorso di Milano Assicurazioni.

In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento e il suo riflesso processuale, costituito dall’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione, comportano che, quando un soggetto agisce in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni cagionatigli da un determinato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Ora, è ben vero che tale principio soffre eccezioni nel caso in cui nell’atto introduttivo siano indicate e quantificate specifiche voci di danno, ma ciò sempre e solo nell’ipotesi in cui la specificazione si presti ad essere ragionevolmente intesa come volontà di escludere dal petitum le voci non menzionate, dovendo altrimenti alla stessa attribuirsi un valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intende ottenere il ristoro (confr. Cass. civ. 17 dicembre 2009, n. 26505; Cass. civ. 19 maggio 2006, n. 11761).

Ne deriva che le questioni poste dal motivo di ricorso in esame esulano propriamente dall’ambito della denuncia di violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), avendo piuttosto attinenza con l’interpretazione della domanda stessa, e cioè con un’attività che, involgendo un mero accertamento di fatto, pertiene al giudice di merito ed è sindacabile solo sotto il profilo del vizio motivazionale, qui neppure prospettato (confr. Cass. civ. 12 marzo 2010, n. 6038). 6 Le critiche svolte nel quarto motivo del ricorso incidentale sono, per certi aspetti inammissibili, per altre infondate.

La Corte d’appello, rilevato che i consulenti tecnici avevano stimato in due/tre settimane sia l’invalidità temporanea assoluta che quella temporanea, ha liquidato le relative voci di danno con riferimento, per entrambe, a un periodo di diciotto giorni.

L’assunto dell’impugnante, secondo cui i certificati medici prodotti imponevano invece di fissarle in cinquantatre giorni ciascuna difetta, anzitutto, di autosufficienza. A ciò aggiungasi che, per giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; di talché, per infirmare, sotto il profilo della lacunosità argomentativa, tale motivazione, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse all’elaborato peritale già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione, risolvendosi altrimenti la censura nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (confr. Cass. civ., 4 maggio 2009, n. 10222).

7 Infine del tutto prive di pregio sono le critiche svolte nell’ultimo motivo del ricorso incidentale.

L’impugnante non esplicita in alcun modo le ragioni per le quali la liquidazione del danno morale in misura pari alla metà di quello biologico da invalidità permanente darebbe, nella fattispecie, un risultato inappagante, limitandosi a richiamare, con mera clausola di stile, la gravità della menomazione.

8 In definitiva, mentre vanno accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale; il primo e, per quanto di ragione, il secondo motivo di quello incidentale condizionato, devono essere rigettati il terzo motivo del ricorso principale, il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale.
La sentenza impugnata deve conseguente essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione che, nel decidere, si atterrà ai criteri innanzi esposti.

 

 

                                                                                  P.Q.M.

 

La Corte, riunisce i ricorsi; accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale; rigetta il terzo; accoglie il primo e, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato; rigetta il terzo e il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

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