Corte di Cassazione n° 16261/2012 – risarcimento danni –infortunio subito da studente in struttura scolastica – quando si configura la “ culpa in vigilando” -25.09.2012. –

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha ribadito che: “In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad infortunio subito da studente all’interno di struttura scolastica durante le ore di educazione fisica nel corso di una partita di calcio (o, come nella specie, di calcetto), ai fini della configurabilità della responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, ma è altresì necessario a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara e b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il fatto”.

                                                      CORTE DI Cassazione 

                                                              III sezIONE

                                       SENTENZA N° 16261 DEL 25 settembre 2012

(Pres. Chiarini – Rel. Scarano)

                                                Svolgimento del processo

Con sentenza del 29/7/2009 la Corte d’Appello di Genova respingeva il gravame interposto dal sig. M.D. in relazione alla pronunzia Trib. Genova 22/2/2008 di rigetto della domanda, proposta nei confronti del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di un calcio al naso, ricevuto da altro giocatore durante una partita di calcio svoltasi il 4/6/2003 nella palestra della scuola, che gli aveva causato la frattura delle ossa del naso.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il M. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso la società Allianz s.p.a. (già R.A.S. s.p.a.), che ha presentato anche memoria.L’intimato Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha tardivamente prodotto “atto di costituzione” al solo fine di partecipare alla discussione.

                                                       Motivi della decisione

Va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, tardivamente effettuata con atto denominato “atto di costituzione” invero non qualificabile come controricorso, sostanziandosi il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio “con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione al’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 comma 1 c.p.c.”.
A tale stregua risulta da detta Amministrazione invero violato il combinato disposto di cui agli artt. 370 e 366, 1 co. n. 4, c.p.c., in base al quale il controricorso deve a pena di inammissibilità contemplare l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (v. Cass., 13/3/2006, n. 5400).Ne consegue che, giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell’art. 370, 1 co., c.p.c. alla parte contro la quale è diretto il ricorso, la quale non abbia depositato il controricorso (situazione cui deve equipararsi quella in cui come nella specie trattisi di atto non qualificabile come tale, in quanto privo dei relativi requisiti essenziali), nel periodo che va dalla scadenza del termine per la proposizione del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio – anche se soltanto ai fini della partecipazione alla discussione orale – o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 11/4/1981, n. 2114; Cass., 28/5/1980, n. 3513; Cass., 9/8/1962, n. 2486).
Ai fini della sanatoria, con effetto ex nunc, dell’irrituale attività processuale compiuta nelle more (v. Cass., 28/5/1980, n. 3513) non può d’altro canto nel caso nemmeno valorizzarsi la concreta partecipazione dell’intimato alla discussione orale, non essendo il medesimo comparso all’udienza.
Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2048 c.c., in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; nonché “omessa o quantomeno insufficiente motivazione” su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..Si duole che la corte di merito abbia ritenuto fornita da controparte la prova liberatoria senza avere “affatto verificato, con il rigore richiesto dalla norma, se il precettore avesse dimostrato di avere esercitato la sorveglianza con la diligenza diretta ad impedire il fatto, cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere”, già con riferimento al luogo di svolgimento della partita di calcio, invero “inadatto”, trattandosi di “palestra chiusa attrezzata per la pallacanestro e la pallavolo” e in “mancanza anche delle più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina tra i partecipanti ed impedire il prodursi di eventi dannosi, talché non si poteva neppure poi invocare la imprevedibilità del fatto”.Lamenta che la corte di merito “altresì non ha verificato, così privando il proprio iter motivazionale di un passaggio di centrale rilevanza alla luce della ricostruzione dell’istituto data dal Supremo Collegio, se il fatto stesso del gioco del calcio in una palestra chiusa ed attrezzata per la pallacanestro e la pallavolo, e quindi verosimilmente “disseminata” di ostacoli fissi… non potesse e dovesse far ritenere a priori la mancanza anche delle più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina tra i partecipanti ed impedire il prodursi di eventi dannosi, talché non si poteva neppure poi invocarsi l’imprevedibilità del fatto”.I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad infortunio subito da studente all’interno di struttura scolastica durante le ore di educazione fisica nel corso di una partita di calcio (o, come nella specie, di calcetto), ai fini della configurabilità della responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, ma è altresì necessario a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara e b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il fatto (v. Cass., 28/9/2009, n. 20743).
Orbene, la corte di merito (diversamente dal giudice di prime cure) ha ritenuto ricorrere nella specie il primo dei suindicati presupposti, e cioè il fatto illecito dello studente danneggiante (per avere il medesimo nel corso della gara colpito l’antagonista rimasto infortunato con un calcio al volto, peraltro sferrato in uno scontro di gioco, essendo entrato in modo scoordinato, mancando il pallone), in quanto “il fatto di sferrare un calcio che colpisca al viso un avversario non rientra certamente tra le condotte consentite nel gioco del calcio e costituisce una modalità di gioco pericolosa di cui il giocatore che la pone in essere deve rispondere”).
Non anche il secondo, e cioè la culpa in vigilando della scuola, ritenendo nel caso dalla medesima fornita la prova liberatoria, stante la presenza in loco dell’“insegnante di educazione fisica che – per quanto era nelle sue possibilità – ne controllava lo svolgimento”.Ha ravvisato avere la scuola “fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui era tenuta ai sensi dell’art. 2048 c.c.”, essendosi d’altro canto il sinistro nella specie verificato repentinamente, “con modalità tali da non potere essere impedito”.
A tale stregua, pur avendo ritenuto il comportamento dello studente danneggiante connotato da una marcata irruenza agonistica in presenza del rispetto da parte della scuola delle normali cautele idonee a contenere il rischio negli appropriati limiti del tipo di gara organizzata, il giudice del gravame di merito ha ravvisato essere l’evento dannoso in argomento non prevedibile né prevenibile dall’insegnante, in quanto il contesto evidentemente non consentiva di ritenere compatibile con le caratteristiche del gioco l’impiego di quel tipo d’irruenza (cfr. Cass., 8/8/2002, n. 12012).Orbene, l’odierno ricorrente non deduce invero al riguardo doglianza alcuna idonea a scalfire la correttezza della ravvisata sussistenza della prova liberatoria, limitandosi a sostenere, da un canto, che “La Corte d’Appello… non ha affatto verificato, con il rigore richiesto dalla norma, se il precettore avesse dimostrato di avere esercitato la sorveglianza con la diligenza diretta ad impedire il fatto, cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere”; e, per altro verso, che “repentino o non repentino che fosse, la cosa neppure avrebbe dovuto essere i ritenuta dalla Corte… di alcuna rilevanza, posto che il controllo non era stato effettuato a monte consentendo il torneo in un luogo inadatto e a ciò non destinato”, quale “una palestra chiusa ed attrezzata per la pallacanestro e la pallavolo”.Laddove la corte di merito, a fronte di analoga censura già in quel grado di giudizio dall’odierno ricorrente ed odierno appellante formulata, ha espressamente escluso, stante la dinamica dell’incidente, che lo stesso sia stato “provocato dalle caratteristiche del campo”, ponendo in rilievo che le stesse “non hanno avuto… alcuna incidenza causale nella determinazione del sinistro”, viceversa “riferibile solo all’azione scorretta di uno dei giocatori”.Così come ha del pari escluso la possibilità di assegnarsi un qualche rilievo alla “mancata omologazione della palestra”, giacché “il rispetto dei requisiti che consentono l’omologazione del campo da calcio rileva non già al fine di escludere la pericolosità dell’ambiente di gioco, ma solo per garantire l’omogeneità degli ambienti di gioco negli incontri tra giocatori professionisti; esso proprio perché irrilevante ai fini della sicurezza del gioco, non costituisce un requisito che debba essere rispettato per le attività sportive svolte in un istituto scolastico”.
Orbene, siffatta ratio decidendi è rimasta in realtà priva di impugnazione da parte dell’odierno ricorrente, tale non potendo ritenersi la mera acritica riproposizione della doglianza già rigettata nel giudizio di secondo grado.Oltre a non proporre idonea censura ai sensi dell’art. 360, 1 c. n. 3, c.p.c, nell’affermare che trattasi di “affermazione palesemente apodittica”, espressione di “un ragionamento unilaterale ed avulso dalla realtà, che non consente di ricostruire e di verificare il procedimento logico-argomentativo che dovrebbe stare alla base della decisione”, l’odierno ricorrente per altro verso formula una censura da cui non è dato invero evincere critica alcuna al ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, né idonea ad evidenziare un insanabile contrasto tra le argomentazioni poste a base dell’impugnata decisione.In violazione, pertanto, del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in base al quale la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).
Orbene, alla stregua di tutto quanto sopra rilevato ed esposto emerge evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366, n. 4, c.p.c., si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

                                                                 P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 2.600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge

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