Corte di Cassazione n° 1418/2011 – telefonia -disservizi – cancellazione illegittima dall’elenco telefonico del numero dell’utenza di un avvocato – risarcimento dei danni – 21.01.2011. –

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha rigettato il ricorso proposto dal gestore telefonico, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello, la quale aveva riconosciuto la responsabilità della Telecom, condannandola al risarcimento dei danni in favore di un avvocato, per cancellato dall’elenco telefonico l’utenza professionale di quest’ultimo. In particolare, la Suprema Corte, ha ritenuto provato il danno patrimoniale sia da perdita degli affari, che quello relativo alla lesione alla immagine professionale ed ha precisato che il danno all’immagine è evidente sotto il profilo dell’avviamento professionale ed ha provocato una opinione negativa presso la clientela e dunque il suo sviamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               CORTE DI CASSAZIONE 

                               SEZIONE TERZA CIVILE
 
                         SENTENZA  N. 1418  DEL 21.01.2011

                           SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 


Con sentenza 1 giugno – 10 settembre 2005 la Corte d’appello di Ancona, in riforma della decisione del locale Tribunale del 7 febbraio – 4 giugno 2002, condannava la TELECOM Italia spa al pagamento della somma di Euro 70.000,00 (settantamila/00) in favore dell’avvocato M.S., a titolo di risarcimento danni conseguenti al disservizio causato dalla società telefonica sulle utenze telefoniche intestate allo studio dell’attore in tutto l’anno 1995.

Avverso tale decisione TELECOM Italia ha proposto ricorso per cassazione sorretto da sette, distinti, motivi, cui resiste lo S. con controricorso.

TELECOM ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

                                                                    MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 2697 codice civile, 115, 116 e 117 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., nonché contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti, ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione all’asserita prova dell’accordo relativo alle modalità di inserimento nell’elenco 1995/1996 ed al conseguente inadempimento della TELECOM, violazione dell’art. 26 co. II del D.M. Poste e Telecomunicazioni 484 del 1988 e degli articoli 1218 e 1453 c.c.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 2697 c.c. e 115, 116 e 117 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in relazione alla inclusione – tra gli obblighi contrattuali di TELECOM – anche di quello relativo alla fornitura di informazioni attraverso il c.d. “Servizio 12″ ed al conseguente inadempimento della TELECOM sul punto; nonché violazione dell’art. 26 co. II del D.M. Poste e Telecomunicazioni n. 484 del 1988 e degli articoli 1218 e 1453 c.c..

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 115, 116 e 117 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti ex art. 360, primo comma, n.5 c.p.c.. La ricorrente ribadisce quanto già rilevato, nel secondo motivo di ricorso, sotto il diverso profilo del vizio della motivazione, sottolineando che il servizio “12″ non era assolutamente ricompreso tra gli obblighi a carico del gestore dal Regolamento di servizio. Tra l’altro, il costo di questo servizio è posto a carico del soggetto che ricerca l’utente (e non dell’utente ricercato da questi).

In effetti, l’art. 26 del Regolamento prevede quale unica forma di pubblicità dell’abbonato solo la pubblicazione annuale del numero telefonico e dell’utente nell’elenco telefonico, e null’altro.

I primi tre motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro.

Con motivazione del tutto adeguata, che sfugge a tutte le censure di violazione di norme di legge e di vizi della motivazione denunciati, i giudici di appello hanno riconosciuto – anche sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte convenuta in comparsa di risposta nel giudizio di primo grado – che, in contrasto con gli accordi intercorsi con il gestore, il numero telefonico dello studio dell’avv. S. non risultava dall’elenco telefonico e che anche dal servizio dell’elenco abbonati la unica informazione accessibile era quella relativa al numero di fax dello stesso.

La Corte territoriale ha ritenuto, con accertamento anche esso non censurabile, che il servizio “12″ costituisse una prestazione facente parte del rapporto contrattuale con l’utente (anche se il costo di esso è posto a carico del richiedente la informazione). “Le informazioni tramite esso (servizio “12″) rese si risolvono – hanno accertato i giudici di appello – in un vantaggio ed agevolazione per lo stesso abbonato, oltre che per la generalità degli utenti, laddove consentono o facilitano le sue comunicazioni telefoniche, e comunque formano oggetto di una prestazione promessa, prestazione a cui inoltre corrispondono evidenti interessi di contropartita economica da parte del gestore”.

Infine, la Corte territoriale ha ritenuto la esistenza di un nesso di causalità tra il disservizio e la riduzione di lavoro denunciata dallo S., sulle base delle dichiarazioni rese dai testi. Ed ha ritenuto provato sia il danno patrimoniale da perdita degli affari, che quello relativo alla lesione alla immagine professionale. Tale danno all’immagine veniva in rilievo sotto il profilo dell’avviamento professionale, risolvendosi in un effetto di opinione negativa presso la clientela e dunque nel suo sviamento.

Uno studio legale, dotato solo di un’unica linea di telefono-fax, offriva di sé, e del professionista, una immagine poco efficiente e poco affidabile, immagine tanto più negativa per uno studio di avvocato penalista (quale era appunto l’avv. S. ) la cui efficienza ed affidabilità si misurano anche sulla facile reperibilità in ragione delle emergenze e delle urgenze proprie di quel settore di affari giudiziari.

Si tratta, anche in questo caso, di una conclusione logicamente motivata, esente da qualsiasi vizio logico od errore giuridico.

Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 41 codice penale, 1218, 1223 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., nonché illogicità della motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c. con riferimento alla esistenza del nesso eziologico tra i presunti inadempimenti ed il lamentato danno.

La censura relativa all’accertamento del nesso eziologico tra inadempimento della società elettrica e danno è inammissibile, risolvendosi in una richiesta di diversa interpretazione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

Con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 1226 e 2697 codice civile, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; illogicità della motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione alla ritenuta sussistenza di un danno ed alla sua conseguente determinazione in via equitativa ed in misura omnicomprensiva, sia per il danno all’immagine che per il danno da lucro cessante.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ovvero dell’art. 346 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; violazione o falsa applicazione degli articoli 1223 e 1226 cc; illogicità della motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione al riconoscimento degli interessi legali, cumulati alla rivalutazione monetaria dalla data del fatto alla pubblicazione della sentenza di appello.

Il quinto ed il sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati.

I giudici di appello hanno provveduto ad una liquidazione del danno in via equitativa, in moneta attuale e tenendo conto di interessi e rivalutazione maturati “medio tempore”.

Qualora sia provata, come nel caso di specie, l’esistenza del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa non solo quando è impossibile stimarne con precisione l’entità, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione dì esso sia difficoltosa. Sulla base di tale principio, da ritenere consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, deve convenirsi che, nel caso di specie, la liquidazione del danno non poteva essere effettuata che in via equitativa.

Le censure formulate dalla ricorrente – in ordine alla mancata produzione di dati relativi ai mancati guadagni relativi all’anno 1995 – non tiene conto del tempo (notoriamente) intercorrente dalla data di conferimento dell’incarico a quella della percezione dell’onorario.

La produzione della dichiarazione dei redditi dell’anno in cui ebbe a verificarsi il disservizio lamentato sarebbe, dunque, stata priva di qualsiasi rilevanza ai fini indicati.

I giudici di appello, pertanto, correttamente avevano fatto riferimento alle dichiarazioni rese da numerosi testimoniali, i quali avevano riferito in ordine al fatto che, proprio a causa del disservizio telefonico, si erano rivolti ad altri studi professionali per affari penali urgenti.

Con il settimo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 codice di procedura civile; illogicità della motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. in relazione al riconoscimento della totale soccombenza della società convenuta nonostante la liquidazione di una somma inferiore al domandato.

Questo ultimo motivo di ricorso è anche esso inammissibile, considerato che i giudici di appello hanno motivato la propria decisione sul punto, sottolineando, tra l’altro, che la liquidazione delle spese processuali veniva effettuata solo sulla base della somma riconosciuta (ciò sia in riferimento al giudizio di primo grado che a quello di secondo grado).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

 

                                                                                  P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.200,00 (tremiladuecento/00) di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

Depositata in Cancelleria il 21.01.2011

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