Corte Costituzionale – processo penale – procedimento dinanzi al Giudice di Pace – possibilita’ del ricorso ai riti alternativi – 06.02.07
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Procedimento dinanzi al giudice di pace – Possibilita’ del ricorso ai riti alternativi – Preclusione – Denunciata violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa – Eccezione di inammissibilita’ per carenza di motivazione sulla rilevanza della questione – Denunciata violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa – Esclusione – Manifesta infondatezza della questione. – D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 2. – Costituzione, artt. 3 e 24. e 111, terzo comma: “questa Corte ha gia’ reiteratamente escluso – con specifico riferimento al patteggiamento – che la mancata previsione dei riti alternativi nel procedimento davanti al giudice di pace, risultante dal disposto dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 274 del 2000, possa reputarsi in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., dichiarando manifestamente infondate le questioni di legittimita’ costituzionale al riguardo sollevate (ordinanze n. 228 e n. 312 del 2005); che, in proposito, questa Corte ha rimarcato come il procedimento davanti al giudice di pace presenti caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale”; (GU n. 6 del 7-2-2007 ) LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 2 e 20 del
decreto legislativo del 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso con ordinanze del
13 gennaio 2005 dal Giudice di pace di Pattada nel procedimento
penale a carico di F.S. ed altra, e del 27 ottobre 2005 dal Giudice
di pace di Patti nel procedimento penale a carico di A.M. ed altri,
iscritte ai numeri 271 e 595 del registro ordinanze 2005 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005 e n. 2, 1ª serie speciale dell'anno 2006;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella Camera di consiglio del 10 gennaio 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe, emessa nel corso di un
processo penale nei confronti di persona imputata dei reati di cui
agli artt. 581 e 612 del codice penale, il Giudice di pace di Pattada
ha sollevato, su eccezione della difesa, questione di legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma,
della Costituzione, dell'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),
nella parte in cui preclude all'imputato il ricorso ai riti
alternativi - e, in particolare, al giudizio abbreviato e
all'applicazione della pena su richiesta delle parti - nel
procedimento davanti al giudice di pace;
che, ad avviso del rimettente, la preclusione censurata
poggerebbe sul presupposto - "indimostrato ed erroneo" - della
maggiore "mitezza" delle eventuali condanne pronunciate in esito a
detto procedimento, connessa segnatamente all'esclusione della pena
detentiva dal novero delle sanzioni irrogabili dal giudice di pace;
che tale valutazione non terrebbe conto, tuttavia, ne' delle
diseguaglianze di fatto esistenti tra le condizioni economiche di
coloro che vengono tratti a giudizio, a fronte delle quali e' ben
possibile che, nell'ottica del non abbiente, una limitata pena
detentiva risulti preferibile, e dunque piu' mite, rispetto ad una
pesante pena pecuniaria; ne' della circostanza che il giudice di pace
puo' comunque applicare sanzioni che incidono sulla liberta'
personale, quali la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica
utilita' (artt. 53 e 54 del d.lgs. n. 274 del 2000);
che, in simile prospettiva, risulterebbe quindi del tutto
ingiustificata la sottrazione all'imputato di strumenti - quali i
riti alternativi - che permettono di mitigare la condanna, sia essa a
pena pecuniaria o detentiva, emessa nei confronti del non abbiente,
"consentendogli di esplicare anche in sede processuale" il "diritto
alla difesa";
che la questione sarebbe altresi' rilevante, dato che la
norma censurata impedirebbe all'imputato nel giudizio a quo di
accedere al giudizio abbreviato, pur sussistendone tutti i
presupposti;
che nel giudizio di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata manifestamente inammissibile, per carenza di motivazione
in ordine alla rilevanza del quesito, ovvero manifestamente
infondata;
che con l'ordinanza indicata in epigrafe il Giudice di pace
di Patti ha sollevato, su eccezione della difesa, questione di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo
comma, e 111, terzo comma, Cost., degli artt. 2, comma 1, lettera f),
e 20 del d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui, rispettivamente,
escludono l'applicazione delle norme relative al giudizio abbreviato
nel procedimento davanti al giudice di pace e non prevedono che
l'atto di citazione a giudizio davanti al medesimo giudice debba, a
pena di nullita', contenere l'avviso che l'imputato, qualora ne
ricorrano i presupposti, ha facolta' di chiedere il giudizio
abbreviato;
che, secondo il giudice a quo, le disposizioni denunciate
determinerebbero una irragionevole disparita' di trattamento fra
l'imputato citato a giudizio davanti al giudice di pace e l'imputato
citato davanti al tribunale;
che diversamente, infatti, che con riguardo al primo - cui
l'art. 2, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 274 del 2000 preclude
espressamente il rito abbreviato - con riferimento al secondo
l'art. 552 cod. proc. pen. stabilisce che il decreto di citazione a
giudizio debba recare, a pena di nullita', l'avviso della facolta' di
accedere a forme alternative di definizione del procedimento;
che risulterebbe di conseguenza vulnerato anche il diritto di
difesa, dato che all'imputato per reati di competenza del giudice di
pace verrebbe impedito di scegliere una via processuale diversa e
piu' vantaggiosa rispetto a quella ordinaria;
che sarebbe compromesso, infine, l'art. 111, terzo comma,
Cost., giacche' la mancata previsione dell'obbligo di rendere edotto
l'imputato della facolta' di scelta di un rito alternativo gli
impedirebbe un esercizio consapevole di tale facolta'.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano analoghe
questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti
con unica pronuncia;
che l'eccezione dell'Avvocatura dello Stato, di
inammissibilita' della questione sollevata del Giudice di pace di
Pattada, non e' fondata;
che il giudice a quo ha infatti motivato, sia pur
sinteticamente, in ordine alla rilevanza della questione, osservando
come la norma censurata impedisca all'imputato nel procedimento a quo
di accedere al giudizio abbreviato, del quale pure sussisterebbero
gli ordinari presupposti; mentre la manifestazione della volonta' del
giudicabile di richiedere tale rito alternativo appare implicita nel
fatto - riferito nell'ordinanza di rimessione - che l'eccezione di
illegittimita' costituzionale sia stata sollevata dalla difesa;
che, nel merito, questa Corte ha gia' reiteratamente escluso
- con specifico riferimento al patteggiamento - che la mancata
previsione dei riti alternativi nel procedimento davanti al giudice
di pace, risultante dal disposto dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 274
del 2000, possa reputarsi in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo
comma, Cost., dichiarando manifestamente infondate le questioni di
legittimita' costituzionale al riguardo sollevate (ordinanze n. 228 e
n. 312 del 2005);
che, in proposito, questa Corte ha rimarcato come il
procedimento davanti al giudice di pace presenti caratteri
assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il
procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare
sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario (ex plurimis,
rispetto ad istituti non previsti nel procedimento in questione,
ordinanze n. 85 e n. 415 del 2005, n. 201 e n. 349 del 2004);
che il d.lgs. n. 274 del 2000 contempla, difatti, forme
alternative di definizione, non previste dal codice di procedura
penale, le quali si innestano in un procedimento connotato, gia' di
per se', da un'accentuata semplificazione e concernente reati di
minore gravita', con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo:
procedimento nel quale il giudice deve inoltre favorire la
conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e 29, commi 4 e 5), e
in cui la citazione a giudizio puo' avvenire anche sul ricorso della
persona offesa (art. 21);
che, in particolare, l'istituto del patteggiamento mal si
concilierebbe con il costante coinvolgimento della persona offesa nel
procedimento, anche in rapporto alle forme alternative di definizione
(v. artt. 34, comma 2, e 35, commi 1 e 5, con riguardo,
rispettivamente, all'esclusione della procedibilita' per particolare
tenuita' del fatto e all'estinzione del reato conseguente a condotte
riparatorie);
che, pertanto, "le caratteristiche del procedimento davanti
al giudice di pace consentono di ritenere che l'esclusione
dell'applicabilita' dei riti alternativi sia frutto di una scelta non
irragionevole del legislatore [...], comunque tale da non determinare
una ingiustificata disparita' di trattamento", impedendo altresi' di
ravvisare in essa una violazione del diritto di difesa (ordinanza
n. 228 del 2005);
che analoghe considerazioni possono formularsi altresi' in
rapporto all'esclusione del giudizio abbreviato;
che anche in relazione a tale esclusione, difatti, vale
evidentemente il rilievo della non comparabilita' del procedimento
penale davanti al giudice di pace con quello davanti al tribunale,
stante l'eterogeneita' della sua struttura e la previsione di forme
alternative di definizione, ignote al secondo procedimento;
che, d'altro canto, pure nell'esclusione del giudizio
abbreviato e' possibile scorgere un portato della strategia di
valorizzazione del ruolo della persona offesa, che ispira il nuovo
processo davanti al giudice di pace, in correlazione all'idea guida
di privilegiare la composizione dei conflitti interpersonali che si
collocano alla base dell'illecito;
che di fronte alla richiesta del rito de quo da parte
dell'imputato, infatti, la persona offesa fruisce di facolta' assai
limitate: potendo ella - peraltro solo se danneggiata e quindi
costituita parte civile - unicamente accettare o meno il giudizio
abbreviato, e cioe' scegliere se mantenere l'azione civile nel
processo penale, rinunciando tuttavia a concorrere alla formazione
della prova, oppure promuoverla ex novo dinanzi al giudice civile
(art. 441, commi 2 e 4, del codice di procedura penale);
che, ancora piu' in radice, tuttavia, va osservato che il
giudizio abbreviato - il quale postula una definizione del processo
di tipo "cartolare", basata essenzialmente sulle risultanze degli
atti di indagine - si presenta difficilmente compatibile con il ruolo
marginale che, nel procedimento davanti al giudice di pace, e'
assegnato alle indagini preliminari, le quali si sostanziano in una
fase investigativa affidata in via principale alla polizia
giudiziaria (v., a diverso fine, ordinanza n. 349 del 2004), e cioe'
ad un organo che non offre le medesime garanzie funzionali del
pubblico ministero: fase che puo' essere, peraltro, addirittura
interamente saltata (a prescindere da situazioni di evidenza della
prova) nel caso in cui, trattandosi di reato procedibile a querela,
il giudizio venga introdotto tramite ricorso diretto della persona
offesa (art. 21, comma 1, 22, comma 4, e 27, comma 1, del d.lgs.
n. 274 del 2000);
che, escluso che nella previsione censurata possa quindi
scorgersi un vulnus del principio di eguaglianza e del diritto di
difesa, cade automaticamente anche l'ulteriore censura, logicamente
subordinata - formulata dal Giudice di pace di Patti, anche con
riferimento all'art. 111, terzo comma, Cost. - avente ad oggetto
l'art. 20 del d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui non prevede
che la citazione a giudizio davanti al giudice di pace debba
contenere, a pena di nullita', l'avviso all'imputato della facolta'
di richiedere il rito alternativo in parola;
che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente
infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo
28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del
giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999,
n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma,
della Costituzione, dal Giudice di pace di Pattada con l'ordinanza
indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera f), e 20
del citato decreto legislativo n. 274 del 2000, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma,
della Costituzione, dal giudice di pace di Patti con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2007.
Il Presidente: Bile
Il redattore: Flick
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 6 febbraio 2007.
Il direttore della cancelleria: Di Paola
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